L’attacco di Sarpedone
Preso a sé, l’assalto di Sarpedone e Glauco è una ripetizione
di quello di Asio (108-94). Come di solito accade quando un tema viene ripetuto
a breve distanza, la seconda occorrenza è più elaborata:
        
I.           
attacco di Asio (108-94):
·        
contrastato da Polipete e Leonteo (127-53);
·        
similitudine dei proiettili e dei fiocchi di neve (154-61);
·        
Asio ammette il suo fallimento (162-72);
      
II.           
attacco di Sarpedone (con Glauco( (290-330):
·        
contrastato da Menesteo e dagli Aiaci (331-99);
·        
[ similitudine dei proiettili e dei fiocchi di neve (278-89)
];
·        
Sarpedone ammette di afer fallito (400-12).
Già a partire dal verso 265 il racconto ha perso la sua
connotazione speciale di poesia di assedio, e ora i suoi temi nel seguito della
narrazione ridivengono quelli tipici di una battaglia in campo aperto. Un
guerriero (Sarpedone) incoraggia un suo compagno (Glauco); essi si lanciano nel
combattimento;un avversario di inferiori qualità (Menesteo) chiede aiuto; un
guerriero più valoroso e capace (Aiace con Teucro) si unisce a lui ed allontana
il pericolo (con 331-91 si veda 11.463-501).
Il livello di Sarpedone come guerriero è già stato messo in
chiaro con la sua uccisione di Tlepolemo (5.627-59); viene ora ribadito con il
suo tentativo quasi riuscito di aver la meglio sul muro acheo. Egli è dunque chiaramente
qualificato, cose che non è Enea, nella mente dell’uditorio del poeta come il
solo guerriero di parte troiana, oltre allo stesso Ettore, capace di affrontare
Patroclo (16.419-507). E gli assalti di Asio, Sarpedone ed Ettore costituiscono
un crescendo, dallo scacco di Asio, al quasi successo di Sarpedone al trionfo
di Ettore. Mantenendo elevata la pressione e distraendo gli Aiaci, l’assalto
dei Lici prepara la strada a quello di Ettore, come il verso 290 chiarisce.
Sebbene il poeta sia pronto, quando questo lo aggrada, ad
esercitare il privilegio concesso al compositore di conoscere quello che i suoi
personaggi non possono conoscere, il suo normale atteggiamento narrativo è
quello di un osservatore che deve dedurre quello che non si vede da quello che
si vede. Come osservatore, egli può scegliere tra due tipi di linguaggio
retorico, emtrambe estranei al pensiero più tardo e a quello moderno. Egli può
dire, come al verso 292, che un dio ha indotto l’uomo ad agire, oppure, come al
verso 307, relativamente allo stesso evento, che lo θυμός lo ha spinto ad
agire. È naturale per chi osserva l’assalto di Sarpedone dire che egli è stato
ispirato da un dio (292): questo descrive ed allo stesso tempo spiega, la sua
impetuosità; ma è allo stesso tepo naturale dire che egli è stato spinto dal
suo θυμός (307). E non c’è contraddizione in questo. Quello che le due
descrizioni hanno in comune è che entrambe le immagini descrivono l’azione in
termini di un impulso che origina dall’esterno, o almeno distinto dallo in se
stesso. È anche possible, nel caso l’uomo abbia un ripensamento, parlare di un ἕτερος
θυμὸς, come in Odissea, 9.302. Omero non ha un termine per indicare l’io, e
neppure ce l’ha il linguaggio comune non tecnico, ma questo non significa che il
poeta non conoscesse questo concetto. La motivazione umana e quella divina
erano parallele spiegazioni di un’azione (Nilsson). Una visione più rigosa del
fatto che l’uomo omerico non ha una propria volontà venne sviluppata da B.
Snell, per esempio in The Discovery of
the Mind, trad. T. G. Rosenmeyer (Oxford and Cambridge, Mass., 1953).
Possiamo pensare che, nel linguaggio degli eroi, gli dei siano
esternalizzazioni di impulsi interiori, e nel linguaggio del poeta una
esternalizzazione della sua convinzione che dietro gli eventi che egli descrive
ci sia una forza che li guida e li indirizza. Me in nessuna delle due
descrizioni è implicita l’assunzione che una azione sia in ogni modo moralmente
differente dall’azione descritta nella sua essenzialità.
290 
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290       οὐδ᾽ ἄν πω τότε γε Τρῶες καὶ φαίδιμος Ἕκτωρ 
Ma neppure persino allora i Troiani e lo splendido Ettore 
291       τείχεος ἐρρήξαντο πύλας καὶ μακρὸν ὀχῆα, 
avrebbe sfondato, abbattuto la porta, i battenti del muro e
  la grande, pesante sbarra, spranga, 
292       εἰ μὴ ἄρ᾽ υἱὸν ἑὸν Σαρπηδόνα μητίετα
  Ζεὺς 
se suo figlio Sarpedone il saggio Zeus 
293       ὦρσεν ἐπ᾽ Ἀργείοισι λέονθ᾽ ὣς βουσὶν ἕλιξιν. 
non avesse aizzato, lanciato (da ὄρνυμι, in costruzione τινὰ
  ἐπί τινι), contro gli Argivi, come un leone (contro) i buoi dalle corna
  ricurve (da ἕλιξ , ικος, ὁ, ἡ, qui come aggettivo). 
294       αὐτίκα δ᾽ ἀσπίδα μὲν πρόσθ᾽ ἔσχετο
  πάντοσ᾽ ἐΐσην 
Subito tenne, imbracciò davanti a sè lo scudo rotondo, ben
  bilanciato, 
295       καλὴν χαλκείην ἐξήλατον, ἣν ἄρα χαλκεὺς 
bello, di bronzo, lavorato a martello (da ἐξήλατος , ον), che
  un fabbro (da χαλκεύς , έως, ὁ) 
296       ἤλασεν[1],
  ἔντοσθεν δὲ βοείας ῥάψε θαμειὰς 
aveva forgiato (da ἐλαύνω), e all’interno aveva cucito (da
  ῥάπτω) pelli di bue (da βόειος , α, ον, qui βοείη o βοέη (sc. δορή), ἡ, usato
  come sostantivo) numerose, ben compatte, 
297       χρυσείῃς ῥάβδοισι διηνεκέσιν περὶ
  κύκλον.[2] 
con cuciture (da ῥάβδος , ἡ, ma potrebbe anche trattarsi
  di chiodi, rivetti, perni) in oro (da χρύσεος , η, ον, Ep. χρύσειος , η, ον: Omero
  ed Esiodo hanno entrambe le forme χρύσεος e –ειος) continue, non interrotte
  (da διηνεκής , ές) lungo il cerchio, l’orlo esterno. 
298       τὴν ἄρ᾽ ὅ γε πρόσθε σχόμενος δύο δοῦρε
  τινάσσων 
PARAGONE à
  Questo egli tenendo, imbracciando di fronte a sè, scuotendo due lance, 
299       βῆ ῥ᾽ ἴμεν ὥς τε λέων ὀρεσίτροφος[3],
  ὅς τ᾽ ἐπιδευὴς 
mosse per andare, come un leone montano, allevato sulla
  montagna (da ὀρεσίτροφος, ον, = ὀρείτροφος), che in mancanza, digiuno (da ἐπιδευής
  , ές, poet. per ἐπιδεής, con il genitivo), 
300       δηρὸν ἔῃ κρειῶν, κέλεται δέ ἑ θυμὸς ἀγήνωρ 
di carni sia stato per lungo tempo, troppo a lungo, e
  l’animo eroico, coraggioso lo spinge 
301       μήλων πειρήσοντα καὶ ἐς πυκινὸν δόμον ἐλθεῖν: 
nel tentare di catturare (da πειράω, con il genitivo)
  delle pecore, ad entrare anche in un recinto (da δόμος , ὁ, (δέμω): qui da
  riferirsi specialmente ad un recinto per animali) chiuso (da πυκνός , ή, όν,
  poet. anche πυκινός , ή, όν); 
302       εἴ περ γάρ χ᾽ εὕρῃσι παρ᾽ αὐτόφι βώτορας ἄνδρας 
e se infatti trova lì vicino (da αὐτόφι(ν), avverbio, e
  gen. e dat. sing. e pl. epico di αὐτός , αὐτή, αὐτό: entrambe le
  interpretazioni possibili) uomini pastori (da βώτωρ , ορος, ὁ, = βοτήρ) 
303       σὺν κυσὶ καὶ δούρεσσι φυλάσσοντας περὶ μῆλα, 
mentre fanno la guardia (da φυλάσσω, qui con περί e
  l’acc.) alle greggo con cani (da κύων , ὁ ed ἡ, entrambe in Omero, ma più
  freq. il maschile) e bastoni, lance (da δόρυ , τό), 
304       οὔ ῥά τ᾽ ἀπείρητος μέμονε σταθμοῖο
  δίεσθαι, 
non davvero senza aver tentato (da ἀπείρητος , ον) ha
  voglia, ha intenzione (da μέμονα) di essere messo in fuga (da δίεμαι,
  normalmente transtivo in Omero, ma un uso passivo è anche in 23.475)
  attraverso l’ovile (da σταθμός, οῦ, ὁ), 
305       ἀλλ᾽ ὅ γ᾽ ἄρ᾽ ἢ ἥρπαξε μετάλμενος, ἠὲ καὶ αὐτὸς 
ma quello o slanciandosi (da μεθάλλομαι) cattura, germisce
  una preda (da ἁρπάζω), oppure anche lui stesso 
306       ἔβλητ᾽ ἐν πρώτοισι θοῆς ἀπὸ χειρὸς ἄκοντι[4]: 
viene colpito (da βάλλω) tra i primi, come un eroe, con un
  dardo (da ἄκων , οντος, ὁ) da una rapida mano. 
307       ὥς ῥα τότ᾽ ἀντίθεον Σαρπηδόνα θυμὸς ἀνῆκε[5] 
Così allora l’animo spinse (da ἀνίημι) Sarpedone, simile a
  un dio, 
308       τεῖχος ἐπαΐξαι διά τε ῥήξασθαι ἐπάλξεις. 
a balzare (da ἐπαίσσω, qui con διά e l’acc.) attraverso il
  muro e a distruggere, abbattere le merlature. 
309       αὐτίκα δὲ Γλαῦκον[6]
  προσέφη παῖδ᾽ Ἱππολόχοιο: 
Immediatamente diceva a Glauco, figlio di Ippoloco: 
310       ‘ Γλαῦκε τί ἢ[7]
  δὴ νῶϊ τετιμήμεσθα μάλιστα 
« O Glauco, perché dunque noi
  due sopra tutti gli altri siamo onorati (da τιμάω) 
311       ἕδρῃ τε κρέασίν τε ἰδὲ πλείοις δεπάεσσιν[8] 
con il posto d’onore (da ἕδρα ,
  Ep. e Ion. ἕδρη , ἡ (ἕδος)), con carni (da κρέας , τό , dat. pl. κρέασι) e
  anche con coppe piene, ricolme (da πλέως , πλέα , πλέων, pl. πλέῳ, πλέᾳ, πλέα
  ; Ep. πλεῖος , η, ον) 
312       ἐν Λυκίῃ, πάντες δὲ θεοὺς ὣς εἰσορόωσι, 
in Licia, e tutti come dei (ci)
  guardano (da εἰσοράω), 
313       καὶ τέμενος νεμόμεσθα μέγα Ξάνθοιο παρ᾽
  ὄχθας 
e abitiamo, e ci dividiamo,
  abitiamo (da νέμω, in diatesi attiva lett. “distribuisco; divido; assegno”,
  qui è abitato perché è stato assegnato dai Lici), un grande appezzamento
  presso le sponde dello Xanto 
314       καλὸν φυταλιῆς καὶ ἀρούρης πυροφόροιο; 
bello di alberi (da φυταλιά , -ιᾶς, Ion. φυταλιή , ἡ, (φυτόν))
  e di terra arabile (da ἄρουρα , ἡ, (ἀρόω)) fertile, che produce frumento (da
  πυροφόρος , ον, (πυρός)) ? 
315       τὼ νῦν χρὴ Λυκίοισι μέτα πρώτοισιν ἐόντας 
Per questo (da τῷ, τῶ : dat. di τό) ora conviene, è
  necessario che schierandoci fra i primi Lici 
rimaniamo saldi e affrontiamo, prendiamo parte a (da ἀντιβολέω,
  con il genitivo della cosa cui si prende parte), la battaglia furiosa,
  infuocata (da καύστειρα , fem. di καυστήρ , solo come aggettivo al genitivo), 
317       ὄφρά τις ὧδ᾽ εἴπῃ[10]
  Λυκίων πύκα θωρηκτάων: 
affinchè ciascuno tra i Lici armati di corazza, corazzati
  (da θωρηκτής , οῦ, ὁ, (θωρήσσω)), in modo spesso, pesante (da πύκα) possa
  parlare in questo modo: 
« Non davvero senza gloria (da ἀκλεής , ές) governano (da κοιρανέω
  , con ἀνά, κατά, διά τινας; oppure κατακοιρανέω in tmesi) sopra la Licia 
319       ἡμέτεροι βασιλῆες, ἔδουσί τε πίονα μῆλα 
i nostri re, e consumano pecore grasse 
320       οἶνόν τ᾽ ἔξαιτον μελιηδέα: ἀλλ᾽ ἄρα καὶ
  ἲς 
e vino scelto, eccellente (da ἔξαιτος , ον, (ἐξαίνυμαι)),
  dolce come il miele (da μελιηδής , ές , (ἡδύς)); ma anche la (loro) forza 
321       ἐσθλή, ἐπεὶ Λυκίοισι μέτα πρώτοισι
  μάχονται. 
(è) grande, dal momento che fra i primi Lici combattono. 
322       ὦ πέπον εἰ μὲν γὰρ πόλεμον περὶ τόνδε
  φυγόντε 
O caro, se noi due, una volta scampati (da περιφεύγω in
  tmesi, con l’accusativo) a questa guerra 
324       ἔσσεσθ᾽, οὔτέ κεν αὐτὸς ἐνὶ πρώτοισι μαχοίμην 
sempre fossimo destinati (da μέλλω) ad esistere senza
  vecchiaia e senza morte, io stesso non combatterei tra i prmi, tra le prime
  file, 
325       οὔτέ κε σὲ στέλλοιμι μάχην ἐς κυδιάνειραν: 
né spingerei, manderei (da στέλλω), te alla battaglia che
  porta gloria agli uomini (da κυδιάνειρα , ἡ, (κῦδος)). 
326       νῦν δ᾽ ἔμπης γὰρ[13]
  κῆρες ἐφεστᾶσιν θανάτοιο 
Ora però, comunque, dal momento che le Kere, i destini (da
  Κήρ , ἡ), di morte (ci) sovrastano (da ἐφίστημι) 
327       μυρίαι, ἃς οὐκ ἔστι φυγεῖν βροτὸν οὐδ᾽
  ὑπαλύξαι, 
innumerevoli, che non è possibile che un uomo fugga o
  eviti, 
328       ἴομεν ἠέ τῳ εὖχος ὀρέξομεν ἠέ τις ἡμῖν ’. 
andiamo, o a qualcuno daremo (da ὀρέγω) vanto, o qualcuno
  a noi ». 
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Paragone 
I re valorosi meritano i loro privilegi 
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294 
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αὐτίκα δ᾽ ἀσπίδα μὲν
  πρόσθ᾽ ἔσχετο πάντοσ᾽ ἐΐσην 
καλὴν χαλκείην ἐξήλατον,
  ἣν ἄρα χαλκεὺς 
ἤλασεν, ἔντοσθεν δὲ
  βοείας ῥάψε θαμειὰς 
χρυσείῃς ῥάβδοισι
  διηνεκέσιν περὶ κύκλον. 
Ed ecco si tenne
  davanto lo scudo tutto rotondo, 
bello, di bronzo,
  lavorato a martello; un fabbro 
lo martellò, e
  numerose dentro cucì le pelli di bue 
con punte d’oro che
  tutt’intorno le trapassavano. 
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Citazione 
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326 
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νῦν δ᾽ ἔμπης γὰρ κῆρες
  ἐφεστᾶσιν θανάτοιο 
μυρίαι, ἃς οὐκ ἔστι
  φυγεῖν βροτὸν οὐδ᾽ ὑπαλύξαι, 
ἴομεν ἠέ τῳ εὖχος ὀρέξομεν
  ἠέ τις ἡμῖν. 
ma di continuo ci
  stanno intorno Chere di morte 
innumerevoli, né può
  sfuggirle o evitarle il mortale. 
Andiamo: o noi
  daremo gloria a qualcuno o a noi quello. 
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Citazione 
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I famosi versi 310-21 costituiscono la più chiara
affermazione, la più chiara dichiarazione, nell’Iliade degli imperativi che governano
la vita eroica, e la giustificazione di quest’ultima. È una specie di contratto
sociale, così come lo enuncia Sarpedone: valore in cambio di onore, Si veda
Adkins, Arthur, Merit and Responsibility:
a Study in Greek Values, 1960, Oxford, Clarendon Press. Prima viene
l’onore, dal momento che solo i fondatori delle dinastie ottennero il trono
dimostrando per primi valore (come Bellerofonte, 6.171-95; poi i loro
successori ereditarono il loro stato, e possono, come qui, dover rammentare a
se stessi gli obblighi che ciò comporta. Almeno Sarpedone ammette e degli
obblighi - che è ben più di quello che Achille fa – in aggiunta alla ricompensa
del κλέος.
Si vedano poi ancora i versi 322-8 che seguono, e si
confronti la filosofia del combattimento di Sarpedone con quella di Odisseo (si
veda 19.233-7) e con il fatalismo di Ettore in 6.488-9). Questi versi non
seguono logicamente da 310-21, ma offrono una seconda, personale e più eroica
ragione per combattere: se la vita fosse certa, potremmo rinunciare alla fama
(si veda l’argomentazione di Achille in 9.410-16), ma la vita è incerta, quindi
combattiamo con valore e accertiamoci di ottenere una buona reputazione.
329 
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329       ὣς ἔφατ᾽, οὐδὲ Γλαῦκος ἀπετράπετ᾽ οὐδ᾽
  ἀπίθησε: 
Così diceva, né Glauco si girò, (gli) volse le spalle (da ἀποτρέπω),
  né (gli) disobbedì (da ἀπιθέω): 
330       τὼ δ᾽ ἰθὺς βήτην Λυκίων μέγα ἔθνος ἄγοντε. 
questi due andarono contro, guidando la grande, numerosa,
  filta schiera dei Lici. 
331       τοὺς δὲ ἰδὼν ῥίγησ᾽ υἱὸς Πετεῶο
  Μενεσθεύς:[14] 
Questi vedendo, rabbrividì, tremò (da ῥιγέω), il figlio di
  Peteoo, Menesteo: 
332       τοῦ γὰρ δὴ πρὸς πύργον ἴσαν κακότητα
  φέροντες. 
alla torre di questo infatti andavano, si dirigevano,
  portando la rovina, il disastro (da κακότης , ητος, ἡ, (κακός)). 
333       πάπτηνεν δ᾽ ἀνὰ πύργον Ἀχαιῶν εἴ τιν᾽ ἴδοιτο 
Guardò attentamente (da παπταίνω, sempre sintomo di paura,
  come detto esplicitamente in 11.546) sulla torre, lungo la torre degli Achei,
  se vedesse qualcuno 
334       ἡγεμόνων, ὅς τίς οἱ ἀρὴν ἑτάροισιν ἀμύναι: 
dei condottieri, qualcuno che gli evitasse (da ἀμύνω) la
  rovina (da ἀρή , ἡ, termine antico di incerta origine e formazione che compare
  in posizione formulare nell’Iliade e nell’Odissea); 
335       ἐς δ᾽ ἐνόησ᾽ Αἴαντε δύω πολέμου ἀκορήτω 
notò (da εἰσνοέω, in tmesi) allora i due Aiaci,
  insaziabili (da ἀκόρητος , ον, con il genitivo) di guerra 
336       ἑσταότας, Τεῦκρόν τε νέον κλισίηθεν ἰόντα 
che resistevano, fermi (da ἵστημι), e Teucr, che proprio
  allora stava uscendo dalla tenda 
337       ἐγγύθεν: ἀλλ᾽ οὔ πώς οἱ ἔην βώσαντι
  γεγωνεῖν: 
lì vicino; ma non era in alcun modo possibile a lui che
  gridava (da βοάω) parlare in modo chiaro, farsi comprendere (da *γεγωνέω,
  formato da γέγωνα); 
338       τόσσος γὰρ κτύπος ἦεν, ἀϋτὴ δ᾽ οὐρανὸν
  ἷκε, 
tale infatti era il rumore, il fragore (da κτύπος , ὁ), e
  il frastuono raggiungeva, giungeva fino a (da ἱκνέομαι), il cielo, 
339       βαλλομένων σακέων τε καὶ ἱπποκόμων
  τρυφαλειῶν 
degli scudi che venivano colpiti e degli elmi (da
  τρυφάλεια , ἡ) dalla chioma equina, dalla criniera equina (da ἱππόκομος, ον (κόμη)), 
340       καὶ πυλέων: πᾶσαι γὰρ ἐπώχατο, τοὶ δὲ
  κατ᾽ αὐτὰς 
e delle porte; tutte infatti erano state chiuse (da ἐπώχατο
  , ppf. passivo 3 pers. pl. from ἐπέχω), e quelli contro di esse 
341       ἱστάμενοι πειρῶντο βίῃ ῥήξαντες ἐσελθεῖν. 
stando fermi, accalcandosi, cercavano (da πειράω),
  sfondando con la forza, di entrare (da εἰσέρχομαι). 
342       αἶψα δ᾽ ἐπ᾽ Αἴαντα προΐει κήρυκα
  Θοώτην: 
Subito manda (da προίημι, il verbo indica rapidità,
  urgenza, essendo per lo più utilizzato nel senso di “scagliare”, riferito ad
  una lancia) da Aiace l’araldo Toote: 
343       ‘ ἔρχεο δῖε Θοῶτα, θέων Αἴαντα
  κάλεσσον, 
« O divino Toote, correndo, di corsa (da θέω), chiama,
  fai venire (da καλέω), Aiace, 
344       ἀμφοτέρω μὲν μᾶλλον: ὃ γάρ κ᾽ ὄχ᾽ ἄριστον
  ἁπάντων 
meglio, piuttosto, (chiama, fai venire) entrambe: questo
  infatti di gran lunga il meglio di tutte le cose 
345       εἴη, ἐπεὶ τάχα τῇδε τετεύξεται[15]
  αἰπὺς ὄλεθρος. 
sarebbe, dal momento che presto qui ci sarà (da τεύχω) una
  repentina (da αἰπύς , εῖα, ύ : il cui significato è “alto e ripido,
  scosceso”, in Omero per lo più di città costruite su rilievi scoscesi; qui il
  riferimento è alla morte vista con caduta in un precipizio) rovina (da , ὄλεθρος
  , ὁ) ! 
346       ὧδε γὰρ ἔβρισαν Λυκίων ἀγοί, οἳ τὸ
  πάρος περ 
Così, a tal punto, infatti premono (da βρίθω) i comandanti
  (da ἀγός , οῦ, ὁ, (ἄγω)) degli Achei, che anche prima, come sempre 
347       ζαχρηεῖς τελέθουσι κατὰ κρατερὰς ὑσμίνας. 
sono (da τελέθω, qui semplicemente “essere”) furiosi,
  rabbiosi (da ζαχρηής , ές, usato solo al pl.), nelle aspre battaglie. 
348       εἰ δέ σφιν καὶ κεῖθι πόνος καὶ νεῖκος ὄρωρεν, 
Ma se per essi anche laggiù è sorta (da ὄρνυμι) fatica e conflitto,
  battaglia (da νεῖκος , εος, τό), 
349       ἀλλά περ οἶος ἴτω Τελαμώνιος ἄλκιμος Αἴας, 
almeno anche solo venga il valoroso, forte Aiace
  Telamonio, 
350       καί οἱ Τεῦκρος ἅμα σπέσθω τόξων ἐῢ εἰδώς. 
e insieme a lui venga, segua (da ἕπομαι), Teucro, molto
  esperto nell’arco ». 
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Ancora un cenno al fatto che si tratta di un muro ben
  costruito, con torri e più porte 
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351 
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351       ὣς ἔφατ᾽, οὐδ᾽ ἄρα οἱ κῆρυξ ἀπίθησεν ἀκούσας, 
Così diceva, e l’araldo, dopo aver ascoltato, non gli
  disobbedisce (da ἀπιθέω), 
352       βῆ δὲ θέειν παρὰ τεῖχος Ἀχαιῶν
  χαλκοχιτώνων, 
e si muove per correre lungo il muro degli Achei dai
  chitoni di bronzo, 
353       στῆ δὲ παρ᾽ Αἰάντεσσι κιών, εἶθαρ δὲ
  προσηύδα:[16] 
e una volta giunto (da κίω) stette, si fermò presso gli
  Aiaci, e immediatamente diceva: 
354       ‘ Αἴαντ᾽ Ἀργείων ἡγήτορε χαλκοχιτώνων 
« O Aiaci, condottieri degli Argivi dai chitoni di bronzo, 
355       ἠνώγει Πετεῶο διοτρεφέος φίλος υἱὸς 
mi ha spinto il caro figlio di Peteoo alunno di Zeus 
356       κεῖσ᾽ ἴμεν, ὄφρα πόνοιο μίνυνθά περ ἀντιάσητον 
a venire qui, affinchè, anche per poco, veniate per (da ἀντιάω
  , con il genitivo: usato quando è implicato uno scopo, un obiettivo) (prender
  parte a) la fatica, la sofferenza, il combattimento (da πόνος , ὁ, (πένομαι)), 
357       ἀμφοτέρω μὲν μᾶλλον: ὃ γάρ κ᾽ ὄχ᾽ ἄριστον
  ἁπάντων 
meglio, piuttosto, (venite) entrambe: questo infatti di
  gran lunga il meglio di tutte le cose 
358       εἴη, ἐπεὶ τάχα κεῖθι τετεύξεται αἰπὺς ὄλεθρος: 
sarebbe, dal momento che presto là ci sarà (da τεύχω) una
  repentina (da αἰπύς , εῖα, ύ : il cui significato è “alto e ripido,
  scosceso”, in Omero per lo più di città costruite su rilievi scoscesi; qui il
  riferimento è alla morte vista con caduta in un precipizio) rovina (da , ὄλεθρος
  , ὁ) ! 
359       ὧδε γὰρ ἔβρισαν Λυκίων ἀγοί, οἳ τὸ
  πάρος περ 
Così, a tal punto, infatti premono (da βρίθω) i comandanti
  (da ἀγός , οῦ, ὁ, (ἄγω)) degli Achei, che anche prima, come sempre 
360       ζαχρηεῖς τελέθουσι κατὰ κρατερὰς ὑσμίνας. 
sono (da τελέθω, qui semplicemente “essere”) furiosi,
  rabbiosi (da ζαχρηής , ές, usato solo al pl.), nelle aspre battaglie 
361       εἰ
  δὲ καὶ ἐνθάδε περ πόλεμος καὶ νεῖκος ὄρωρεν, 
Ma se anche qui è sorta (da ὄρνυμι) fatica e conflitto, battaglia
  (da νεῖκος , εος, τό), 
362       ἀλλά περ οἶος ἴτω Τελαμώνιος ἄλκιμος Αἴας, 
almeno anche solo venga il valoroso, forte Aiace
  Telamonio, 
363       καί
  οἱ Τεῦκρος ἅμα σπέσθω τόξων ἐῢ εἰδώς ’. 
e insieme a lui venga, segua (da ἕπομαι), Teucro, molto
  esperto nell’arco ». 
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364 
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364       ὣς ἔφατ᾽, οὐδ᾽ ἀπίθησε μέγας
  Τελαμώνιος Αἴας. 
Così diceva, e non disobbedisce (da ἀπιθέω) il grande
  Aiace Telamonio. 
365       αὐτίκ᾽ Ὀϊλιάδην ἔπεα πτερόεντα
  προσηύδα: 
Immediatamente al figlio di Oileo diceva parole che
  volano: 
366       ‘ Αἶαν σφῶϊ μὲν αὖθι, σὺ καὶ κρατερὸς
  Λυκομήδης, 
« Aiace, voi due lì, tu e il forte Licofronte, 
367       ἑσταότες Δαναοὺς ὀτρύνετον ἶφι
  μάχεσθαι: 
rimanendo spingete (da ὀτρύνω) i Danai a combattere con
  vigore: 
368       αὐτὰρ ἐγὼ κεῖσ᾽ εἶμι καὶ ἀντιόω
  πολέμοιο: 
io invece muovo laggiù e vado per (prendere parte a) lo
  scontro, il combattimento 
369       αἶψα δ᾽ ἐλεύσομαι αὖτις, ἐπὴν εὖ τοῖς ἐπαμύνω. 
immediatamente ritornerò (da ἔρχομαι) indietro, dopo che
  (da ἐπήν , Ion. epico per ἐπάν (ἐπεὶ ἄν), con il congiuntivo dell’azione che
  dovrebbe ipoteticamente avverarsi) li avrò aiutati (da ἐπαμύνω , con τινί) ». 
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370 
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370       ὣς ἄρα φωνήσας ἀπέβη Τελαμώνιος Αἴας, 
Così dunque avendo parlato se ne va (da ἀποβαίνω) Aiace
  Telamonio, 
371       καί οἱ Τεῦκρος ἅμ᾽ ᾖε κασίγνητος καὶ ὄπατρος[17]: 
e con lui veniva Teucro, fratello e nato dallo stesso
  padre (da ὄπατρος , ον, = ὁμοπάτριος; 
372       τοῖς δ᾽ ἅμα Πανδίων Τεύκρου φέρε καμπύλα
  τόξα. 
e con loro Pandione portava l’arco ricurvo (da καμπύλος ,
  η, ον, (κάμπτω)) di Teucro. 
373       εὖτε Μενεσθῆος μεγαθύμου πύργον ἵκοντο 
Quando raggiunsero la torre del magnanimo Menesteo 
374       τείχεος ἐντὸς ἰόντες, ἐπειγομένοισι δ᾽
  ἵκοντο[18], 
procedendo all’interno (da ἐντός , opposto ad ἐκτός: con
  il genitivo; la preposizione di solito segue, ma può anche precedere) del
  muro, raggiunsero, trovarono (da ἱκνέομαι, ma qui con una persona come
  oggetto: con τινα , ἔς τινα , o più raramente con il dativo, come qui),
  (uomini) che erano allo stremo, oppressi, incalzati (da ἐπείγω), 
375       οἳ δ᾽ ἐπ᾽ ἐπάλξεις βαῖνον ἐρεμνῇ
  λαίλαπι[19]
  ἶσοι 
quelli salivano, si gettavano su (da ἐπιβαίνω , con l’acc.
  del luogo), le merlature, uguali a nera, scura (da ἐρεμνός , ή, όν),
  tempesta, 
376       ἴφθιμοι Λυκίων ἡγήτορες ἠδὲ μέδοντες: 
i gagliardi comandanti e le guide dei Lici: 
377       σὺν δ᾽ ἐβάλοντο μάχεσθαι ἐναντίον, ὦρτο
  δ᾽ ἀϋτή. 
si gettarono insieme, si scontrarono (da συμβάλλω, in
  tmesi), per combattere faccia a faccia, corpo a corpo, si alzò il grido di
  guerra. 
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L’arco deve essere abbastanza pesante 
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378 
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378       Αἴας δὲ πρῶτος Τελαμώνιος ἄνδρα
  κατέκτα 
Aiace Telamonio per primo uccise (da κατακτείνω) un
  guerriero, 
379       Σαρπήδοντος ἑταῖρον Ἐπικλῆα μεγάθυμον 
un compagno di Sarpedone, il valoroso, magnanimo Epicle, 
380       μαρμάρῳ ὀκριόεντι[20]
  βαλών, ὅ ῥα τείχεος ἐντὸς 
colpendo(lo) (da βάλλω, con dat. strumentale) con una pietra
  (da μάρμαρος , ὁ: si tratta di una pietra dall’aspetto cristallino, lucente,
  caratteristica cui si riferisce l’aggettivo μάρμαρος, cfr. 16.735), che
  all’interno del muro 
381       κεῖτο μέγας παρ᾽ ἔπαλξιν[21]
  ὑπέρτατος: οὐδέ κέ μιν ῥέα 
giaceva, grande, in cima (da ὑπέρτατος , η, ον, poet. superlativo
  di ὑπέρ), accanto al parapetto, accanto alla merlatura: né questo facilmente 
382       χείρεσσ᾽ ἀμφοτέρῃς ἔχοι ἀνὴρ οὐδὲ μάλ᾽
  ἡβῶν, 
con entrambe le mani potrebbe reggerlo un uomo, neppure
  nel pieno fiore degli anni (da ἡβάω, rafforzato da μάλα), 
383       οἷοι νῦν βροτοί εἰσ᾽[22]:
  ὃ δ᾽ ἄρ᾽ ὑψόθεν ἔμβαλ᾽ ἀείρας, 
quali sono gli uomini oggi; quello dunque, invece, dopo
  averlo sollevato (da ἀείρω), dall’alto (da ὑψόθεν) (lo) gettò (da ἐμβάλλω, ἐ.
  τινί (sc. μάρμαρον), sottinteso), 
384       θλάσσε δὲ τετράφαλον κυνέην[23],
  σὺν δ᾽ ὀστέ᾽ ἄραξε 
385       πάντ᾽ ἄμυδις κεφαλῆς: 
fracassò l’elmo a quattro creste, e insieme ruppe, fece a
  pezzi (da ἀράσσω), le ossa della testa, tutte quante insieme  
386       ὃ δ᾽ ἄρ᾽ ἀρνευτῆρι ἐοικὼς 
quello allora simile ad un tuffatore, ad un acrobata (da ἀρνευτήρ
  , ῆρος, ὁ), 
386       κάππεσ᾽ ἀφ᾽ ὑψηλοῦ πύργου, λίπε δ᾽ ὀστέα
  θυμός. 
cadde giù (da καταπίπτω) dall’alta torre, la vita lasciò
  le (sue) ossa. 
387       Τεῦκρος δὲ Γλαῦκον[24]
  κρατερὸν παῖδ᾽ Ἱππολόχοιο 
Teucro colpì Glauco, il forte figlio di Ippoloco, con una
  freccia mentre stava balzando contro, assaltando (da ἐπισεύω, qui con il
  genitivo, ma si trova in Omero anche con il dativo e l’accusativo), l’alto
  muro, 
389       ᾗ ῥ᾽ ἴδε γυμνωθέντα βραχίονα, παῦσε δὲ
  χάρμης. 
(lo colpì) dove vide il braccio (da βραχίων , ονος, ὁ)
  scoperto, nudo (da γυμνόω), (lo) faceva desistere (da παύω, con l’accusativo
  della persona ed il genitivo della cosa: per lui metteva fine alla guerra, lo
  obbligava e cessare di combattere). 
390       ἂψ δ᾽ ἀπὸ τείχεος ἆλτο λαθών, ἵνα μή τις Ἀχαιῶν 
(Egli) indietro, di nuovo (da ἄψ), via dal muro, giù dal
  muro saltò, nascondendosi, di nascosto, furtivamente (da λανθάνω), affinchè
  nessuno degli Achei 
391       βλήμενον ἀθρήσειε καὶ εὐχετόῳτ᾽ ἐπέεσσι. 
lo vedesse (da ἀθρέω) colpito e si vantasse (da εὐχετάομαι,
  Ep. per εὔχομαι, solo presente e imperfetto) con parole. 
392       Σαρπήδοντι δ᾽ ἄχος γένετο Γλαύκου ἀπιόντος 
A Sarpedono venne dolore perché Glauco partiva, se ne
  andava (da ἄπειμι (εἶμι)), 
393       αὐτίκ᾽ ἐπεί τ᾽ ἐνόησεν: ὅμως δ᾽ οὐ
  λήθετο χάρμης, 
immediatamente, quando se ne accorse; e comunque,
  nondimeno (da ὅμως , da ὁμῶς, con cambiamento di accento, usato per limitare
  il senso di un’intera frase: neologismo di Omero al posto dell’epico ἔμπης,
  usato solo qui e in Odissea 11.565), non si scordava (da λανθάνω, con il
  gen.) della battaglia, 
394       ἀλλ᾽ ὅ γε Θεστορίδην Ἀλκμάονα δουρὶ
  τυχήσας 
ma egli Alcmaone[26],
  figlio di Testore, avendo colpito (da τυγχάνω) con la lancia 
395       νύξ᾽, ἐκ δ᾽ ἔσπασεν ἔγχος: ὃ δ᾽ ἑσπόμενος
  πέσε δουρὶ 
trafisse, trapassò (da νύσσω), e tirò fuori (da ἐκσπάω,
  cfr. ἐξέσπασε μείλινον ἔγχος in 6.65) l’asta; quello seguendo (da ἕπομαι, con
  il dativo) la lancia cadde (da πίπτω) 
396       πρηνής, ἀμφὶ δέ οἱ βράχε τεύχεα
  ποικίλα χαλκῷ[27], 
con la faccia in giù, e su di lui, sopra e sotto di lui
  risuonarono, rimbombarono (da βραχεῖν , aoristo senza presente in uso), le
  armi abilmente lavorate, cesellate (da ποικίλος , η, ον), nel bronzo, 
397       Σαρπηδὼν δ᾽ ἄρ᾽ ἔπαλξιν ἑλὼν χερσὶ
  στιβαρῇσιν 
Sarpedone allora afferrato (da αἱρέω) con le forti (da στιβαρός
  , ά, όν, freq. in Omero ed Esiodo, riferito alle braccia dell’uomo) mani il
  parapetto 
398       ἕλχ᾽,
  ἣ δ᾽ ἕσπετο πᾶσα διαμπερές, αὐτὰρ ὕπερθε 
(lo) tirava via, giù (da ἕλκω), e quello tutto, tutto
  intero seguì, venne dietro, cedette (da ἕπομαι), completamente, fino in
  fondo, e allora al di sopra 
399       τεῖχος ἐγυμνώθη, πολέεσσι δὲ θῆκε
  κέλευθον. 
il muro venne messo a nudo, venne lasciato scoperto, e
  fece, stabilì un passaggio per molti. 
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Epicle (T) 
Alcmaone (A) 
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400 
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Agendo simultaneamente (da ὁμαρτέω, è ὁμαρτήσαντε, part.
  aor. duale attivo) Aiace e Teucro, costui l’uno con una freccia 
401       βεβλήκει τελαμῶνα περὶ στήθεσσι φαεινὸν 
colpì (da βάλλω, con il doppio accusativo della persona e
  della parte) alla cinghia, al telamone splendente 
402       ἀσπίδος ἀμφιβρότης: ἀλλὰ Ζεὺς κῆρας ἄμυνε 
dello scudo che protegge l’intero corpo (da ἀμφίβροτος ,
  η, ον, anche ος, ον, in Omero sempre ἀμφιβρότη ἀσπίς , si veda per esempio
  2.389): ma Zeus teneva lontano (da ἀμύνω, con l’acc. della minaccia ed il
  gen. della persona; invece del gen. si trova in Omero anche il dat.) il
  demone della morte 
403       παιδὸς ἑοῦ, μὴ νηυσὶν ἔπι πρύμνῃσι[29]
  δαμείη: 
da suo figlio, affinchè non fosse ucciso, sopraffatto (da δαμάζω),
  accanto alle poppe delle navi; 
404       Αἴας δ᾽ ἀσπίδα νύξεν ἐπάλμενος, οὐδὲ διὰ πρὸ 
405       ἤλυθεν ἐγχείη[30],
  στυφέλιξε δέ μιν μεμαῶτα. 
Aiace invece balzando in avanti (da ἐφάλλομαι) trafisse,
  colpì lo scudo, ma la lancia avanti non trapassò (da διέρχομαι, in tmesi), e
  colpì forte (da στυφελίζω) lui furente. 
406       χώρησεν δ᾽ ἄρα τυτθὸν ἐπάλξιος: οὐδ᾽ ὅ
  γε πάμπαν 
Si ritirò (da χωρέω, con il gen. della cosa o del luogo)
  allora un po’ (da τυτθός , όν, qui come avverbio) dal parapetto; ma non del
  tutto (da πάμπαν , avverbio , (πᾶς)) egli 
407       χάζετ᾽, ἐπεί οἱ θυμὸς ἐέλπετο κῦδος ἀρέσθαι. 
si ritirava, dal momento che il suo animo sperava (da ἔλπω)
  di ricevere, di ottenere (da ἄρνυμαι), la gloria. 
408       κέκλετο δ᾽ ἀντιθέοισιν ἑλιξάμενος
  Λυκίοισιν: 
Voltatosi (da ἑλίσσω), incita, esorta (da κέλομαι, con il
  dativo), i Lici divini: 
409       ‘ ὦ Λύκιοι τί τ᾽ ἄρ᾽ ὧδε μεθίετε
  θούριδος ἀλκῆς; 
« O Lici, perché dunque in questo modo desistete (da
  μεθίημι, con il gen. della cosa) dalla forza (da ἀλκή , ἡ) impetuosa (da θοῦρις
  , ιδος, ἡ, femm. di θοῦρος , ον, (θρῴσκω): che spinge alla battaglia) ? 
410       ἀργαλέον δέ μοί ἐστι καὶ ἰφθίμῳ περ ἐόντι 
Mi è arduo, difficile, pur anche essendo forte, gagliardo, 
411       μούνῳ ῥηξαμένῳ θέσθαι παρὰ νηυσὶ
  κέλευθον: 
(a me) che sfondo (da ῥήγνυμι) da solo (da μόνος , η, ον,
  Ep. e Ion. μοῦνος , la sola forma utilizzata da Omero), stabilire, aprire (da
  τίθημι), un varco, un percorso alle navi; 
412       ἀλλ᾽ ἐφομαρτεῖτε: πλεόνων δέ τι ἔργον ἄμεινον
  ’. 
ma venite, accompagnatemi (da ἐφομαρτέω): un’azione,
  un’opera di molti (è) migliore ». 
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413 
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413       ὣς ἔφαθ᾽, οἳ δὲ ἄνακτος ὑποδείσαντες ὁμοκλὴν 
Così parlava, e quelli atterriti per, provando soggezione
  di fronte a (da ὑποδείδω, con l’acc.), il rimprovero (da ὁμοκλή , ἡ, oppure ὀμοκλή)
  del (loro) signore, 
414       μᾶλλον ἐπέβρισαν βουληφόρον[31]
  ἀμφὶ ἄνακτα. 
di più premono, si affollano (da ἐπιβρίθω), intorno al
  (loro) saggio (da βουληφόρος , ον) comandante. 
415       Ἀργεῖοι δ᾽ ἑτέρωθεν ἐκαρτύναντο
  φάλαγγας 
Gli Argivi dall’altra parte serrano, rinsaldano,
  consolidano (da καρτύνω , Ep. per κρατύνω), le file 
416       τείχεος ἔντοσθεν, μέγα δέ σφισι
  φαίνετο ἔργον: 
all’interno (da ἔντοσθε ed ἔντοσθεν , quest’ultimo sia di
  fronte a vocali che di fronte a consonanti: assoluto o come preposizione con
  il genitivo) del muro, e a loro l’impresa sembrava ardua. 
417       οὔτε γὰρ ἴφθιμοι Λύκιοι Δαναῶν ἐδύναντο 
né infatti i Lici gagliardi riuscivano (da δύναμαι), dei
  Danai 
418       τεῖχος ῥηξάμενοι θέσθαι παρὰ νηυσὶ
  κέλευθον, 
una volta sfondato (da ῥήγνυμι) il muro, a stabilire,
  aprire (da τίθημι), un varco, un percorso alle navi; 
419       οὔτέ ποτ᾽ αἰχμηταὶ Δαναοὶ Λυκίους ἐδύναντο 
né in alcun modo i Danai portatori di lancia (da αἰχμητής
  , οῦ, ὁ, (αἰχμή)) riuscivano i Lici 
420       τείχεος ἂψ ὤσασθαι, ἐπεὶ τὰ πρῶτα
  πέλασθεν. 
a spingere, a ricacciare (da ὠθέω, “spingere via da”, con
  il genitivo), indietro dal muro, dopo che in un primo tempo si erano
  avvicinati (da πελάζω). 
421       ἀλλ᾽ ὥς τ᾽ ἀμφ᾽ οὔροισι[32]
  δύ᾽ ἀνέρε δηριάασθον 
PARAGONE à
  Ma come intorno ai confini, alle pietre di confine (da ὅρος , Ion. οὖρος , ὁ),
  due uomini disputano (da δηριάομαι) 
422       μέτρ᾽ ἐν χερσὶν ἔχοντες ἐπιξύνῳ[33]
  ἐν ἀρούρῃ, 
tenendo in mano gli strumenti di misura (da μέτρον , τό)
  in un campo in comune (da ἐπίξυνος , ον, poet. per ἐπίκοινος), 
423       ὥ τ᾽ ὀλίγῳ ἐνὶ χώρῳ ἐρίζητον περὶ ἴσης, 
(due uomini) che in un piccolo spazio (da χῶρος , ὁ)
  contendono, disputano (da ἐρίζω) per una (parte) uguale, giusta (da ἴσος , η,
  ον, Ep. ἶσος ed ἔϊσος , qui sc. “parte” , ἴση μοῖρα), 
424       ὣς ἄρα τοὺς διέεργον ἐπάλξιες: οἳ δ᾽ ὑπὲρ
  αὐτέων[34] 
così dunque i parapetti dividevano, tenevano separati (da διείργω),
  questi; quelli sopra di essi 
425       δῄουν ἀλλήλων ἀμφὶ στήθεσσι βοείας 
squarciano, colpiscono (da δηιόω), gli uni degli altri
  intorno al petto le protezioni in pelli di bue (da βόειος , α, ον, Ep. e Ion.
  βόεος , η, ον , come aggettivo; βοείη ovvero βοέη (sc. δορή), ἡ, come sostantivo) 
426       ἀσπίδας εὐκύκλους λαισήϊά τε
  πτερόεντα.[35] 
(ovvero) gli scudi (da ἀσπίς , ίδος, ἡ,) rotondi (da εὔκυκλος
  , ον) e le targhe (da λαισήιον, ου, τό: probilmente uno scudo più leggero
  dell’ἀσπίς, di forma oblunga e non circolare, realizzato con pelli non
  conciate, grezze; o circolare, del tipo del brocchiero) leggere, alate (da
  πτερόεις , εσσα, εν, che può riferirsi anche al pelo svolazzante, tremolante,
  lasciato sullo scudo, non conciato). 
427       πολλοὶ δ᾽ οὐτάζοντο κατὰ χρόα νηλέϊ
  χαλκῷ, 
Molti venivano feriti (da οὐτάζω) nel corpo, nella carne,
  dal bronzo crudele, spietato, 
sia (quello) al quale, voltatosi indietro (da στρέφω), la
  schiena (da μετάφρενον , τό, qui al plurale per una singola persona) venisse
  lasciata scoperta (da γυμνόω) 
429       μαρναμένων, πολλοὶ δὲ διαμπερὲς ἀσπίδος αὐτῆς. 
tra i combattenti (da μάρναμαι), ma molti anche attraverso
  (da διαμπερές , qui preposizione con il genitivo) lo stesso scudo. 
430       πάντῃ δὴ πύργοι καὶ ἐπάλξιες αἵματι
  φωτῶν 
Dappertutto le torri ed i parapetti dal sangue degli
  uomini 
431       ἐρράδατ᾽ ἀμφοτέρωθεν ἀπὸ Τρώων καὶ Ἀχαιῶν. 
erano macchiati (da ῥαίνω, ἐρράδατ(ο) è singolare perfetto
  in -δ- testimonianza della vitalità linguistica della Kunstsprache), da entrambe le parti, dai Troiani e dagli Achei. 
432       ἀλλ᾽ οὐδ᾽ ὧς ἐδύναντο φόβον ποιῆσαι Ἀχαιῶν, 
PARAGONE à
  Ma neppure in questo modo riuscivano a provocare la fuga, la rotta degli
  Achei, 
433       ἀλλ᾽ ἔχον ὥς τε τάλαντα γυνὴ χερνῆτις ἀληθής, 
ma (questi) tenevano, resistevano come (mantiene in
  equilibrio, (sc.ἔχει)) una bilancia una attenta (da ἀληθής , ές: nel senso di
  “non sbadata, attenta”, mentre il significato “onesta” è post-omerico) donna
  lavoratrice (da χερνῆτις , ιδος, agg. letteralmente “che fila per una paga
  giornaliera”), 
434       ἥ τε σταθμὸν ἔχουσα καὶ εἴριον ἀμφὶς ἀνέλκει 
che solleva (da ἀνέλκω) da una parte e dall’altra (da ἀμφίς),
  tenendo un peso (da σταθμόν , τό, = σταθμός) e della lana (da ἔριον , τό,
  Ion. εἴριον, sempre questa seconda forma in Omero), 
435       ἰσάζουσ᾽[37],
  ἵνα παισὶν ἀεικέα μισθὸν ἄρηται: 
cercando di pareggiare (da ἰσάζω), per guadagnare (da ἄρνυμαι)
  un magro, misero (da ἀεικής , ές), compenso (da μισθός , ὁ) per i figli; 
436       ὣς μὲν τῶν ἐπὶ ἶσα[38]
  μάχη τέτατο πτόλεμός τε, 
allo stesso modo, di questi in egual misura era
  pareggiata, era mantenuta in equilibro (da τείνω), la guerra e la battaglia, 
437       πρίν γ᾽ ὅτε δὴ[39]
  Ζεὺς κῦδος ὑπέρτερον Ἕκτορι δῶκε 
finchè Zeus non diede la gloria, la fama ancora più grande
  ad Ettore, 
438       Πριαμίδῃ, ὃς πρῶτος ἐσήλατο τεῖχος Ἀχαιῶν.[40] 
figlio di Priamo, che per primo riuscì a saltare, saltò,
  superò (da εἰσάλλομαι), il muro degli Achei. 
439       ἤϋσεν δὲ διαπρύσιον Τρώεσσι γεγωνώς:[41] 
poi grida forte (da αὔω) ai Troiani con voce penetrante
  (da διαπρύσιος , α, ον, come avverbio), in modo da farsi sentire (da γέγωνα,
  “mi faccio sentire gridando, mi faccio riconoscere gridando”, al participio
  perfetto, vedi anche i versi 11.275 e 8.223): 
440       ‘ ὄρνυσθ᾽ ἱππόδαμοι Τρῶες, ῥήγνυσθε δὲ
  τεῖχος 
« Sorgete, o Troiani domatori di cavalli, sfondate, fate
  a pezzi (da ῥήγνυμι) il muro 
441       Ἀργείων καὶ νηυσὶν ἐνίετε θεσπιδαὲς πῦρ
  ’. 
degli Argivi, e alle navi scagliate (da ἐνίημι, quindi
  “appiccare (il fuoco)”) il fuoco portentoso, divino (da θεσπιδαής , ές,
  (δαίω): come acceso da un dio) ». 
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Paragone 
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Il settore che Ettore attacca e sfonda è probabilmente quello
che Aiace e Teucro abbandonano per andare in aiuto a Menesteo: il filo della
narrazione non è però facile da seguire. I versi 290-2 associano Ettore a
Sarpedone, e non c’è alcun indizio di un cambiamento di scena nel breve
passaggio 424-32 tra le due similitudini, la prima delle quali si riferisce
certamente all’attacco dei Lici, e la seconda più probabilmente alle forze che
combattono con Ettore. Poi, in 13.679-82 Ettore sta combattendo “dove il muro e
la porta aveva passato, / dopo aver sfondato le folte schiere dei Danai armari
di scudo, / là dov’erano tirate in secco le navi d’Aiace e Protesilao / sulla
riva del mare spumoso”. Ma il poeta non ci dice – sta a noi immaginarlo - di
quale degli Aiaci si tratti, né dove siano le navi di Protesilao. Il centro del
campo acheo, difeso in 13.313 da Aiace e Teucro, e visibile dall’accampamento
di Achille sulla destra, sembra essere una collocazione soddisfacente. In
questo caso Ettore ha attaccato di fronte alle navi di Aiace Oileo, e il suo
omonimo si è spostato nuovamente alla sua posizione precedente (oppure il
movimento per soccorrere Menesteo è stato trascurato) nel combattimento del
libro 13.
442 
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442       ὣς φάτ᾽ ἐποτρύνων, οἳ δ᾽ οὔασι πάντες ἄκουον, 
Così diceva, incitando (da ἐποτρύνω), e quelli tutti
  sentivano con le (proprie) orecchie (da οὖς , τό: Omero ha solo l’acc. sing.
  e dat. pl., gli altri casi formati da οὖας, da cui anche il dat. pl. οὔασι), 
443       ἴθυσαν δ᾽ ἐπὶ τεῖχος ἀολλέες: οἳ μὲν ἔπειτα 
e si gettarono (da ἰθύω) sul muro tutti insieme, in massa
  (da ἀολλής , ές); quelli poi 
444       κροσσάων[42]
  ἐπέβαινον ἀκαχμένα δούρατ᾽ ἔχοντες, 
scalarono (da ἐπιβαίνω, con il genitivo) le impalcature,
  tenendo, stringendo le lance appuntite (da ἀκαχμένος , η, ον, part. epico
  (cfr. ἀκή)), 
445       Ἕκτωρ δ᾽ ἁρπάξας λᾶαν φέρεν, ὅς ῥα
  πυλάων 
446       ἑστήκει πρόσθε πρυμνὸς παχύς, αὐτὰρ ὕπερθεν 
Ettore dopo aver(lo) afferrato (da ἁρπάζω) portava via un
  pietrone (da λᾶας , ὁ), che stava davanti (da πρόσθεν , in poesia πρόσθε, qui
  preposizione con il genitivo) alla porta, largo, grossolano (da παχύς , εῖα ,
  ύ) alla base (da πρυμνός , ή, όν), ma al di sopra 
447       ὀξὺς ἔην: τὸν δ᾽ οὔ κε δύ᾽ ἀνέρε δήμου ἀρίστω 
448       ῥηϊδίως ἐπ᾽ ἄμαξαν ἀπ᾽ οὔδεος ὀχλίσσειαν, 
era appuntito, tagliente, acuminato; questo due uomini, i
  migliori, i più forti del popolo, non avrebbero potuto sollevarlo (da ὀχλίζω)
  facilmente su un carro (da ἄμαξα , ἡ) da terra (da οὖδας , τό, gen. οὔδεος), 
449       οἷοι νῦν βροτοί εἰσ᾽: ὃ δέ μιν ῥέα
  πάλλε καὶ οἶος.[43] 
quali oggi sono i mortali (da βροτός , ὁ); lui facilmente
  lo palleggiava, lo roteava, lo agitava (da πάλλω), anche da solo. 
450       τόν οἱ ἐλαφρὸν ἔθηκε Κρόνου πάϊς ἀγκυλομήτεω. 
Questo a lui rese leggero (da ἐλαφρός , ά, όν) il figlio
  di Crono dai pensieri tortuosi, accorti. 
451       ὡς δ᾽ ὅτε ποιμὴν ῥεῖα φέρει πόκον ἄρσενος
  οἰὸς 
PARAGONE à
  Come quando un pastore facilmente, senza fatica porta la pelle, il vello (da πόκος
  , ὁ, (πέκω)), di un montone (da ὄις , gen. οἰός , ὁ , ἡ : sia
  per la pecora che per il montone, il sesso essendo specificato da un
  aggettivo) maschio (da ἄρσην , ὁ, ἡ, ἄρσεν, τό, gen. ἄρσενος) 
452       χειρὶ λαβὼν ἑτέρῃ, ὀλίγον τέ μιν ἄχθος
  ἐπείγει, 
prendendola con l’altra (da ἕτερος , α, ον, qui nel senso
  di una di due) mano, con una mano, e lui un piccolo peso (da ἄχθος , εος, τό)
  grava, opprime (da ἐπείγω), 
453       ὣς Ἕκτωρ ἰθὺς σανίδων φέρε λᾶαν ἀείρας, 
così Ettore dopo aver(la) sollevata portava la pietra
  contro (da ἰθύς, o meno frequente ἰθύ, come preposizione con il gen.) le
  tavole, le assi (da σανίς , ίδος, ἡ), 
che bene (da πυκνός , ή, όν, poet. anche πυκινός , ή, όν,
  entrambe le forme in epica) fermavano, tenevano chiusa (da ἐρύω), la porta
  saldamente (da στιβαρός , ά, όν) chiusa, connessa (da ἀραρίσκω), 
455       δικλίδας ὑψηλάς: δοιοὶ δ᾽ ἔντοσθεν ὀχῆες 
a due battenti (da δικλίς , ίδος, ἡ, (κλίνω)), altissima
  (da ὑψηλός , ή, όν); all’interno due (da δοιοί , αί, ά, Ep. per δύο) paletti,
  chiavistelli (da ὀχεύς , έως, Ep. ῆος, ὁ, (ἔχω)), 
456       εἶχον ἐπημοιβοί, μία δὲ κληῒς ἐπαρήρει. 
scorrevoli (da ἐπημοιβός , όν) (la) fermavano, (la)
  tenevano chiusa, ma un’unica serratura (da κλείς , ἡ, Ion. Κληΐς: Omero
  utilizza solo la forma ionica) chiudeva (da ἐπαραρίσκω). 
457       στῆ δὲ μάλ᾽ ἐγγὺς ἰών, καὶ ἐρεισάμενος
  βάλε μέσσας 
Si ferma, venendo molto vicino, e, assunta una posizione
  stabile, ferma (da ἐρείδω), (la) colpisce nel mezzo, nel centro, 
458       εὖ διαβάς, ἵνα μή οἱ ἀφαυρότερον βέλος
  εἴη, 
dopo aver ben divaricato le gambe (da διαβαίνω), affinchè
  il colpo non gli fosse debole, fiacco (da ἀφαυρός , ά, όν, quasi sempre al
  comparativo o al superlativo), 
459       ῥῆξε δ᾽ ἀπ᾽ ἀμφοτέρους θαιρούς[45]:
  πέσε δὲ λίθος εἴσω 
fracassò, divelse (da ἀπορρήγνυμι in tmesi), entrambe i
  cardini (da θαιρός , ὁ); all’interno cadde il pietrone, 
460       βριθοσύνῃ, μέγα δ᾽ ἀμφὶ πύλαι μύκον, οὐδ᾽
  ἄρ᾽ ὀχῆες 
con il (suo) peso (da βριθοσύνη , ἡ),  fortemente cigolarono (da μυκάομαι) i
  battenti da un lato e dall’altro, né i paletti 
461       ἐσχεθέτην, σανίδες δὲ διέτμαγεν ἄλλυδις
  ἄλλη 
tennero, ressero (da ἔχω), e le tavole vennero spaccate in
  mezzo (da διατμήγω), un pezzo di qua un pezzo di là 
462       λᾶος ὑπὸ ῥιπῆς: ὃ δ᾽ ἄρ᾽ ἔσθορε
  φαίδιμος Ἕκτωρ 
sotto il colpo, sotto l’impatto (da ῥιπή , ἡ, (ῥίπτω)),
  della pietra; quello allora si slanciò (da θρῴσκω), lo splendido Ettore, 
463       νυκτὶ
  θοῇ ἀτάλαντος ὑπώπια: λάμπε δὲ χαλκῷ 
simile alla rapida notte, per l’aspetto (da ὑπώπιον, ου,
  τό: indica “parti sottogli occhi”, quindi per estensione “aspetto”);
  splendeva nel bronzo 
464       σμερδαλέῳ, τὸν ἕεστο περὶ χροΐ, δοιὰ δὲ
  χερσὶ 
465       δοῦρ᾽
  ἔχεν: οὔ κέν τίς μιν ἐρύκακεν ἀντιβολήσας 
terribile, spaventoso, di cui era rivestito (da ἕννυμι,
  “rivestirsi di; indossare” con l’accusativo della cosa) intorno al corpo,
  teneva, stringeva con la mano due lance; nessuno l’avrebbe fermato,
  trattenuto (da ἐρύκω), andandogli incontro, 
466       νόσφι θεῶν[46]
  ὅτ᾽ ἐσᾶλτο πύλας: πυρὶ δ᾽ ὄσσε δεδήει. 
ad eccezione (da νόσφι , prima di una vocale o per
  esigenze metriche -φιν, ma può aversi elisione: qui come preposizione con il
  genitivo) degli dei, quando si lanciò contro (da εἰσάλλομαι) le porte; gli
  occhi fiammeggiavano (da δαίω, dove il neutro duale ὄσσε, così come il neutro
  plurale, si costruisce con il verbo al singolare) di fuoco. 
467       κέκλετο δὲ Τρώεσσιν ἑλιξάμενος καθ᾽ ὅμιλον 
Voltatosi (da ἑλίσσω) verso la massa, incita, esorta (da κέλομαι,
  con il dativo), i Troiani 
468       τεῖχος ὑπερβαίνειν: τοὶ δ᾽ ὀτρύνοντι
  πίθοντο. 
a passare il muro: quelli ascoltano, obbediscono a lui che
  incita. 
469       αὐτίκα δ᾽ οἳ μὲν τεῖχος ὑπέρβασαν, οἳ δὲ κατ᾽ αὐτὰς 
470       ποιητὰς ἐσέχυντο πύλας: 
Immediatamente alcuni superarono il muro, mentre altri
  dilagarono (da εἰσχέω) giù attraverso quella stessa porta ben costruita (da
  ποιητός , ή, όν, frequente in Omero, detto di edifici così come di armi,
  sempre nel senso di εὖ ποιητός); 
470       Δαναοὶ δὲ φόβηθεν 
i Danai vengono messi in fuga 
471       νῆας ἀνὰ γλαφυράς, ὅμαδος δ᾽ ἀλίαστος ἐτύχθη.[47] 
in mezzo a, verso le navi ricurve, e un frastuono (da ὅμαδος
  , ὁ) incessante, irriducibile, tremendo (da ἀλίαστος , ον, (λιάζομαι)),
  scoppiò, si alzò (da τεύχω). 
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Paragone 
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La scena dei Troiani che dilagano attraverso il muro, con
l’interso frastuono della battaglia, si ripete in 15.395-6, quando Patroclo
viene richiamato alla realtà dal frastuono che emerge, mentre si trova ancora
nella tenda di Euripilo. Il filo del racconto è come al solito sequenziale, il
che dà luogo a situazioni poco plausibili come la prolungata inattività di
Nestore e Patroclo, mentre intorno a loro la strage va avanti. Come già
anticipato altrove, la serie di eventi dei libri 12-15, o almeno la maggior
parte di questi, sono sequenziali, a devono essere visti come simultanei.
Il libro si chiude con una nota di suspense dopo la
conclusione del primo episodio di aattacco-ritirata degli Achei. Questo è certo
un buon momento per il cantore per fare una pausa: la linghezza di questa pausa
è però un punto dubbio, dal momento che il libro 12 ed il libro 13 sono
certamente collegati da anticipazioni e richiami. I comandanti del breve
catalogo di 12.88-102 sono gli autori delle stragi del libro 13; Polidamante
ripete il suo consiglio ad Ettore; Menesteo continua e conclude la sua mediocre
carriera; atroci uccisioni (11.146, 11.261) ricorrono in 13.202 e 14.497; minori
dettagli espressivi vengono ripresi dal poeta: per esempio πᾶς δ᾽ ἄρα χαλκῷ /
σμερδαλέῳ (13.191-2) fonde πᾶς δ᾽ ἄρα χαλκῷ (11.65) e χαλκῷ / σμερδαλέῳ
(12.463-4), mentre σθένεϊ μεγάλῳ (12.224) ricorre in 13.193.
[1] ἐλαύνειν
– e si veda anche ἐξήλατον (295) - è la vox propria per il processo di lavorare
il bronzo in uno strato convesso per formare lo strato esterno dello scudo. Lo
stesso processo è descritto con maggiore enfasi sullo strato di cuoio interno,
in 7.219-23.
[2] Per le
azioni di un guerriero che si prepare all’assalto, e la costruzione del suo
scudo, si veda 13.803-4. La breve descrizione dell’armamento di Sarpedone è un
esempio di quella che gli scolii chiamano αὔξησις: innalza la reputazione di un
guerriero agli occhi dell’uditorio del poeta.
[3] Si veda
in Odissea, 6.130-4.
[4] Si
confronti 11.675 (ἔβλητ᾽ ἐν πρώτοισιν ἐμῆς ἀπὸ χειρὸς ἄκοντι): qui è Nestore
che racconta le sue gesta nell’epica pilia. Qui però. Al verso 306 ἐν πρώτοισιν
è un’espressione illogica nel suo senso proprio, “tra i primi, tra le prime
file”, rimanendo una vuota porzione di una formula. A meno che la stessa abbia
perso un altro significato. Qui si può tradurre con un “come un eroe”.
[5] Qui θυμὸς
ἀνῆκε è una formula (8x con le sue variani nell’Iliade), più forte di θυμὸς ἀνώγει
(15x nell’Iliade con le sue varianti).
[6] Si
ricordi l’episodio dell’incontro con Diomede nel libro 6.
[7] Qui τί ἢ
, o τίη , è forma rafforzata di dell’interrogativa “τί;”.
[8] Qui 311
= 8.162.
[9] Si veda 4.431-2.
[10]
L’espressione ὄφρά τις ὧδ᾽ εἴπῃ (εἴπῃσι(ν)) è formulare: si veda anche 7.300.
[11] Si veda la nota a 4.512.
[12] Si veda 8.539 (εἴην ἀθάνατος καὶ ἀγήρως
ἤματα πάντα) o 2.447 (αἰγίδ᾽ ἔχουσ᾽ ἐρίτιμον ἀγήρων ἀθανάτην τε). Non
invecchiare e non morire vanno di pari passo : ma si veda anche il mito di
Eos e Titono, che vengono citati nell’Iliade all’inizio del libro 11.
[13] Il γὰρ
deve essere tradotto come “poiché; dal momento che”, e rende conto di ἴομεν
(328). E Κήρ è il demone della morte personificato, o materializzato come scena
della kerostasia (8.68, 22.209)
[14] Questa
è la prima apparizione di Menesteo dal momento in cui è stato rimproverato da
Agamennone durante l’Ἐπιπώλησις. Il suo comportamento poco eroico è tipico: in
13.190-7 recupera il corpo di Anfimaco mentre Aiace tiene lontani i Troiani; e
in 13.685 egli, insieme a molti altri, non riesce a tenere lontano Ettore. Il
suo luogotenenteviene ucciso in 15.329, dopo di che il poeta lo dimentica. Il
suo particolare talento, non illustrato nell’Iliade, era quello di schierare i
guerrieri e i cavalli, 2.553-5. Figlio di Peteoo, esistono su di ui riferimenti
nella tradizione post-omerica, che evidentemente voleva cercare di rendere
conto della sua misteriosa appirizione qui, nell’Iliade. Il suo ruolo nel poema
omerico è assolutamente incospicuo, e l’eroe passa del tutto inosservato, e
nulla relativo a Menesteo che non sia chiaramente inventato è noto in periodo
storico. Insieme a Odisseo viene rimproverato da Agamennone durante l’ispezione
delle truppe, in 4.327-48 (ma anche Diomede viene rimproverato, e rimane in
silenzio proprio come Menesteo); rimane isolato durante il combattimento (una
scena tipica) e fa chiamare in suo aiuto gli Aiaci in 12.331-77; in 13.190-7 Menesteo
e gli Aiaci stanno combattendo vicini, con questi ultimi in un ruolo più
evidente; nel ‘piccolo catalogo’ di 13.689-91 egli appare in compagnia di
alcuni luogotenenti altrimenti sconosciuti, uno dei quali viene uscito in
occasione dell’ultima menzione di Menesteo in 15.329-31. Page parla di un dismal record, un resoconto disastroso,
ma forse il giudizio è esagerato, e non è comunque esattamente quello che ci si
aspetterebbe del comandante del contingente ateniese, visto che Atene era una
città di una qualche importanza nel mondo miceneo, e sopravvisse in modo
piuttosto egregio durante la cosiddetta età buia, recuperando in modo
significativo dopo il periodo di Omero.
Rimane comunque il fatto che Menesteo non compare nel
resto dell’Iliade, e la sua associazione con i più valorosi Aiaci nei libri 12
e 13 è apparentemente inorganica. Compare tra l’altro, quasi certamente, cme
pretendente ateniese alla mano di Elena nel Catalogo
delle donne esiodeo (fr. 200.3 M-W). Doveva dunque essere conosciuto alla
generale tradizione eroica, così come alla poesia catalogica per generazioni.
Questo non fa però di lui, come ritiene Page, specificamente un relitto di
epoca micenea, per quanto potesse comunque esserlo. La tentazione di metterlo
da parte in favore di uno dei figli di Teseo, come accade nella tradizione
ciclica, viene respinta, anche quando il testo omerico è sotto forte controllo
ateniese durante il sesto secolo a.C. attraverso tenzoni rapsodiche come le
Panatenee.
La genealogia della casa reale ateniese registrata da
fonti più tarde è uno sforzo eroico di sistematizzazione. Menesteo, figlio di
Peteoo figlio di Orneo, era collocato nella quarta generazione di Eretteo si
veda la Vita di Teseo, 32, di Plutarco. Era la legittima linea di discendenza
di Egeo. Teseo era collegato attraverso due Pandioni al primo Cecrope. In
realtà la mtologia locale di Atene venne isolata, in modo notevole e senza
dubbio significativo, da quella del più vasto mondo eroico.
[15] Si veda
la nota al verso 4.84.
[16] Le
parole dell’araldo Toote ripetono fedelmente quelle di Menesteo, con i
necessari, minimi adattamenti.
[17] Il
termine ὄπατρος allude al fatto che Teucro è un figlio bastardo, non ὁμογάστριος.
Nell’epica i figli bastardi ricevono il loro stato, la loro condizione sociale,
dal padre. La madre di Teucro non viene menzionata.
[18] La
ripetizione di ἵκοντο forse urta un po’ l’orecchio mod
[19] Si veda
11.747.
[20] Si
confronti 4.518 (χερμαδίῳ γὰρ βλῆτο παρὰ σφυρὸν ὀκριόεντι), 8.327 (τῇ ῥ᾽ ἐπὶ οἷ
μεμαῶτα  βάλεν λίθῳ ὀκριόεντι).
[21] Questa
grossa pietra che giaceva a portata di mano presso il parapetto, quasi per
caso, è un eco delle reali strategie di assedio: mucchi di grosse piettre erano
preparati per essere gettati sugli assalitori.
[22] Il
riferimento forse è al fatto che gli uomini antichi – nell’opinione degli eroi
omerici – erano molto più forti di quanto sono gli uomini contemporanei.
[23] Si veda
3.362 e la nota (πλῆξεν ἀνασχόμενος κόρυθος φάλον).
[24] La
ferita di Glauco viene ricordata in 16.508 sgg. (ma non in 14.426), quando – a
causa di essa – non può venire in aiuto di Sarpedone. Qui prega Apollo di
guarirlo. Le qualità di Glauco come combattente devone essere prese largamente
sulla fiducia: ottiene minori successi in 7.13 sgg. e in 16.539 sgg., ma non
aiuta Sarpedone quando viene ferito in occasione dell’uccisione di Tlepolemo
(5.627-67). Secondo il mito, Glauco muore a Troia o per mano di Aiace (Quint.
Smyrn. 3.214 sgg.) o di Agamennone (Igino 113). I re di Licia facevano risalire
la loro genealogia sino a lui (Hdt. 1.147).
[25] Il
verso 388 è riaggiunstato e diviso tra i versi 16.511 e 16.512.
[26]
Nonostante la situazione di pericolo per gli Achei, Alcmaone è l’unica vittima
nominata sul fronte acheo. Sconosciuto il personaggio, e in mancanza di ogni
informazione da parte del poeta è inutile anche speculare su chi possa essere
il padre.
[27] Vedi
6.504.
[28] Questo
si riferisce a Teucro.
[29] Si veda
11.600.
[30] Si veda
7.260-1.
[31] Βουληφόρος
è epiteto di Sarpedone in 5.633, ma in quanto epiteto non sembra possedere un
significato specifico, men che meno nel mezzo di una battaglia. Il verso 414
nel libro 10 è differente: qui βουληφόροι è predicativo. Il suo uso nelle
formule è principalmente come alternativa metrica a ἡγήτωρ.
[32] Qui οὔροισι
è da οὖρος, Att. ὅρος, “Pietra di confine”, piuttosto che da οὖρον, una oscura
misura di distanza menzionata in 10.351, 23.431, e in Odissea 8.124.
[33] Qui ἐπιξύνῳ
come terreno comune, distinto dai τεμένη dell’aristocrazia.
[34] Qui αὐτέων
è genitivo ionico in -έων (< άων).
[35] I versi
425-6 sono uguali ai versi 5.452-3 dove il soggetto è Τρῶες καὶ δῖοι Ἀχαιοὶ
(5.451). L’inarcatura è ‘violenta’, se si guarda alla forma: l’aggettivo βοείας
precede il sostantivo ἀσπίδας. In realtà, come nella traduzione qui proposta, βοείη
può essere sostantivato, e il secondo verso può essere interpretato come in
apposizione a questo.
[36] Qui
abbiamo la correlazione ἠμὲν […] πολλοὶ δὲ […]: molti venivano colpiti, alcuni
perchè voltavano le spalle e venivano colpiti laddove la pelle restava
scoperta, ma molti anche nonostante le protezioni, quando la lancia passava
attraverso lo scudo.
[37] La
donna ha da una parte il peso e dall’altro la lana, e solleva la bilancia,
cercando di pareggiare i due piatti.
[38] Da ἴσος
, η, ον, Ep. ἶσος ed ἔϊσος. Avverbio è ἴσως , ma anche il neutro singolare e
plurale dell’aggettivo, da Omero in avanti. Anche con preposizioni, come qui ἐπὶ
ἶσα. Si noti che 436 = 15.413. Dopo una breve pausa, durante la similitudine,
il racconto cresce in intensità fino al suo climax.
Con la benedizione di Zeus, come il poeta ben sa, Ettore spinge i suoi uomini
allo sforzo finale. Essi caricano il muro in massa e si arrampicano sui
parapetti, ma il climax, il vero
gesto eroico, è riservato all’eroe, ad Ettore.
[39] Qui πρίν
γ᾽ ὅτε (δὴ) “prima che (non); fino a quando (non)”. Con l’indicativo.
[40] Il
verso 438 è simile al verso 16.558, dove però il riferimento è a Sarpedone, non
a Ettore. Si veda anche 3.356, uguale a 7.250, dove Πριαμίδαο si riferisce nel
primo verso a Paride, nel secondo ad Ettore. L’uso conomico della stessa
dizione con un differente riferimento è tipico dello stile orale.
[41] Si
vedano i versi 11.586, 11.275, 8.227… Si tratta di un verso formulare
utilizzato x7 con Δαναοῖσι.
[42] Ma il
termine potrebbe anche indicare sporgenze nel muro: si veda l’introduzione
all’attacco di Ettore, dal verso 251.
[43] Si veda
5.635 sgg. Il verso 449 è uguale a 5.304 (Diomede) e 20.287 (Enea). Il
sollevamento di enormi pietroni è una delle rare violazioni al reallismo
nell’Iliade, ed una delle poche indicazioni che gli eroi erano ritenuti
possedere una forza soprannaturale. Non c’è alcun indizio che essi fossero
ritenuti possedere anche una dimensione superiore a quella umana, sebbene in
epoca classica, quando quelli che si pensava fossero i loro resti mortali
vennero alla luce, essi erano descritti regolarmente come si dimensioni davvero
eroiche, dai 7 ai 12 cubiti. Si veda per esempio Hdt. 1.68 (Oreste), Plutarco Thes. 36 and Cim. 8 (Teseo), Paus. 1.35.3 (Aiace), 1.35.5 (‘Asterio’), 8.29.3
(‘Oronte’), Philostr. Her. 8.3 (Peleo
?), Phlegon FGH III no. 257 F 36 ix Jacoby (Ida).
[44] Qui στιβαρῶς
è in sostituzione del formulare πυκινῶς con ἀραρυίας (si veda 9.475, 21.535) a
causa del precedente πύκα. Altrimenti στιβαρός è un arcaismo preservato dal
conservatorismo formulare.
[45] Gli
θαιροί
sono i perni che ruotano all’interno di cavità scavate all’interno della soglia
e dell’architrave: assolvevano lo stesso copito dei cardini, delle cerniere, e
mantenevano la porta in posizionepermettendole di ruotare. Ettore non spalanca
la porta con il suo colpo, ma fa uscire la porta stessa dalla sua sede all’interno
del muro.
[46] Qui νόσφι
θεῶν anticipa l’intervento di Poseidone che seguirà immediatamene in 13.10 sgg.
[47] Il
verso 471 è uguale al verso 16.296.
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