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Monday, June 19, 2017

Iliade - Libro Quattordicesimo - vv. 82-152 - Consiglio dei comandanti feriti (seconda parte).



82
82        τὸν δ᾽ ἄρ᾽ ὑπόδρα ἰδὼν προσέφη πολύμητις Ὀδυσσεύς[1]:
A lui, guardandolo di traverso, diceva, rispondeva, Odisseo dai molti accorgimenti:
83        ‘ Ἀτρεΐδη ποῖόν σε ἔπος φύγεν ἕρκος ὀδόντων:
« O Atride, quale parola ti è sfuggita (da φεύγω, con il duplice accusativo) dal recinto, dalla barriera (da ἕρκος , εος, τό) dei denti (da ὀδούς , όντος, ὁ) ?
84        οὐλόμεν᾽ αἴθ᾽ ὤφελλες[2] ἀεικελίου στρατοῦ ἄλλου[3]
Maledetto, sciagurato, su un esercito diverso, indegno, vergognoso (da ἀεικέλιος , α, ον, anche ος, ον ; forma poetica per ἀεικής), avresti davvero dovuto
85        σημαίνειν, μὴ δ᾽ ἄμμιν ἀνασσέμεν, οἷσιν ἄρα Ζεὺς
comandare (da σημαίνω , con il genitivo), non dare ordini (da ἀνάσσωa) a noi, ai quali Zeus
86        ἐκ νεότητος ἔδωκε καὶ ἐς γῆρας τολυπεύειν[4]
dalla giovinezza (da νεότης , ητος, ἡ) e fino alla vecchiaia (da γῆρας , τό) diede, assegnò (da δίδωμι) di compiere, di sopportare (da τολυπεύω),
87        ἀργαλέους πολέμους, ὄφρα[5] φθιόμεσθα ἕκαστος.
guerre furiose, terribili, finchè non ci consumiamo, non moriamo (da φθίω), ciascuno.
88        οὕτω δὴ μέμονας Τρώων πόλιν εὐρυάγυιαν
Così dunque (tu) vuoi dei Troiani la città dalle ampie strade
89        καλλείψειν, ἧς εἵνεκ᾽ ὀϊζύομεν κακὰ πολλά;
lasciare, abbandonare (da καταλιμπάνω = καταλείπω), per la quale pativamo, lamentavamo (da ὀϊζύω , att. ὀιζύω) molte disgrazie, molti travagli ?
90        σίγα, μή τίς τ᾽ ἄλλος Ἀχαιῶν τοῦτον ἀκούσῃ
Taci (da σιγάω), affinchè nessun altro tra gli Achei ascolti questo
91        μῦθον, ὃν οὔ κεν ἀνήρ γε διὰ στόμα πάμπαν ἄγοιτο
discorso, che non dovrebbe assolutamente (da πάμπαν , avverbio) portare attraverso la bocca, attraverso le labbra un uomo
92        ὅς τις ἐπίσταιτο[6] ᾗσι φρεσὶν ἄρτια βάζειν
che nel suo cuore sappia (da ἐπίσταμαι , “sapere come fare, essere capace di fare”, con l’infinito) parlare (da βάζω) in modo adatto, conveniente, retto (da ἄρτιος , α, ον),
93        σκηπτοῦχός τ᾽ εἴη, καί οἱ πειθοίατο λαοὶ
94        τοσσοίδ᾽
e che sia scettrato, portatore di uno scettro (da σκηπτοῦχος , ον, (σκῆπτον, ἔχω)), e al quale obbediscano (da πείθω , πείθεσθαί τινι) tanti (da τοσόσδε , Ep. τοσσόσδε , ήδε, όνδε, = τόσος : Omero ha entrambe le forme, epica e comune) eserciti
94        ὅσσοισιν σὺ μετ᾽ Ἀργείοισιν ἀνάσσεις:[7]
quanti (da ὅσος , Ep. ὅσσος , η, ον, entrambe le forme in Omero : qui correlato con τόσος) gli Argivi sui quali regni (da ἀνάσσω : “di quanti tu sei re tra gli Argivi”);
95        νῦν δέ σευ ὠνοσάμην πάγχυ φρένας, οἷον ἔειπες:
ora però devo assolutamente, totalmente (da πάγχυ , Adv., (πᾶς, πᾶν) Ep. e Ion. per πάνυ), biasimare (da ὄνομαι , con l’accusativo) i tuoi pensieri, i tuoi propositi, quanto hai detto;
96        ὃς κέλεαι πολέμοιο συνεσταότος καὶ ἀϋτῆς[8]
(te) che esorti (da κέλομαι), mentre continua (da συνίστημι) la guerra e il combattimento,
97        νῆας ἐϋσσέλμους ἅλαδ᾽ ἑλκέμεν, ὄφρ᾽[9] ἔτι μᾶλλον
a trascinare verso il mare le navi dai solidi banchi, affinchè ancora di più
98        Τρωσὶ μὲν εὐκτὰ γένηται ἐπικρατέουσί περ ἔμπης,
per i Troiani si realizzino, avvengano le cose che desiderano (da εὐκτός , ή, όν, (εὔχομαι)), per quanto siano già, comunque, ugualmente (da ἔμπας , Ep. ἔμπης), vittoriosi (da ἐπικρατέω)
99        ἡμῖν δ᾽ αἰπὺς ὄλεθρος[10] ἐπιρρέπῃ. οὐ γὰρ Ἀχαιοὶ
e su di noi piombi, si abbatta (da ἐπιρρέπω), la rovina (da ὄλεθρος , ὁ) completa, assoluta (da αἰπύς , εῖα, ύ). Infatti gli Achei non
100       σχήσουσιν πόλεμον νηῶν ἅλα δ᾽ ἑλκομενάων,
continueranno (da ἔχω) la guerra dopo che le navi saranno state tirate (da ἕλκω) a mare,
101       ἀλλ᾽ ἀποπαπτανέουσιν, ἐρωήσουσι δὲ χάρμης.
ma si guarderanno intorno (da ἀποπαπταίνω), ed eviteranno, si asterranno da (da ἐρωέω, con il genitivo della cosa), la battaglia, lo scontro.
102       ἔνθά κε[11] σὴ βουλὴ δηλήσεται ὄρχαμε λαῶν ’.
Allora in questo caso il tuo consiglio porterà danno, sciagura (da δηλέομαι , aoristo congiuntivo o meglio futuro: impossibile dire quale sia), o signore (da ὄρχαμος , ὁ) di eserciti, di popoli ».

103
103       τὸν δ᾽ ἠμείβετ᾽ ἔπειτα ἄναξ ἀνδρῶν Ἀγαμέμνων:
A lui allora rispondeva il sovrano di uomini Agamennone:
104       ‘ ὦ Ὀδυσεῦ μάλα πώς με καθίκεο θυμὸν ἐνιπῇ
« O Odisseo, certo molto mi hai toccato (da καθικνέομαι) il cuore con il (tuo) rimprovero (da ἐνιπή , ἡ)
105       ἀργαλέῃ: ἀτὰρ οὐ μὲν ἐγὼν ἀέκοντας ἄνωγα
terribile, aspro; però io non comando (da ἄνωγα) che contro la loro volontà (da ἀέκων , Ep.e Ion.; Att. e Trag. contr. ἄκων , ουσα, ον)
106       νῆας ἐϋσσέλμους ἅλα δ᾽ ἑλκέμεν υἷας Ἀχαιῶν.
i figli degli Achei tirino in mare le navi dai solidi banchi.
107       νῦν δ᾽ εἴη ὃς τῆσδέ γ᾽ ἀμείνονα μῆτιν ἐνίσποι
Ora magari ci fosse (qualcuno) che desse (da ἐνέπω) un consiglio (da μῆτις , ἡ) migliore di questo,
108       ἢ νέος ἠὲ παλαιός: ἐμοὶ δέ κεν ἀσμένῳ εἴη[12] ’.
o giovane o anziano! (Egli) sarebbe per me, che gradisco, che accolgo con piacere (da ἄσμενος , η, ον) ».

109
109       τοῖσι δὲ καὶ μετέειπε βοὴν ἀγαθὸς Διομήδης[13]:
A questi dunque parlò anche Diomede, valente nel grido di guerra:
110       ‘ ἐγγὺς ἀνήρ: οὐ δηθὰ ματεύσομεν: αἴ κ᾽ ἐθέλητε
« (Quel)l’uomo è vicino: non per un lungo tempo (da δηθά = δήν) (lo) cercheremo, dovremo cercar(lo) (da ματεύω); se pure siete disposti (da ἐθέλω)
111       πείθεσθαι, καὶ μή τι κότῳ ἀγάσησθε ἕκαστος
a lasciarvi persuadere, e in nessun modo proverete invidia (da ἄγαμαι) con rancore (da κότος , ὁ, più radicato, profondo di χόλος), ciascuno (di voi),
112       οὕνεκα δὴ γενεῆφι νεώτατός εἰμι μεθ᾽ ὑμῖν:
perché per nascita (da γενεά , ᾶς, Ion. γενεή , ῆς, ἡ, Ep. dat. γενεῆφι) tra di voi sono il più giovane;
113       πατρὸς δ᾽ ἐξ ἀγαθοῦ καὶ ἐγὼ γένος εὔχομαι εἶναι
da padre valoroso che io mi vanto di essere, per nascita,
114       Τυδέος, ὃν Θήβῃσι χυτὴ κατὰ γαῖα καλύπτει[14].
da Tideo, che a Tebe della terra accumulata (da χυτός , ή, όν, (χέω) , quindi un tumulo di terra) copre (da κατακαλύπτω, in tmesi).
115       πορθεῖ γὰρ τρεῖς παῖδες ἀμύμονες ἐξεγένοντο,
A Porteo nacquero (da ἐκγίγνομαι, “sono nato da, sono generato da”, con il genitivo: qui il dativo, Πορθεῖ (MSS) o Πορθέϊ , ma la forma contratta è illogica, l’unica altra occorrenza dov’è richiesta dal metro è “Ἀχιλλεῖ” in 23.792) infatti tr figli perfetti,
116       οἴκεον δ᾽ ἐν Πλευρῶνι καὶ αἰπεινῇ Καλυδῶνι
abitavano a Pleurone e a Calidone scoscesa,
117       Ἄγριος ἠδὲ Μέλας, τρίτατος δ᾽ ἦν ἱππότα Οἰνεὺς
Agrio e Melas, terzo era il cavaliere (da ἱππότης , ου, ὁ, ma Omero ha sempre il nominativo epico ἱππότα) Oineo,
118       πατρὸς ἐμοῖο πατήρ: ἀρετῇ δ᾽ ἦν ἔξοχος αὐτῶν.
padre di mio padre: per valore (egli) era al di sopra (da ἔξοχος , ον) degli altri.
119       ἀλλ᾽ ὃ μὲν αὐτόθι μεῖνε, πατὴρ δ᾽ ἐμὸς Ἄργεϊ νάσθη
Egli però rimase (da μένω) in quel luogo, mentre mio padre si stabilì (da ναίω , passivo) ad Argo
120       πλαγχθείς: ὡς γάρ που Ζεὺς ἤθελε καὶ θεοὶ ἄλλοι.
dopo aver errato, vagato (da πλάζω); infatti in questo modo forse voleva (da ἐθέλω) Zeus, e (volevano) gli altri dei.
121       Ἀδρήστοιο δ᾽ ἔγημε θυγατρῶν[15], ναῖε δὲ δῶμα
(Egli) sposò (da γαμέω) una tra le figlie di Adrasto, abitò (da ναίω) una casa
122       ἀφνειὸν βιότοιο[16], ἅλις δέ οἱ ἦσαν ἄρουραι
ricca (da ἀφνειός , όν, anche ή, όν, con il genitivo della cosa di cui si è ricchi) di sostanze (da βίοτος , ὁ, Ep., = βίος), possedeva in gran numero (da ἅλις , avverbio) campi (da ἄρουρα , ἡ, (ἀρόω))
123       πυροφόροι[17], πολλοὶ δὲ φυτῶν ἔσαν ὄρχατοι[18] ἀμφίς,
fertili, che producono frumento (da πυροφόρος , ον, (πυρός)), e intorno c’erano molti filari (da ὄρχατος , ὁ , = ὄρχος) di alberi da frutta (da φυτόν , τό, (φύω)),
124       πολλὰ δέ οἱ πρόβατ᾽ ἔσκε: κέκαστο δὲ πάντας Ἀχαιοὺς
e aveva molte mandrie, molto bestiame (da πρόβατον , τό, freq. al plurale πρόβατα: ricorre in Omero solo in 23.550 e sembra indicare genericamente bestiame, di ogni tipo); aveva superato, eccelleva tra (da καίνυμαι), tutti gli Achei
125       ἐγχείῃ: τὰ δὲ μέλλετ᾽ ἀκουέμεν, εἰ ἐτεόν περ.
nella lancia; e queste cose potete, dovete conoscerle (da ἀκούω, i.e. dovete conoscerle per averle sentite), se è davvero giusto (da ἐτεός , ά, όν).
126       τὼ οὐκ ἄν με γένος γε κακὸν καὶ ἀνάλκιδα φάντες
Perciò non potreste, dicendomi (da φημί) per nascita vile e un debole, un imbelle (da ἄναλκις , ιδος, ὁ, ἡ),
127       μῦθον ἀτιμήσαιτε πεφασμένον ὅν κ᾽ ἐῢ εἴπω.
disonorare, disprezzare (da ἀτιμάω, utilizzato da Omero per ἀτιμάζω: l’ottativo è potenziale), il consiglio (da μῦθος , ὁ) reso manifesto (da φαίνω), quello che dica per il meglio.
128       δεῦτ᾽[19] ἴομεν πόλεμον δὲ καὶ οὐτάμενοί περ ἀνάγκῃ.
Su dunque, andiamo alla guerra, per quanto feriti, (è) secondo necessità.
129       ἔνθα δ᾽ ἔπειτ᾽ αὐτοὶ μὲν ἐχώμεθα δηϊοτῆτος
Dopo che (saremo) sul posto, là, asteniamoci, teniamoci fuori (da ἔχω, con il significato di “mi astengo da, smetto, interrompo” con il genitivo, equivalente ad ἀπεχώμεθα , ἀπέχω), dallo scontro,
130       ἐκ[20] βελέων, μή πού τις ἐφ᾽ ἕλκεϊ ἕλκος ἄρηται:
fuori della portata dei dardi, affinchè qualcuno non riesca ad aggiungere (da ἄρνυμαι , = ἕλκος ἀρέσθαι) ferita (da ἕλκος , εος, τό) a ferita;
131       ἄλλους δ᾽ ὀτρύνοντες ἐνήσομεν, οἳ τὸ πάρος περ[21]
Gli altri invece mandiamoli avanti, all’attacco (da ἐνίημι , sc. “δηϊοτῆτι” , vs. ἐχώμεθα δηϊοτῆτος (129)), incitando(li), incoraggiando(li) (da ὀτρύνω), (loro) che in realtà, invece, prima (da πάρος , qui con articolo: costruzioni come τὸ π. γε, τὸ π. περ),
132       θυμῷ ἦρα[22] φέροντες ἀφεστᾶσ᾽ οὐδὲ μάχονται ’.
Indulgendo, provando piacere (da ἦρα , accusativo singolare isolato, = χάριν), nel (loro) risentimento (da θυμός , ὁ, l’animo del senso di sede delle passioni, quindi la passione stessa), si tengono lontani (da ἀφίστημι) e non combattono ».

133
133       ὣς ἔφαθ᾽, οἳ δ᾽ ἄρα τοῦ μάλα μὲν κλύον ἠδὲ πίθοντο[23]:
Così diceva, e quelli molto, con attenzione, lo ascoltavano, e gli danno retta, gli obbediscono:
134       βὰν δ᾽ ἴμεν, ἦρχε δ᾽ ἄρά σφιν ἄναξ ἀνδρῶν Ἀγαμέμνων.
si avviarono (da βαίνω) per andare, li guidava (da ἄρχω, con il genitivo, e più raramente come qui con il dativo) Agamennone, signore di uomini.

135
135       οὐδ᾽ ἀλαοσκοπιὴν εἶχε[24] κλυτὸς ἐννοσίγαιος,
Non faceva però una sorveglianza cieca, disattenta (da ἀλαοσκοπιά , Ion. ἀλαο-ιή , ἡ), l’illustre, glorioso Scuotitore della terra,
136       ἀλλὰ μετ᾽ αὐτοὺς ἦλθε παλαιῷ φωτὶ[25] ἐοικώς,
ma venne tra di loro somigliando ad un anziano uomo,
137       δεξιτερὴν δ᾽ ἕλε χεῖρ᾽ Ἀγαμέμνονος Ἀτρεΐδαο,
ed afferrò, strinse (da αἱρέω), la mano destra (da δεξιτερός , ά, όν, (δεξιός)) di Agamennone Atride,
138       καί μιν φωνήσας ἔπεα πτερόεντα προσηύδα:
e a lui, articolando la voce, diceva alate parole:
139       ‘ Ἀτρεΐδη νῦν δή που Ἀχιλλῆος ὀλοὸν κῆρ
« O figlio di Atreo, ora mi sembra, forse, certamente (da πού , enclitico), il cuore malvagio, crudele (da ὀλοός , ή, όν, (ὄλλυμι)), di Achille
140       γηθεῖ ἐνὶ στήθεσσι φόνον καὶ φύζαν[26] Ἀχαιῶν
141       δερκομένῳ[27], ἐπεὶ οὔ οἱ ἔνι φρένες οὐδ᾽ ἠβαιαί.
gioisce, esulta (da γηθέω), nel petto, a lui che vede chiaramente, che osserva (da δέρκομαι, con l’acc. dell’oggetto), la strage (da φόνος , ὁ, (θείνω)) e la fuga, la rotta (da φύζα , ἡ), degli Achei, dal momento che in lui non (c’è) comprensione (da φρήν , ἡ), neppure minima (da ἠβαιός , ά, όν, lon. per βαιός).
142       ἀλλ᾽ ὃ μὲν ὣς ἀπόλοιτο, θεὸς δέ ἑ σιφλώσειε[28]:
Ma egli così sia maledetto (da ἀπόλλυμι), e un dio lo accechi (da σιφλόω)!
143       σοὶ δ᾽ οὔ πω[29] μάλα πάγχυ θεοὶ μάκαρες κοτέουσιν,
Contro di te invece gli dei beati non sono ancora veramente del tutto (da μάλα , qui in rafforzamento di un avverbio, πάγχυ μ., μ. Πάγχυ) adirati (da κοτέω , con il dativo della persona),
144       ἀλλ᾽ ἔτι που Τρώων ἡγήτορες ἠδὲ μέδοντες
ma ancora in qualche modo i comandanti e le guide dei Troiani
145       εὐρὺ κονίσουσιν πεδίον, σὺ δ᾽ ἐπόψεαι αὐτὸς
riempiranno di polvere (da κονίω) la vasta pianura, e tu stesso (li) vedrai (da ἐποράω , Ion. per ἐφοράω)
146       φεύγοντας προτὶ ἄστυ νεῶν ἄπο καὶ κλισιάων ’.
mentre fuggono verso la città dalle navi e dalle tende ».

147
147       ὣς εἰπὼν μέγ᾽ ἄϋσεν[30] ἐπεσσύμενος πεδίοιο.
Detto così, gridò (da αὔω) forte mentre stava lanciandosi (da ἐπισεύω, qui con il genitivo, ma si trova in Omero anche con il dativo e l’accusativo) attraverso la pianura.
148       ὅσσόν τ᾽ ἐννεάχιλοι ἐπίαχον ἢ δεκάχιλοι
PARAGONE à Come gridano forte (da ἐπιάχω) novemila o diecimila
149       ἀνέρες ἐν πολέμῳ ἔριδα ξυνάγοντες Ἄρηος,
guerrieri durante la battaglia, ingaggiando (da συνάγω) la contesa, la lotta di Ares,
150       τόσσην ἐκ στήθεσφιν ὄπα κρείων ἐνοσίχθων
altrettanta voce (da ὄψ , ἡ, sostantivo poetico, usato ai casi obliqui del singolare ὀπός, ὀπί, ὄπα) fuori dal petto (da στῆθος , εος, τό) il potente scuotitore della terra
151       ἧκεν: Ἀχαιοῖσιν δὲ μέγα σθένος ἔμβαλ᾽ ἑκάστῳ
trasse (da ἵημι): una grande forza mise dentro agli Achei, a ciascuno
152       καρδίῃ, ἄληκτον πολεμίζειν ἠδὲ μάχεσθαι.[31]
nel cuore (da καρδία , ἡ, Ion. καρδίη , Ep. κραδίη), di far guerra e combattere incessantemente (da ἄλληκτος, ον, poet. per ἄληκτος, usato avverbialmente).
Paragone






[1] Ai versi 83-102 Odisseo reagisce vigorosamente alla perdita di coraggio di Agamennone: si confronti per esempio la sua efficace replica al brusco rimprovero del re in 4.350 sgg. (82 sg. = 349 sg.). Odisseo è in un’ottima posizione per far questo,in quanto è il comandante più leale e dotato di maggiore senso pratico(cfr. Agamennone in 4.360 sg., e quello più consapevole della giusta condotta di un re e dell’importanza della leadership (cfr. 2.203 sgg.).
[2] αἴθε rafforza la costruzione ὀφείλω + infinito. Si veda 3.40 e 1.415, per esempio, con le relative note.
[3] Per οὐλόμενε, si veda 1.2. Il vocativo viene ugualmente utilizzato in Od. 17.484. στρατοῦ è qui al genitivo: si tratta del genitivo quasi-partitivo (D. B. Monro, Grammar of the Homeric Dialect, Oxford, 1891, § 151 (f)): il genitivo viene qui utilizzato di preferenza rispetto ad altri casi dal momento che l’azione del verbo non riguarda la persona o la cosa in un modo sufficientemente diretto o inconsizionata. È qui il caso so σημαίνειν quando significa “comandare”, altrimenti vuole il dativo. Non ci sono dubbi relativi al genitivo, qui, e le analogie sono sufficienti: allo stesso modo “ἀνάσσειν” regge generalmente il dativo, ma si ritrova in un numero sufficiente di casi con il genitivo.
[4]  Il verbo τολυπεύειν ha il significato di “terminare, concludere”, nel senso di portare al termine. Si noti che “τολύπη” è il gomitolo di lana avvolto dopo la filatura. Si veda 24.7, e varie volte nell’Odissea.
[5] Qui ὄφρα può essere interpretato in senso finale o in senso temporale: se lo si interpreta in senso finale, allora abbiamo amare parole di scherno nei confronti di Agamennone, e Odisseo lascerebbe intendere che la distruzione di ogni uomo è lo scopo di Agamennone; è però più naturale il significato temporale, nel qual caso si tratterebbe della descrizione dell’eroe tipico, nato per combattere, e che combatterà fino alla morte.
[6] Siamo in presenza di una attrazione modale nella proposizione subordinata verso l’ottativo della proposizione principale (come “ὅν […] ἄγοιτο” è qui in relazione con “ὃς ἐπίσταιτο”): questo significa semplicemente che la condizione è considerata dallo stesso punto di vista dell’azione principale. Qui l’azione principale “οὔ κεν ἄγοιτο” è posta come una pura possibilità, quindi la condizione viene ugualmente lasciata come una semplice possibilità. Colui che parla non è interessato a spostare il suo punto di vista al fine di insistere sulla sua assunzione o sulla sua aspettativa di questa realtà, come potrebbe fare con un indicativo o un congiuntivo rispettivamente. Quando si desidera inisistere sull’aspettativa, allora il modo viene mutato nel congiuntivo, come per esempio al verso 127: “ὅν κ᾽ ἐὺ εἴπω” dopo “ἀτιμήσαιτε”.
[7] Dal verso 91 inizia una progressione ascendente che ha il suo climax al verso 94, dove Odisseo pone un forte accento sulle responsabiltà di Agamennone: una tale cosa non dovrebbe essere detta da un uomo (dove l’accento è posto proprio su ἀνήρ), ancor meno un uomo di senno, ancor meno un re, ancor meno un re che comandi su un popolo obbediente, e ancor meno un re che comandi su un popolo così numeroso come quello su cui regna Agamennone! La seconda metà del verso 93 è utilizzata per esempio in 1.79 e 12.229 per veggenti, non re, e contribuisce a questo crescendo.
[8] Si veda per esempio 14.37.
[9] ὄφρα deve essere interpretato come finale, il che aggiunge una nota di ironia: come se la vittoria dei Troiani fosse il preciso scopo di Agamennone.
[10] L’espressione αἰπὺς ὄλεθρος è formulare, ma si presenta normalmente alla fine del verso.
[11] Qui κε (ἄν , ma in Omero κε è quattro volte più comune di ἄν) assolve la sua funzione di particella modale, essendo utilizzata con il verbo per indicare che l’azione è limitata dalle circostanze o definita da condizioni specifiche. Tradurre “in questo caso” (Willcock). κε in quanto enclitica è un po’ meno enfatica; ἄν è preferito da Omero nelle proposizioni negative, κε (ν) con le relative.
[12] Naturalmente difficile da rendere : se una tale persona si presentasse, Agamennone sarebbe felice, sarebbe proprio quello che gradisce. Per il dativo in questione si veda Monro, § 143. Il desiderio è espresso da εἴη ὃς […] ἐνίσποι. Cfr. 17.640 “εἴη δ᾽ ὅς τις […] ἀπαγγείλειε” o Od. 14.496 “ἀλλά τις εἴη εἰπεῖν”. La proposizione ἐμοὶ δέ κεν ἀσμένωι εἴη è virtualmente un’apodosi di questo desiderio: se una tale persona vi fosse, Agamennone sarebbe contento.
[13] Diomede è, a questo punto, il solo eroe che deve ancora parlare, e in qualche modo lo spunto glielo offre ἢ νέος ἠὲ παλαιός (108). Egli risponde alla richiesta di consigli (61) da parte di Nestore, e lo contraddice persino a proposito della proposta relativa ai feriti che entrano in battaglia (62 sg., cfr. 128); ferito egli stesso, egli è in una posizione migliore per proporre che di esortare gli uomini rimanendo fuori della mischia (ἐκ βελέων). Questa situazione, nell’analisi di Eustazio, ribalta la situazione di 9.32 sgg. quando Diomede rimprovera Agamennone per il fatto di proporre una ritirata, come Odisseo fa qui, ma viene poi ripreso da Nestore per il fatto di non fare alcuna controproposta in grado di presere il posto di quella di Agamennone, un fatto che Nestore attribuisce alla giovane età (57 sgg.). Qui Diomede vuole provare che la sua discendenza ed il suo valore (126) controbilanciano la sua giovane età. Diomede mostra comunque, come già in 4.412 sgg., un certo tatto nel rivolgersi ad un Agamennone che non dà certo prova di coraggio, ed omette di indicare le sue imprese.
A proposito di questo passo, Willcock lamenta che la proposta di Diomede giunge abbastanza piatta dopo la lunga digressione genealogica: in realtà occorre tenere presente la struttura formale del dibattito in corso, e considerare che – come nota N. Austin – nelle digressioni paradigmatiche la lunghezza di un aneddoto è in proporzione diretta con la necessità di persuadere.
[14] Questo verso – necessario per introdurre la genealogia di Diomede e richiamare il nome di Tideo – è sospetto già in antichità, probabilmente perché, secondo una tradizione attica che si trova per la prima volta negli Eleusini di Eschilo, Tideo venne seppellito ad Eleusi: qui un certo numero di tombe a cista del Medio Elledico vennero delimitate come un herōon, senza dubbio già dedicato ai Sette contro Tebe, nel periodo Tardo Geometrico. Ma egli morì comunque a Tebe (6.222 sg.). Omero conosce la storia di questa guerra (si veda 4.376-398, 5.801-808, e si consideri anche 13.663---98, 5.801-8, 13.663-670), ma evita di dirci come Tideo, delirante e morente, divorò il cervello del suo nemico Melanippo, cosicchè Atena decise di non renderlo immortale. Questo cupo e feroce racconto era nella Tebaide, che probabilmente terminava con i funerali dei Sette fuori della città di Tebe.
Il verso 114 viene quindi atetizzato da Zenodoto, ed omesso del tutto da Aristofane. Anche Aristarco probabilmente lo atetizza: riteneva Omero ateniese, e preferiva la versione attica del mito.
[15] Si noti l’uso del genitivo partitivo θυγατρῶν al posto dell’accusativo, si veda Monro, § 151: si tratta del genitivo quasi-partitivo, termine che si riferisce ad un certo numero di costruzioni nelle quali il genitivo viene preferito rispetto ad altri casi poichè l'azione del verbo non riguarda la persona o cosa in un modo sufficientemente diretto ed incondizionato. La tradizione ci consegna Deipilo come nome della moglie di Tideo. Diomede stesso sposò un’altra delle figlie di Adrasto, cfr. 5.412.
[16] Espressione formulare, in precedenza utilizzata dal poeta per individui: in 6.14 per Assilo, una delle vittime di Diomede, e in 5.544 per Diocle, padre di Cretone e Orsilico.
[17] Il possesso di proprietà terriera, ovvero “τέμενος βασιλήϊον”, dev’essere un segno dell’ammissione certa di Tideo nella famiglia reale, dal momento che in tempi omerici la proprietà terriera sembra essere ristretta solamente ai re. Si veda però anche 12.421 sgg. e la nota di Leaf ad.loc. per ἄρουραι / πυροφόροι si veda 12.314.
[18] Qui ὄρχατος è un orto, un giardino; un filare di alberi (LSJ, Autenrieth); φυτόν è l’albero, specialmente la pianta da giadino.
[19] δεῦτε, come as pl. of δεῦρο, viene utilizzato semplicemente per incitare all’azione, come ἄγε, piuttosto che per invitare qualcuno a venire presso di noi.
[20] ἐκ βελέων non ha, qui, il solito significato di portarsi fuori della portata dei dardi (11.163, 4.465), ma di rimanere fuori della loro portata, dal momento che loro non ci si avvicinano del tutto. Questo uso non regolare della preposizione “ἐκ” non è facile da spiegare: ci si sarebbe aspettati “ἀπό”, che implica pura distanza, non movimento al di fuori di. Si veda 8.213 e 16.668; ma in Monro § 223 viene interpretato in modo leggermente diverso, assumendo implicitamente un’idea di movimento.
[21] οἳ τὸ πάρος περ è formulare, cfr. 13.101, 12.359 e 346.
[22] L’espressione θυμῷ ἦρα φέροντες (cfr. 1.578) contiene, fossilizzato, l’accusativo di una radice sostantivale *ϝηρ-, “grazia, favore”: si veda anche l’antica formula ἐρίηρες ἑταῖροι (per es. 13.421), ed il nome miceneo E-ri-we-ro (PY Vn 130). IL termine deve aver significato “servizio leale, favore”.
[23] Espressione formulare, cfr. 9.79.
[24] Espressione formulare: si veda per esempio 10.10 e 10.515.
[25] Poseidone appare con le sembianze di un anziano uomo senza none: l’espressione παλαιῶι φωτί è vaga e non omerica dal momento che la persona le cui sembianze vengono assunte viene altrove generalmente nominata. Si veda però 3.386 (γρηῒ δέ μιν ἐϊκυῖα παλαιγενέϊ προσέειπεν), dove Afrodite assume l’aspetto di una anziana donna: ma qui il personaggio, anche se non nominato, è indicato con precisione; e si veda Od. 8.194 (ἀνδρὶ δέμας ἐικυῖα), dove viene detto semplicementer che Atena assume l’aspetto di un uomo. Il dio non prende le sembianze di Calcante, come in 13.45, dal momento che Agamennone non si fida del veggente (cfr. 1.105 sgg.), e neppure quelle di Toante, come in 13.216, dal momento che non è abbastanza anziano perché la sua parola abbia autorevolezza. La sua età bilancia quella di Diomede, ed offre quelle garanzie che Nestore non può offrire. Zenodoto (Arn/A) volle fornire un nome, quindi aggiunse un verso, 136a (ἀντιθέῳ Φοίνικι ὀπάονι Πηλεΐωνος: quest’idea è sicuramente basata su 23.360 ([…] ὀπάονα πατρὸς ἑοῖο), e sul fatto che in 17.555 Atena assume le sembianze di Fenice. Anche se, come nota Aristarco, le parole aspre nei confronti di Achille suonano strane nella bocca di Fenice.
[26] Altrove φόνον καὶ κῆρα (cfr. 11.443, 5.652, 3.6, 2.352).
[27] Qui δερκομένωι al dativo, anche se preceduto dal genitivo “Ἀχιλῆος”: cfr. 9.636, 10.188, Od. 23.206. Anche se l’opposto è più comune, come al verso 26 precedente.
[28] Qui ὥς nel senso di “così”, per questa sua follia: l’ordine delle parole impedisce di assumerelo come “ὡς”, esprimendo un desiderio come in 18.107 (ὡς ἔρις ἔκ τε θεῶν ἔκ τ᾽ ἀνθρώπων ἀπόλοιτο). Il termine σιφλώσειε è ἅπ. Λεγόμενον e di oscura origine: per questo Aristarco atetizzerebbe il verso. Nessuna forma di questo termine ricorre fino alla successiva epica di carattere imitativo, che può solo tentare di indovinarne il significato, come Apollonio Rodio, che usa un verbo simile nel senso di “azzoppare”: questa è l’interpretazione cumune, anche se qui no dà certo un senso soddisfacente. Da Eustazio compare il significato “accecare”, che Hentze suggerisce particolarmente appropriato per l’accostamento con “δερκομένωι”: possa un dio accecare i tuoi occhi, come finora li ha nutriti con le pene e le sofferenze dei suoi compagni.
[29] Qui οὔ πω nel senso di “non ancora”.
[30] Cfr. μακρὸν ἄϋσεν (3.81). Il forte grido di Poseidone per rincuorare l’esercito è tipico: si veda il grido di Eris o quello di Achille (11.10 sgg., 18.217 sgg.); o in 5.859 sgg. l’urlo di Ares quando viene ferito (5.860 sg. = 148 sg.); e ancora in 20.48 sgg. Un grido con la potenza di nove o diecimila uomini solleva il morale come un rinforzo di pari entità. A partire da Ἀχαιοῖσιν, 151 sg. = 11.11 sg.; si veda anche 2.451 sg. allorquando Atena incita gli uomini: come osservato da R. M. Frazer, la coppia di versi che segue altrove – seconda la quale la guerra diviene più dolce del ritorno in patria – viene qui omessa in quanto il disfattismo ed il pessimismo verrebbero scacciati troppo rapidamente. In efferri l’esortazione di Poseidone in 364 sgg. continua a costruire lo spirito che serve alla vittoria finale. Questo grido di Poseidone, tra l’altro, è uno della serie di grida che secondo Janko (vedi introduzione al presente canto) articolano il racconto: i comandanti escono di scena e si passa ad una panoramica della battaglia. Questo grido inoltre accresce la suspense, come in 13.837, in quanto vi è il timore che Zeus possa udirlo; in effetti è Era che lo ode. Il paragone 148-152 è tratto dal contesto marziale: si veda 15.589 sgg., allorquando i Troiani si ritirirano di una distanza pari a quella percorsa da una lancia scagliata durante il combattimento.
[31] Qui dopo ἧκεν (vs. ὄρθι᾽) abbiamo 151 sg. = 11.11 sg.