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Thursday, June 1, 2017

Iliade - Libro Tredicesimo - vv. 601-684 - Morti di Pisandro, Arpalione ed Echenore.


601
601       Πείσανδρος[1] δ᾽ ἰθὺς Μενελάου κυδαλίμοιο
Pisandro contro (da ἰθύς, o meno frequente ἰθύ, come preposizione con il gen.) il glorioso, illustre Menelao
602       ἤϊε: τὸν δ᾽ ἄγε μοῖρα κακὴ θανάτοιο τέλος δὲ[2]
andava (da εἶμι); la perfida sorte lo guidava, conduceva verso un destino (da τέλος , εος, τό : qui τέλος δέ oppure τέλοσδε) di morte,
603       σοὶ Μενέλαε[3] δαμῆναι ἐν αἰνῇ δηϊοτῆτι.
ad essere sopraffatto, ucciso (da δαμάζω, con il dativo d’agente), da te, o Menelao, in un terribile, mortale (da αἰνός = δεινός), duello, combattimento (da δηιοτής , ῆτος , ἡ).
604       οἳ δ᾽ ὅτε δὴ σχεδὸν ἦσαν ἐπ᾽ ἀλλήλοισιν ἰόντες
Quando poi questi erano vicini, muovendo l’uno incontro all’altro,
605       Ἀτρεΐδης μὲν ἅμαρτε, παραὶ δέ οἱ ἐτράπετ᾽ ἔγχος,
l’Atride sbagliò (da ἁμαρτάνω), di fianco a quello venne deviata la lancia,
606       Πείσανδρος δὲ σάκος Μενελάου κυδαλίμοιο
Pisandro invece lo scudo del glorioso, illustre Menelao
607       οὔτασεν, οὐδὲ διὰ πρὸ δυνήσατο χαλκὸν ἐλάσσαι:
colpisce, ma non è capace (da δύναμαι) di spingere (da ἐλαύνω) il bronzo attraverso fino in fondo:
608       ἔσχεθε[4] γὰρ σάκος εὐρύ, κατεκλάσθη δ᾽ ἐνὶ καυλῷ
(lo) trattiene infatti lo scudo spazioso, si spezza (da κατακλάω) sulla punta (da καυλός , ὁ, si tratta dell’asta nel punto in cui si innesta nella punta)
609       ἔγχος: ὃ δὲ φρεσὶν ᾗσι χάρη καὶ ἐέλπετο νίκην[5].
la lancia; quello nel suo cuore gioisce (da χαίρω) e sperava (da ἔλπω) la vittoria.
610       Ἀτρεΐδης δὲ ἐρυσσάμενος ξίφος[6] ἀργυρόηλον
L’Atride, avendo estratto la spada a borchie d’argento
611       ἆλτ᾽ ἐπὶ Πεισάνδρῳ: ὃ δ᾽ ὑπ᾽ ἀσπίδος εἵλετο καλὴν[7]
saltò su Pisandro; quello prese (da αἱρέω) da sotto lo scudo la splendida
612       ἀξίνην[8] εὔχαλκον ἐλαΐνῳ ἀμφὶ πελέκκῳ
ascia (da ἀξίνη , ἡ) lavorata finemente nel bronzo (da εὔχαλκος , ον), intorno ad un manico (da πέλεκκον , τό, oppure πέλεκκος , ὁ, (πέλεκυς)) in legno d’olivo (da ἐλάϊνος, η, ον)
613       μακρῷ ἐϋξέστῳ: ἅμα δ᾽ ἀλλήλων[9] ἐφίκοντο.
grande e ben levigato; contemporaneamente, insieme l’uno attaccò (da ἐφικνέομαι con il genitivo) l’altro.
614       ἤτοι ὃ μὲν κόρυθος φάλον ἤλασεν ἱπποδασείης[10]
Ecco dunque che l’uno colpì (da ἐλαύνω, con l’accusativo: al verso successivo il verbo – sottinteso – regge il doppio accusativo) il cimiero (da φάλος , ὁ) dell’elmo (da κόρυς , υθος, ἡ) folto di chiome di cavallo (da ἱπποδάσεια , ἡ, aggettivo femminile, attributo di κόρυς e κυνέη),
615       ἄκρον ὑπὸ λόφον αὐτόν, ὃ δὲ προσιόντα μέτωπον
sotto la sommità (da ἄκρος , α, ον) della stessa cresta (da λόφος , ὁ, quindi sotto la cresta dell’elmo, nel suo punto più alto), mentre l’altro (colpì) l’assalitore (da πρόσειμι) nello spazio tra gli occhi (da μέτωπον , τό, anche μέτωπος , ὴ)
616       ῥινὸς ὕπερ πυμάτης: λάκε δ᾽ ὀστέα, τὼ δέ οἱ ὄσσε
sopra la radice (da πύματος , η, ον, Ep. aggettivo = ἔσχατος , quindi nel punto estremo del naso, alla radice, tra gli occhi) del naso (da ῥίς , ἡ, gen. ῥινός): le ossa risuonarono, scricchiolarono (da λάσκω), e a lui gli occhi
617       πὰρ ποσὶν αἱματόεντα χαμαὶ πέσον[11] ἐν κονίῃσιν[12],
ai piedi, sanguinanti (da αἱματόεις , όεσσα, όεν, = αἱματηρός ; si noti l’aggettivo al neutro plurale nominativo, concordato col duale τὼ ὄσσε), cadono a terra nella polvere (da κονία , Ion. ed Ep. κονιίη , ἡ, “polvere”, usato anche al plurale).
618       ἰδνώθη δὲ πεσών: ὃ δὲ λὰξ ἐν στήθεσι βαίνων
si contorse (da ἰδνόομαι) cadendo; quello venendo avanti con un piede (da λάξ , avverbio) sul petto
619       τεύχεά τ᾽ ἐξενάριξε καὶ εὐχόμενος ἔπος ηὔδα:[13]
(gli) strappa (da ἐξεναρίζω) le armi, e vantandosi diceva parola:
620       ‘ λείψετέ θην οὕτω γε νέας Δαναῶν ταχυπώλων[14]
« Per certo (da θήν , particella enclitica = δή, esprime forte convincimento in un’affermazione: probabilmente θήν è più debole (Denniston): si veda un uso negativo in 8.448; secondo Janko ad loc. è usata ironicamente) così lascerete le navi dei Danai dai veloci cavalli,
621       Τρῶες ὑπερφίαλοι δεινῆς ἀκόρητοι ἀϋτῆς,
o Troiani arroganti (da ὑπερφίαλος , ον), che non vi saziate (da ἀκόρητος , ον, con il genitivo) della guerra terribile, rabbiosa,
622       ἄλλης μὲν λώβης τε καὶ αἴσχεος οὐκ ἐπιδευεῖς
e che non mancate, colpevoli (da ἐπιδευής , ές, poet. per ἐπιδεής, con il genitivo: οὐκ ἐ. “colpevoli”, litote), di un altro disonore, oltraggio (da λώβη , ἡ); e vergogna (da αἶσχος , εος, τό),
623       ἣν ἐμὲ λωβήσασθε κακαὶ κύνες, οὐδέ τι θυμῷ
di cui me (voi) avete macchiato (da λωβάομαι, con accusativo della persona e accusativo dell’oggetto interno, ‘accusative cognate’), malvage cagne, né in alcun modo nell’animo, nel (vostro) cuore,
624       Ζηνὸς ἐριβρεμέτεω χαλεπὴν ἐδείσατε μῆνιν
di Zeus tonante (da ἐριβρεμέτης , ου, Ep. εω, ὁ) temete (da δείδω) l’ira (da μῆνις , ἡ , gen. μήνιος) dura, difficile, terribile (da χαλεπός , ή, όν, “difficile da sopportare”),
625       ξεινίου, ὅς τέ ποτ᾽ ὔμμι διαφθέρσει πόλιν αἰπήν:
(di Zeus) che protegge gli ospiti (da ξένιος , α, ον, Ion. ξείνιος , quasi sempre in Omero), che un giorno a voi farà cadere, distruggerà (da διαφθείρω), la rocca scoscesa (da αἶπος , εος, τό, (αἰπύς));
626       οἵ μευ κουριδίην ἄλοχον καὶ κτήματα πολλὰ
(voi) che la mia legittima (da κουρίδιος , α, ον, (κοῦρος , κούρη)) sposa e molte ricchezze
627       μὰψ οἴχεσθ᾽ ἀνάγοντες, ἐπεὶ φιλέεσθε παρ᾽ αὐτῇ:
senza una ragione (da μάψ) partivate (da οἴχομαι) portando con (voi) (da ἀνάγω), dopo che siete stati accolti con affetto (da φιλέω) da lei;
628       νῦν αὖτ᾽ ἐν νηυσὶν μενεαίνετε ποντοπόροισι
629       πῦρ ὀλοὸν βαλέειν, κτεῖναι δ᾽ ἥρωας Ἀχαιούς.
ora invece desiderate fortemente, non vedete l’ora di (da μενεαίνω), portare il fuoco distruttore, fatale (da ὀλοός , ή, όν, (ὄλλυμι)), sulle navi che vanno per il mare, e di uccidere gli eroi achei.
630       ἀλλά ποθι σχήσεσθε καὶ ἐσσύμενοί περ Ἄρηος[15].
Ma una buona volta vi terrete lontani (da ἔχω, con il genitivo) da Ares, per quanto bramosi (da ἐσσύμενος , η, ον, Ep. part. pass. di σεύω).
631       Ζεῦ πάτερ ἦ τέ σέ φασι περὶ φρένας ἔμμεναι ἄλλων[16]
O Zeus padre, dicono che tu per spirito, per saggezza sei certamente al di sopra degli altri
632       ἀνδρῶν ἠδὲ θεῶν: σέο δ᾽ ἐκ τάδε πάντα πέλονται:
uomini e dei: eppure da te tutte queste cose sono, derivano;
633       οἷον δὴ[17] ἄνδρεσσι χαρίζεαι ὑβριστῇσι
dal momento che (da οἷος , οἵα, Ion. οἵη, οἷον, all’accusativo neutro usato come avverbio, rinforzato qui in οἷον δὴ) dimostri favore verso, assecondi (da χαρίζω, con il dativo), uomini violenti, tracotanti, temerari (da ὑβριστής , οῦ, ὁ: unico nell’Iliade, 11x nell’epos),
634       Τρωσίν, τῶν μένος αἰὲν ἀτάσθαλον, οὐδὲ δύνανται
i Troiani, la furia dei quali è sempre malvagia, insolente (da ἀτάσθαλος , ον),
635       φυλόπιδος κορέσασθαι ὁμοιΐου πτολέμοιο.
e non possono saziarsi (da κορέννυμι , con il genitivo) del rumore della battaglia, della battaglia (da φύλοπις , ιδος, ἡ), della guerra angosciosa, crudele (da ὁμοίιος , ον, con dieresi ὁμοίϊος, ον, epico per ὅμοιος, ον).
636       πάντων μὲν κόρος ἐστὶ καὶ ὕπνου καὶ φιλότητος
Di tutte le cose si ha sazietà (da κόρος , ὁ), sia del sonno che dell’amore,
637       μολπῆς[18] τε γλυκερῆς καὶ ἀμύμονος ὀρχηθμοῖο,
del canto (da μολπή , ἡ, (μέλπω)) dolce, melodioso (da γλυκερός , ά, όν, = γλυκύς) che della danza (da ὀρχηθμός , ὁ) perfetta,
638       τῶν πέρ τις καὶ μᾶλλον ἐέλδεται ἐξ ἔρον εἷναι[19]
delle quali cose ognuno brama (da ἔλδομαι e ἐέλδομαι, verbo poetico solo al presente ad imperfetto) liberarsi (da ἐξίημι, in tmesi) del desiderio (da ἔρος , ὁ, acc. ἔρον) anche più
639       πολέμου: Τρῶες δὲ μάχης ἀκόρητοι ἔασιν ’.
che della guerra; ma i Troiani non sono mai sazi (da ἀκόρητος , ον, con il genitivo) della guerra ».
Pisandro (T)

Elena incolpevole

636
πάντων μὲν κόρος ἐστὶ καὶ ὕπνου καὶ φιλότητος
μολπῆς τε γλυκερῆς καὶ ἀμύμονος ὀρχηθμοῖο,
τῶν πέρ τις καὶ μᾶλλον ἐέλδεται ἐξ ἔρον εἷναι
ἢ πολέμου: Τρῶες δὲ μάχης ἀκόρητοι ἔασιν.

Sazietà viene di tutto, del sonno e dell’amore,
del canto melodioso e della danza più perfetta,
cose di cui certo ognuno brama togliersi la voglia
più che della guerra; ma di lotta i Troiani sono insaziabili!
Citazione
640
640       ὣς εἰπὼν τὰ μὲν[20] ἔντε᾽ ἀπὸ χροὸς αἱματόεντα
Così avendo parlato, queste, le armi insanguinate, dal corpo
641       συλήσας ἑτάροισι δίδου Μενέλαος ἀμύμων,
tolte, strappate via (da συλάω), consegnava ai (suoi) compagni Menelao perfetto,
642       αὐτὸς δ᾽ αὖτ᾽ ἐξ αὖτις ἰὼν προμάχοισιν ἐμίχθη[21].
questi invece di nuovo andando (da εἶμι) si mescola (da μίγνυμι) a coloro che combattono nelle prime file.

643
643       ἔνθά οἱ υἱὸς ἐπᾶλτο Πυλαιμένεος βασιλῆος[22]
E qui addosso a lui saltò (da ἐφάλλομαι) il figlio del re Pilamene,
644       Ἁρπαλίων, ὅ ῥα πατρὶ φίλῳ ἕπετο πτολεμίξων
Arpalione, che per combattere (da πτολεμίζω , Ep. per πολεμίζω) seguiva suo padre
645       ἐς τροίην, οὐδ᾽ αὖτις ἀφίκετο πατρίδα γαῖαν[23]:
a Troia, e non fece più ritorno (da ἀφικνέομαι, con l’accusativo del luogo) alla terra patria;
646       ὅς ῥα τότ᾽ Ἀτρεΐδαο μέσον σάκος οὔτασε δουρὶ
egli allora con la lancia colpisce (da οὐτάζω) nel mezzo lo scudo dell’Atride
647       ἐγγύθεν, οὐδὲ διὰ πρὸ δυνήσατο χαλκὸν ἐλάσσαι
da vicino, ma non è capace (da δύναμαι) di spingere (da ἐλαύνω) il bronzo attraverso fino in fondo
648       ἂψ δ᾽ ἑτάρων εἰς ἔθνος ἐχάζετο κῆρ᾽ ἀλεείνων[24]
e immediatamente indietreggiava (da χάζομαι) verso il gruppo (da ἔθνος , εος, τό) dei compagni per evitare (da ἀλεείνω) la morte;
649       πάντοσε παπταίνων μή τις χρόα χαλκῷ ἐπαύρῃ.
in tutte le direzioni scrutando, spiando (da παπταίνω), che nessuno con il bronzo (gli) toccasse, graffiasse (da ἐπαυρέω), la pelle.
650       Μηριόνης δ᾽ ἀπιόντος[25] ἵει χαλκήρε᾽ ὀϊστόν,
Merione verso lui che fuggiva (da ἄπειμι) scagliava (da ἵημι) la freccia rinforzata, armata di bronzo (da χαλκήρης , ες),
651       καί ῥ᾽ ἔβαλε γλουτὸν κάτα δεξιόν[26]: αὐτὰρ ὀϊστὸς
e colpisce alla natica (da γλουτός , ὁ) destra: ed ecco la freccia
652       ἀντικρὺ κατὰ κύστιν ὑπ᾽ ὀστέον ἐξεπέρησεν.
da parte a parte giù verso la vescica (da κύστις , εως, ιος, ἡ) sotto l’osso penetrò (da ἐκπεράω).
653       ἑζόμενος δὲ κατ᾽ αὖθι φίλων ἐν χερσὶν ἑταίρων
PARAGONE à Crollato (da ἕζομαι) giù sul posto, lì (dov’era) (da αὖθι , avverbio di luogo, forma accorciata dio αὐτόθι), tra le braccia dei suoi compagni
654       θυμὸν ἀποπνείων, ὥς τε σκώληξ ἐπὶ γαίῃ
mentre esalava (da ἀποπνέω) la vita, lo spirito, come un verme (da σκώληξ , ηκος, ὁ) sulla terra
655       κεῖτο ταθείς: ἐκ δ᾽ αἷμα μέλαν ῥέε, δεῦε δὲ γαῖαν.
giaceva (da κεῖμαι) allungato, disteso (da τείνω); scorreva (da ῥέω) via, fuori, il sangue nero, scuro, bagnava, inzuppava (da δεύω), la terra.
656       τὸν μὲν Παφλαγόνες μεγαλήτορες ἀμφεπένοντο,
I Paflagoni magnanimi intorno a lui si davano da fare, erano impegnati (da ἀμφιπένομαι , Ep. solo presente e imperfetto, = πένομαι ἀμφί τινα),
657       ἐς δίφρον δ᾽ ἀνέσαντες[27] ἄγον προτὶ Ἴλιον ἱρὴν
quindi sedendo(lo) (da radice “σεδ” di ἵζω) sul carro lo conduceveno a Ilio sacra
658       ἀχνύμενοι: μετὰ δέ σφι πατὴρ κίε δάκρυα λείβων,
afflitti, straziati; tra di loro il padre veniva (da κίω), versando (da λείβω) lacrime,
659       ποινὴ[28] δ᾽ οὔ τις παιδὸς ἐγίγνετο τεθνηῶτος.
ma non c’era (da γίγνομαι) alcun risarcimento, compenso (da ποινή , ἡ), per un figlio morto (da θνήσκω).
Arpalione (T)

Paragone

Immagine del guerriero morto
654
ὥς τε σκώληξ ἐπὶ γαίῃ
κεῖτο ταθείς: ἐκ δ᾽ αἷμα μέλαν ῥέε, δεῦε δὲ γαῖαν.

Come verme sopra la terra
Giacque disteso; il sangue nero scorreva e bagnava la terra.
Citazione
659
ποινὴ δ᾽ οὔ τις παιδὸς ἐγίγνετο τεθνηῶτος.

Ché non esiste compenso d’un figlio caduto.
Citazione
660
660       τοῦ δὲ Πάρις μάλα θυμὸν ἀποκταμένοιο χολώθη:
Paride molto si adirò (da χολόω, qui con il genitivo della persona/cosa per la quale ci si adira) nel cuore per lui, ucciso (da ἀποκτείνω) -
661       ξεῖνος γάρ οἱ ἔην πολέσιν μετὰ Παφλαγόνεσσι:
gli era infatto stato ospite (da ξένος , ὁ, Ep. e Ion. ξεῖνος) fra molti Paflagoni –
662       τοῦ ὅ γε χωόμενος προΐει χαλκήρε᾽ ὀϊστόν.
egli dunque, adirato (da χώομαι , con il genitivo, della persona e della cosa) per causa, sua lanciava la freccia rinforzata, armata di bronzo (da χαλκήρης , ες).
663       ἦν δέ τις Εὐχήνωρ Πολυΐδου μάντιος υἱὸς
C’era un certo Echenore, figlio dell’indovino (da μάντις , ὁ, gen. εως, Ion. ιος) Poliido
664       ἀφνειός τ᾽ ἀγαθός τε Κορινθόθι οἰκία ναίων,
ricco (da ἀφνειός , όν, anche ή, όν) e nobile, e che abitava (da ναίω) un palazzo a Corinto,
665       ὅς ῥ᾽ εὖ εἰδὼς κῆρ᾽ ὀλοὴν ἐπὶ νηὸς ἔβαινε:
e che, ben conoscendo il destino funesto (da ὀλοός , ή, όν, (ὄλλυμι)), partiva sulle navi:
666       πολλάκι γάρ οἱ ἔειπε γέρων ἀγαθὸς Πολύϊδος
spesso infatti il vecchio, nobile Poliido a lui aveva detto
667       νούσῳ ὑπ᾽ ἀργαλέῃ φθίσθαι[29] οἷς ἐν μεγάροισιν,
che sarebbe perito (da φθίω, si noti l’infinito aoristo) nel suo palazzo per effetto di un male (da νόσος , Ep. e Ion. νοῦσος , ἡ) terribile, doloroso (da ἀργαλέος , α, ον),
668       ἢ μετ᾽ Ἀχαιῶν νηυσὶν ὑπὸ Τρώεσσι δαμῆναι:
oppure ucciso (da δαμάζω) sotto i Troiani fra le navi degli Achei;
669       τώ ῥ᾽ ἅμα τ᾽ ἀργαλέην θωὴν ἀλέεινεν Ἀχαιῶν[30]
in questo modo allo stesso tempo evitava (da ἀλεείνω) una dura ammenda, sanzione (da θωή , ἡ), degli Achei,
670       νοῦσόν τε στυγερήν, ἵνα μὴ πάθοι ἄλγεα θυμῷ.
e un odioso (da στυγερός , ά, όν) morbo, per non patir(ne) i tormenti nello spirito.
671       τὸν βάλ᾽ ὑπὸ γναθμοῖο. καὶ οὔατος: ὦκα δὲ θυμὸς
Egli colpì sotto la mascella (da γναθμός , ὁ). E l’orecchio (da οὖς , τό, gen. ὠτός: Hom. ha solo l’acc. sing. ed il dat. pl. mentre gli altri casi sono formati da οὖας , gen. οὔατος): subito la vita
672       ᾤχετ᾽ ἀπὸ μελέων, στυγερὸς δ᾽ ἄρα μιν σκότος εἷλεν.

se ne andava (da οἴχομαι) via dalle membra (da μέλος , εος, τό), ed ecco il buio (da σκότος , ὁ, più raramente σκότος , εος, τό) odioso, terribile, luttuoso lo prende, lo stringe.
Echenore (A)




Transizione alla Διὸς ἀπάτη

Lasciamo ora l’aristia di Idomeneo ed entriamo in un passaggio di transizione che ci porta alla Διὸς ἀπάτη del libro seguente. Molte le debolezze ed altri segni di una composizione tarda, come verrà fatto notare nel corso della traduzione. Ettore, come appare subito, è al centro della battaglia. Si noti 673 = 11.596, 18.1. Inoltre i versi sono una apparente imitazione di 11.497 sgg., ma con posizione invertita; là Ettore e sulla sinistra e non sa nulla della sconfitta troiana al centro.

A differenza delle precedenti sequenze di duelli (361-672), questa scena descrive una battaglia di massa. Dopo aver ricapitolato le perdite troiane sulla sinistra dello schieramento, l’attenzione del narratore si porta su Ettore e sui suoi avversari al centro, i quali vengono onorati con un piccolo catalogo; esso culmina con i loro comandanti, gli Aiaci, e con la loro riuscita tattica di combattimento con il lancio di proiettili. A partire dal verso 723 i Troiani sono in difficoltà su tutto il fronte, solo l’intervento di Polidamante evita la rotta. Per mancanza di ufficiali sul fronte sinistro, Ettore non può consultarsi, come Polidamante propone; per contro, incita i suoi uomini e scambia minacce con gli Aiaci, creando crescenti aspettative per un duello (come in 183 sgg.), duello che infine arriva in 14.402 sgg. Si è parlato molto male di questo passaggio. Leaf ha affermato che ‘da 673 a 794 è tutta una confusione. L’attacco più pesante lanciato dagli Analitici è stato in particolare contro i versi 679-724. Presumibilmente il resoconto del combattimento sul fronte centrale (681 sgg.) implica che la battaglia in quel punto non sia stata descritta in precedenza; la disposizione delle navi contraddice il resto dell’Iliade; la lista dei contingenti rappresenta una ingiustificata e post-omerica espansione limitata alla Grecia continentale; i frombolieri Locri sono ‘non epici’ e in contrasto con 4.280-282; e l’incapacità dei Greci di respingere Ettore in 687 sg. contrasta con il loro parziale successo in 723 sgg. Sempre a proposito delle scene che seguono, Shipp in particolare ha scavato nella solita messe di stranezze linguistiche che adornano tutti i migliori passaggi omerici. Commentando questo brano, Fenik ha tra l’altro mostrato come questa scena sia una elaborata versione dello schema visto in 11.497-452: in effetti molte sono le similitudini con quest’ultima sezione e con altri passi.

673
673       ὣς οἳ μὲν μάρναντο δέμας πυρὸς αἰθομένοιο:
Così quelli combattevano (da μάρναμαι) alla maniera di (da δέμας , τό, (δέμω), ma qui come avverbio, con il genitivo) un fuoco ardente, che divampa (da αἴθω):
674       Ἕκτωρ δ᾽ οὐκ ἐπέπυστο Διῒ φίλος, οὐδέ τι ᾔδη
Ettore però, caro a Zeus, non sapeva, non era informato (a πυνθάνομαι), non era in alcun modo a conoscenza (da οἶδα)
675       ὅττί ῥά οἱ νηῶν ἐπ᾽ ἀριστερὰ δηϊόωντο
676       λαοὶ ὑπ᾽ Ἀργείων.
che sulla sinistra (da ἀριστερός , ά, όν) delle navi i suoi uomini erano venivano sterminati (da δηιόω) dagli Argivi.
676       τάχα[31] δ᾽ ἂν καὶ κῦδος Ἀχαιῶν
e presto anche la gloria (da κῦδος , εος, τό) degli Achei
677       ἔπλετο: τοῖος γὰρ γαιήοχος ἐννοσίγαιος
poteva esserci (da πέλω): tale, a tal punto infatti colui che avvolge, che tiene la terra (da γαιήοχος , ον, (ἔχω)), che scuote la terra (da ἐννοσίγαιος , ὁ, Ep. per ἐνοσίγ-)
678       ὄτρυν᾽ Ἀργείους, πρὸς δὲ σθένει αὐτὸς ἄμυνεν:
spronava (da ὀτρύνω) gli Achei, ed egli stesso veniva in soccorso (da ἀμύνω) con la forza (da σθένος , εος, τό);
679       ἀλλ᾽ ἔχεν[32] ᾗ τὰ πρῶτα πύλας καὶ τεῖχος ἐσᾶλτο
ma (Ettore) rimaneva (da ἔχω) dove inizialmente aveva superato (da εἰσάλλομαι) la porta e il muro
680       ῥηξάμενος Δαναῶν πυκινὰς στίχας ἀσπιστάων,
una volta sfondate (da ῥήγνυμι) le schiere compatte dei Danai armati di scudo (da ἀσπιστής , οῦ, ὁ),
681       ἔνθ᾽ ἔσαν Αἴαντός τε νέες καὶ Πρωτεσιλάου[33]
dove erano le navi di Aiace e di Protesilao
682       θῖν᾽ ἔφ᾽ ἁλὸς πολιῆς εἰρυμέναι: αὐτὰρ ὕπερθε
lungo la riva del mare grigio, spumoso (da πολιός , ά, όν, anche ός, όν: letteralmente “canuto”, riferito ai capelli bianchi o grigi per l’età), tirate a secco (da ἐρύω); ma al di sopra
683       τεῖχος ἐδέδμητο χθαμαλώτατον, ἔνθα μάλιστα
il muro era stato costruito (da δέμω) al livello più basso (da χθαμαλός , ή, όν), dove soprattutto
684       ζαχρηεῖς γίγνοντο μάχῃ αὐτοί τε καὶ ἵπποι.
erano (da γίγνομαι) furiosi, rabbiosi (da ζαχρηής , ές), nel combattimento gli uomini e i cavalli.




[1] Pisandro cerca ora – nel duello in 601-643 – di finire quello che Eleno ha iniziato. L’importanza del duello è segnalata prima di tutto dal lungo discorso di Menelao, che colloca questo combattimento nel contesto dell’intera guerra definendone anche l’esito finale. Non può essere un caso che Agamennone abbia ucciso un altro guerriero, appropriatamente chiamato Pisandro, figlio dell’uomo che Paride aveva corrotto per convincere i Troiani ad uccidere Menelao durante la sua ambasceria a Troia (11.122 sgg.). Parry suggerisce brillantemente che in un’altra versione Menelao uccidesse quest’ultimo Pisandro; ma Omero, ricordandosi che aveva già fatto compiere questo gesto ad Agamennone, e volendo evitare di uccidere lo stetto uomo per due volte (si veda Pilemene più avanti) mette in scena Pisandro senza identificarlo, ma lascia il bel discordo di Menelao. Per di più 610 = 3.361, dove Menelao colpisce l’elmo di un altro nemico personale, Paride !
Questo duello combina elementi consueti – un inutile scambio con le lance ed un secondo combattimento ravvicinato. I colpi sono in ordine chiastico: Menelao – Pisandro – Pisandro – Menelao. Si noti 232 sg. = 604 sg.
[2] Il motivo del destino malvagio che conduce un uomo alla morte, un motivo che ci rassicura sul fatto che Menelao vincerà, ricorre altrove: si veda 5.613 sg., 5.638 sg. (Tlepolemo), 22.5 (Ettore).
[3] L’apostrofe emozionale, o la tecnica di rivolgersi direttamente ad un personaggio, si applica 7x a Menelao, 8x a Patrolo, poi ancora ad Apollo, Melanippo ed Achille. Come ha dimostrato A. Parry, questa tecnica viene utilizzata più per sviluppare empatia verso particolari caratteri che non per un’utilità metrica.
[4] La questione tra aoristo e imperfetto per ἔσχεθε è rimandata a σάκος: se lo interpretiamo come accusativo (“reggeva il suo scudo”) o come nominativo (“lo scudo trattenne”). Quest’ultima soluzione è preferibile (cfr. 12.184), mentre la prima espressione non necessita di essere ribadita. Si tratta quindi di un aoristo.
[5] Pisandro è felice per aver colpito Menelao, e pregusta la vittoria finale. Tra gli altri Troiani che hanno dimostrato prematuro ottimismo – Pandaro, Paride ed Ettore (5.101 sgg., 5.283 sgg., 11.378 sgg., 22.279 sgg.) – i primi due hanno comunque almeno ferito il loro avversario, non completamente fallito, come Pisandro.
[6] Zenodoto legge qui erroneamente μάχαιρα, che non è mai in Omero un’arma, ma solo un coltello utilizzato per i sacrifici (si veda 3.271, 18.597), nonostante l’etimologia. Con la lettura di Zenodoto, 610 = 3.271.
[7] La posizione dell’epiteto καλ́ην alla fine del verso, concordante con un sostantivo nel verso successivo, non è un tratto omerico. È un ‘violent’ enjambement (Janko ad loc.) che troviamo anche in 3.44 sg., 16.338 sg., 14 sg. Un fenomeno di questo tipo non è insolito in una poesia completamente orale, e deriva dal gioco delle formule.
[8] ἀξίνη è un’arma menzionata ancora solo in 15.711 della quale non possiamo dire molto: gli scholia suggeriscono che Pisandro l’aveva con sè in previsione dell’attacco alle navi. Si tratta di un’ascia da battaglia, e di un’arma straniera nella forma e nel materiale. Il termine ἀξίνη è di origine semitica e anche πέλεκυςè un imprestito straniero. Ittiti e Siriani utilizzavano queste asce nel II millennio a.C. Gli Ittiti alla fine relegarono queste asce ad uno status sacro come attributo di Teshup.
Non è chiaro se la ἀξίνη avesse una lama o due: due avrebbero evitato a chi le impiegava di doverle affilare troppo spesso. Il πέλεκυς ne aveva due, l’ἡμιπέλεκκον una (23.851). Alcuni hanno interpretato il πέλεκκος, o πέλεκκον (hapax), come la testa dell’ascia, o l’insieme: Aristarco correttamente glossa il termine come “manico”. Si veda anche l’ascia di Odisseo in Od. 5.236, ascia di bronzo a doppia lama con manico in legno d’olivo per tagliare il legno.
[9] ἀλλ́ηλων è il solito genitivo dell’obiettivo che si raggiunge, come con τυγχάνω.
[10] Si vedano 6.9 o 4.459.
[11] Il disgustoso dettaglio della fuoriuscita degli occhi di Pisandro causata dal terribile colpo alla radice del suo naso ha un parallelo in 14.493 quando un colpo di lancia fa fuoriuscire il bulbo oculare; in 16.741 sg. ricorre χαμαὶ πέσον ἐν κονίῃσιν e gli occhi della vittima, cavati fuori da un pietrone che fracassa la sua fronte, cadono a terra come qui. Il fuoriuscire dei bulbi oculari non sembra una conseguenza possibile per un singolo colpo sulla fronte, anche se i bulbi potrebbero esplodere: gli scholia però non protestano, il che suggerisce che neppure il pubblico di Omero avrebbe protestato. Se il poeta avesse ritenuto questo non naturale, avrebbe sicuramente fatto uso dell’intervento divino per farlo accadere, come in 434-442. Aristarco ha qui accettato il πέσον della vulgata, non correggendo con πέσεν. Altrove corregge, basandosi su altri passi, per normalizzare in qualche modo l’uso dei verbo con i neutri plurali: ma non è corretto normalizzare un testo orale dettato, e in Omero l’uso dei verbi appunto con i neutri plurali varia.
[12] L’espressione χαμαὶ πέσον ἐν κονίῃσιν è formulare, si veda 5.583. E anche 16.741.
[13] Con ἰδνώθη δὲ πεσών si veda Od. 22.85; con il resto del verso 618 si veda 6.65 e 16.503. Il verso 619 = 17.537, 21.183. Ma le due parti del verso 619 – separate da καὶ - sono anche formulari: per la prima parte si veda per esempio 7.147; per la seconda si vedano 11.379 o 10.461.
[14] Il discorso di Menelao in 620-639 è l’unico discorso in 487-725: il suo peso deriva sia dal suo isolamento, che dal suo contenuto. Le parole di Menelao vanno ben al di là del recente trionfo, e richiamano il dovere di Zeus, in quanto protettore degli ospiti, di assicurare che Troia cada, cosa che sappiamo infine accadrà. Menelao non può tra l’altro sapere che il favore che Zeus sta dimostrando non è rivolto ai Troiani, ma a Teti. Per quanto riguarda l’uso dei discorsi per ricordare al pubblico una situazione di più ampia portata, si veda 95-124, e in particolare 111-113. Le parole di Menelao non sono piene di odio e amarezza verso i Troiani, quanto piuttosto di dolore ed indignazione basati sul suo senso della giustizia.
Secondo il giudizio di Janko, la maggior parte dei critici non hanno correttamente interpretato il brano. In particolare Leaf ritiene i passi 631-639 o 634-639 interpolati sulla base del loro contenuto. Fenik giudica tra l’altro goffa – ‘inept list’ – l’elenco di 636 sg. In effetti il discorso cuce insieme vasi temi in un tutto coeso e integrato.
Shipp in particolare rigetta i versi 622-639, ma non sulla base dello stile bensì sulla base di varie stranezze linguistiche, che in effetti si concentrano qui. Si veda l’analisi in Janko (pp. 123-124).
[15] Ἄρηος può andare insieme a σχήσεσθε oppure insieme ad ἐσσύμενοι, ma è meglio concordarlo con il primo (Leaf ad. Loc; Janko ad loc.): si veda il verso 315.
[16] A partire dal verso 631, quanto segue fino alla fine del discorso viene giudicato una interpolazione. Essere instancabili nel combattimento non è certamente un rimprovero che possa toccare un nimico, così come il suo successo in battaglia è segno di ὕβρις. L’intero passo sembra una espansione di δεινῆς ἀκόρητοι ἀυτῆς (621), che non è naturalmente una espressione di scherno, mediante i luoghi comuni di 631-637, l’ultimo dei quali si trova nuovamente in Od. 23.145. Forse l’atetesi dovrebbe iniziare solo con 634: ὑβριστ̂ηισι allora, invece di riferirsi a quello che segue, in modo più pertinente ripete il pensiero di 622.
[17]  οἷον δ́η di solito segue una esclamazione di rimprovero, applicandola alla speciale situazione in questione: si veda 17.587, 21.57, Od. 5.183, Od. 11.429. Come anche qui, dove spiega il rimprovero.
[18] μολπ̂ης secondo Aristarco significava solo “sport”, o “danza”, non “canto”. Ma sebbene il primo significato sia richiesto in Od. 6.101, dove si applica al gioco della palla cui partecipa Nausicaa, qui invece, in una enumerazione di piaceri sensuali, non è probabile che la musica venga completamente omessa, e che venga utilizzato un termine che è difficilemente distinguibile dal termine ὀρχηθμός che segue. Così in Od. 1.152, con il suo contesto, e in Od. 21.430, μολπή significa chiaramente “musica”. Una semplice spiegazione si trova nel termine inglese ‘play’, che ha sia una applicazione generale ad ogni attività sportiva (come in μέλπηθρα, δήιωι μέλπεσθαι Ἄρηϊ, 7.241, etc.) ed un significato speciale in connessione con la musica (come qui e in 1.474). Inoltre, il poeta qui ricorda al suo pubblico il piacere che essi provano ascoltando la sua esecuzione.
[19] ἐξ ἔρον εἷναι significa “cacciare il desiderio”, quindi averne a sazietà, come nella familiare espressione ἐξ ἔρον ἕντο (9.222 e 92; 7.3232 etc.). l’infinito dell’aoristo non ricorre, ma l’attivo al posto del medio si trova anche in 24.227.
[20] τὰ μέν è pronominale, in opposizione ad αὐτὸς δέ, non un articolo.
[21] Formulare, si veda 5.134.
[22] La fine di Arpalione somiglia a quella di Adamante (cfr. 560-750), con elaborazioni per creare pathos: il lasciare presagire la sua morte in 645, il suo crollare, unico, tra le braccia dei suoi compagni, la similitudine del verme, e il suo trasporto a Troia sul carro, seguito dal parte in lacrime. Altre coppie padre-figlio a Troia sono Asio-Adamante e Nestore-Antiloco. Il padre di Arpalione è Pilemene, re dei Paflagoni (cfr. 2.851), e questo è strano perché Menelao uccise un Pilemene re dei Paflagoni in 5.576-579. I versi relativi al padre che piange seguendo il corpo del figlio sono tradizionali, e dal momento che Pilemene non viene in essi nominato sicuramente Omero non rilevò le loro implicazioni. E comunque la discrepanza è meno eclatante di quella di Schedio ucciso due volte o di Melanippo ucciso tre volte. Oppure di quella relativa al cadavere che geme in 423. Gli antichi non credettero a questa resurrezione di Pilemene, e reagirono in vario modo con correzioni o atetizzando.
[23] Relativamente al presagio della morte di Arpalione in 645, si veda la nota al verso 602. Questo verso viene adattato dal poeta alla vicenda di Protesilao in 15.706, suscitando simile pathos.
[24] Verso formulare: si veda in particolare 13.566 sg.
[25] Genitivo di scopo.
[26] Cfr. 5.66.
[27] ἀνέσαντες, “sedendolo”, come in Od. 14.280 (ἐς δίφρον δέ μ᾽ ἕσας ἄγεν οἴκαδε δάκρυ χέοντα), da σεδ root of ἵζω (ἕζω) (si veda anche κάθεσαν e la nota a 19.280). Apollonio Rodio leggeva ἀναθέντες, dato che ἀνέσαντες sembrava inadatto ad un cadavere. Ma potrebbe non essere incompatibile, e il poeta potrebbe intendere che Arpalione è morto mentre viene trasportato in città: la sua morte viene così ritardata fino al verso 659.
[28] Si veda anche νήποινοι ὄλοισθε in Od. 1.380, Od. 2.145. Per capire questo verso occorre pensare che per un uomo morire senza che la sua famiglia possa richiedere alcun prezzo per la sua vendetta o alcun risarcimento era una disgrazia: la vittima veniva degradata al livello dei rifiuti umani senza valore che, come nelle saghe nordiche, erano fuorilegge in ragione dei loro misfatti, e potevano essere uccisi senza alcun pagamento. La morte di Arpalione viene in effetti immediatamente vendicata da Paride quando uccide Echenore, ma il prezzo non viene pagato dallo stesso Merione.
[29] Ecco un infinito aoristo dove ci saremmo aspettati un futuro. È stato suggerito che il verso 666 potrebbe essere interpretato come parentetico, cosicchè φθίσθαι sarebbe epesegetico, esplicativo di κῆρα (665). È anche possibile prendere semplicemente φθίσθαι insieme ad ἔειπεν come semplice complemento, o oggetto del verbo, senza riferimento al tempo: “gli aveva annunciato la sua morte, il suo morire”, proprio come abbiamo νόστον σοῦ πατρὸς σάφα εἰπέμεν in Od. 17.106; e si veda anche Od. 4.561 (σοὶ δ᾽ οὐ θέσφατόν ἐστι […] θανέειν).
Ma si veda anche 3.28, con la nota ad loc. di Leaf: qui come in altri passaggi simili (112, 366, 20.85, 22.118, 120, ed altri) i MSS variano tra l’infinito futuro ed aoristo. La questione è vecchia, come appare anche negli scholia, e la testimonianza dei MSS su questo punto ha poco peso. Nella maggior parte dei casi il futuro è più naturale, ma l’aoristo è abbastanza difendibile. Dopo verbi di dire non c’è questione, e il tempo dell’infinito deve seguire quello del verbo nella proposizione diretta. In altri casi vi sono eccezioni quando l’idea di futuro è particolarmente viva (si veda William Watson Goodwin, Syntax of the Moods and Tenses of the Greek Verb, nel seguito M.&T., § 113). Inoltre, sempre in M. & T. § 136, i verbi di speranza, attesa, promessa e giuramento, e pochi altri, prendono regolarmente l’infinito futuro nel discorso indiretto, ma essi consentono anche l’aoristo e persino il presente infinito (non nel discorso indiretto) come i verbi di volere.
[30] Θώην indica evidentemente un’ammenda definita, al posto di un servizio personale. Abbiamo un’esempio di ciò in 23.297, dove Echepolo offre ad Agamennone una cavalla, δῶῤ, ἵνα μή οἱ ἕποιθ᾽ ὑπὸ Ἴλιον ἠνεμόεσσαν. Il termine ricorre in 2.192. La partecipazione alla guerra di Troia doveva essere sentita come un dovere per tutti i Greci, al punto che chi si fosse sottratto ad essa avrebbe dovuto pagare un’ammenda.
[31] Τάχα significa “presto”, come sempre in Omero, non “forse”, come in Attico, ad esprimere probabilità o anche solo possibilità. Una affermazione relativamente all’imminente sconfitta dei Troiani giunge piuttosto come una sorpresa: l’ultima azione si era conclusa in loro favore, ed essi non avevano mostrato alcun segno di cedimento.
[32]  ἔχεν viene generalmente spiegato nel senso che Ettore continua la sua strada, così come il verbo viene inteso in 520, 557, 12.433. Ma dalla menzione di ἵπποι in 684 (e cfr. 749) sembra che Ettore sia immaginato sul suo carro. ἔχεν prenderebbe quindi il suo normale significato omerico, “stava conducendo”. La stessa, identica questione si pone in 326, ed in entrambe i casi probabilmente nasce da una confusione del racconto originale, in cui i carri possono essere condotti fino alle navi, con la più tarda interpolazione relativa al muro e a tutti gli incidenti di combattimento di fronte ad esso. La speciale durezza in questo caso è dovuta alla menzione deldel muro (per la prima volta a partire da 124) nello stesso verso (679). Ma questo deve essere interpretato come un segno della scarsa abilità dell’interpolatore del passaggio.
[33] Questa è la prima menzione della nave di Protesilao, che gioca un ruolo estremamente importante nel combattimento alla fine del libro XV. Αἴαντος senza un ulteriore aggettivo deve riferirsi ad Aiace Telamonio, sebbene secondo 11.8-9 le sue navi fossero all’estremità della fila, e in 11.5 il centro fosse occupato dalle navi di Odisseo. Ma non dobbiamo preoccuparci troppo di questa discrepanza tra con un passaggio così tardo come l’introduzione al libro X, e certamente non fino al punto di supporre, con Aristarco, che si tratti di Aiace Oileo. Nel libro XV Aiace Telamonio è intimamente connesso con la difesa della nave di Protesilao, e questo è abbastanza per spiegare la momentanea associazione tra un due in questo passo.

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