ΙΛΙΑΔΟΣ Ξ – Διὸς ἀπάτη.
Introduzione al libro
La struttura del libro XIV è chiara, semplice, e consiste di
un anello concentrico di temi narrativi il cui epicentro è costituito dalla
scena dell’inganno di Era ai danni di Zeus, scena che in antichità ha dato il
titolo – Διὸς ἀπάτη – all’intero libro:
·
A (1-134) : il consiglio dei comandanti greci: la prospettiva
della sconfitta;
·
B (135-152) : rinnovato intervento di Poseidone;
·
C (153-353) : Era seduce Zeus;
·
B’ (354-401) : Poseidone guida i Greci verso il
combattimento;
·
A' (402-522) : i Greci mettono in fuga i Troiani: possibilità
di un successo.
Ad una prima lettura il libro sembra possedere una sua
intrinseca e indubbia unità, se pure con un piccolo sconfinamento rappresentato
dai versi 14.506-15.4: una breve struttura ad anello che si accavalla al termine
del libro. La scena centrale costituisce un’unità nell’unità, e potrebbe essere
staccata dal resto del libro: ma essa adempie la stessa funzione del resto del
ibro, quella di ritardare l’implacabile avanzata dei Troiani. E in caso il
libro è senz’altro un capolavoro, e costituisce un paradigma della tecnica
compositiva omerica del virtuosismo del poeta nella composizione delle diverse
scene tematiche già note, e che ritroviamo qui: il dibattito, l’esortazione, la
genealogia, il racconto della battaglia e così via.
Come si è detto, il libro deve il suo titolo al celebre
episodio dell’inganno di Era ai danni di Zeus: il racconto di Zeus che si
addormenta per effetto delle astuzie di Era (153-362) costituisce il fulcro
della narrazione. Questo episodio - che ha una sua continuazione in 15.1-366 ed
una sua probabile introduzione in 13.1-125 – è semplice, diretto, lineare e
quasi privo di difficoltà critiche interne, così come è spiritoso, pieno di
grazia e di sana sensualità: qualità queste ultime che regalano a questa
deliziosa scena una marcata individualità nell’ambito degli episodi più belli
dell’Iliade, e lo segnalano come l’opera di una sola mano. Solo un passaggio,
il cosiddetto ‘Catalogo Leporello’ (317-327), è stato messo in discussione da
Aristarco in poi; e solo un punto del racconto rimane oscuro: il messaggio
riferito dal Sonno a Poseidone in 354 sgg. senza alcuna istruzione, per quanto
ne sappiamo, da parte di Era. Al contrario, le scene che introducono e
continuano lo ἱερὸς γάμος di Zeus ed Era sono irte di difficoltà e dubbi.
Un primo problema si presenta sin da subito: per quale
ragione Era decide di interferire solo a questo punto ? Poseidone ha potuto
operare indisturbato per tutto il precedente libro, e l’idea di distrarre
l’attenzione di Zeus con un inganno giunge davvero troppo tardi. Nitzsch arrivò
a suggerire che l’inganno di Zeus non dev’essere considerato successivo agli
eventi del libro XII, ma ad essi contemporaneo: è la scena dell’amoreggiamento
di Zeus che spiega perché Poseidone non venga ostacolato mentre aiuta i Greci
nella prima parte del libro XIII. Quindi nel libro XIV i versi 154 sgg. (αὐτίκα
δ᾽ ἔγνω / τὸν μὲν ποιπνύοντα κ.τ.λ.)
fanno riferimento all’azione di Poseidone non nei versi immediatamente
precedenti, ma in 13.43 sgg. E l’incontro di Poseidone con i comandanti feriti
(14.136) è un evento da collocarsi nel contesto delle esortazioni in 13.83 sgg.
Ma
c’è una seconda difficoltà, che potrebbe anch’essa spiegarsi con la congettura
di Nitzsch: il problema del combattimento tra Aiace ed Ettore. In 13.809-832
abbiamo uno scambio di invettive e parole di sfida tra i due eroi, che però non
portano a nulla, e su di esse il libro XIII si chiude. Invece in 14.402 ci
troviamo nel mezzo di un combattimento senza un inizio. Il πρῶτος con cui la
scena inizia dovrebbe, in accordo con la pratica epica, seguire un passaggio
che introduce i due guerrieri: in realtà abbiamo solo un generico riferimento
all’esercito nel suo complesso. Ma anche l’ipotesi di Nitzsch non rende completamente conto del testo omerico nella
sua forma attuale: una regressione così violenta ad un punto così lontano della
narrazione è impensabile senza
una qualche spiegazione. Qualsiasi ascoltatore deve ragionevolmente supporre
che lo ἰαχή in 14.1 si riferisca a ἴαχε in 13.834, mentre secondo quest’ipotesi
si dovrebbe risalire fino a αὐΐαχοι di 13.41 oppure ad ὅμαδος δ᾽ ἀλίαστος ἐτύχθη
di 12.471. Una tale regressione richiederebbe un complesso lavoro di immaginazione
anche da parte di un lettore attento e ben preparato: che possa compiere un
simile collegamento un ascoltatore senza nemmeno una parola di spiegazione è
fuori discussione. In ogni caso è chiaro che la scena all’inizio di questo
libro si adatta meglio con l’inizio, e non con la fine, del libro XIII: che Nestore
e gli altri comandanti vengano fatti uscire dalle loro tende dal rumore e dalle
grida dei combattenti è una cosa che può essere ragionevole appena il muro viene
superato, non quando la battaglia è già da qualche tempo in corso, avanti e
indietro all’interno del muro.
A
questo punto la conclusione di Leaf (p. 63) è che le due storie non siano
contemporanee, ma alternative: il libro XIV rappresenterebbe dunque una
continuazione alternativa al libro XII. L’ipotesi non è naturalmente
universalmente condivisa: per Janko (pag. 149-150) la soluzione del problema
cronologico sta invece nella tecnica narrativa di Omero, così come tra l’altro
spiegata da C. H. Whitman e R. Scodel in Sequence
and simultaneity in Iliad Ν, Ξ, and Ο, HSCP 85 (1981), 1-15. Già T. Zielinski
aveva scoperto che Omero spesso presenta scene simultanee come se accadessero
una dopo l’altra: una scena che il poeta mette da parte viene congelata,
immobilizzata, per essere poi ripresa più tardi nello stesso punto in cui
l’aveva lasciata. Così l’intervento di Poseidone in 13.10-38 sembra accadere in
modo quasi istantaneo, dal momento che la battaglia viene congelata allo stesso
istante. Ed è per questa stessa ragione che Nestore, che ha cominciato a bere
nella sua tenda in 11.624 sgg., sta ancora bevendo in 14.1, una lunghissima
bevuta che ha creato qualche imbarazzo negli scoliasti. Allo stesso modo il
consiglio di guerra e l’inganno di Zeus si intromettono nel duello tra Aiace ed
Ettore, aumentandone così l’importanza e creando un effetto di suspence: annunciato dalle invettive di
13.809 sgg. inizia solo in 14.402 e senza alcun preliminare. Omero utilizza un
semplice, ma efficace motivo per separare queste scene: il grido o il rumore
della battaglia. Janko presenta a questo punto una possibile interpretazione
delle scene principali dei libri XII, XIII e XIV, adattata dallo studio di
Whitman e Scodel citato (le scene simultanee sono indentate):
sfondamento del bastione (in 12.470); grido (12.471)
arrivo di Poseidone (13.1-40); grido (13.41)
battaglia, che conduce al duello di Ettore con Aiace (13.42-833); grido
(13.834-837)
consiglio dei comandanti (14.1-146); grido (14.147-152)
inganno di Zeus e sue conseguenze (14.153-392); grido (14.393-401)
duello di Ettore con Aiace (14.402 sgg.)
Che
queste grida non siano semplicemente casuali è chiaro dalle elaborate
descrizioni degli ultimi tre, che incorniciano unità narrative molto più estese
di quanto non faccia il grido in 13.41. E del resto è il frastuono della
battaglia che richiama alla realtà Patroclo nella tenda di Euripilo in 15.390
sgg., quando Zeus si è risvegliato e ha ribaltato l’azione greca. Patroclo è
rimasto con Euripilo anche più a lungo di quanto Nestore sia rimasto con
Macaone, eppure ne emerge per ritrovare la stessa situazione che c’era alla
fine del libro XII, con i Troiani che sciamano giù dalle fortificazioni e i
Greci in fuga!
Abbiamo
visto per l’ultima volta Nestore mentre sta cercando di persuadere Patroclo
affinchè spinga Achille a unirsi di nuovo ai combattimenti (11.642-805); Patroclo
però sulla via del ritorno alle tende dei Mirmidoni si ferma per curare
Euripilo (11.806-848). Reitroducendo a questo punto Nestore, il poeta riannoda
uno di quei due fili lasciati sciolti nel libro XI, e ci rammenta anche di quel
libro reintroducendo i comandanti che erano allora stati feriti: sebbene non
siano in condizioni di combattere la loro decisione di incitare gli altri li
coinvolge nuovamente nella battaglia. La loro discussione rivela la serietà
della crisi in corso, e mostra tutti i personaggi con i loro tratti tipici: il
disfattismo di Agamennone, il senso pratico di Odisseo e l’energica risolutezza
di Diomede. Quest’ultimo in particolare mostra nei confronti di Achille lo
stesso atteggiamento che aveva avuto la notte precedente, dopo la fallita
ambasceria (9.676 sgg.); non suggerisce di affrontarlo nuovamente (come Achille
si aspetta), sebbene abbia in effetti mostrato segni di cedimento decidendo di
non ritornarsene in patria. La loro fermezza, per quanto ammirevole,
contribuirà al disastro. Come nota R. M. Frazer – in The crisis of leadership among the Greeks and Poseidon’s intervention
in Iliad 14, Hermes 113 (1985), 1-9 – la crisi di leadership in campo greco
richiede un rinnovato intervento di Poseidone per la sua definitiva soluzione;
e per di più il suo incitamento all’esercito con un urlo porta naturalmente
all’intervento di Era. L’allusione ad Achille ai versi 50 e 139 sg., come
ancora al verso 366, ce lo fa avere ben presente nella nostra mente; la
consapevolezza da parte di Agamennone della rabbia degli Achei nei suoi
confronti a causa della disputa riprende 13.111 sg. ed aiuta ad interpretare la
sua condotta.
Ritorniamo
però ora all’ipotesi di Leaf, che ritiene il libro 14 una continuazione
alternativa al libro 12. Anche accogliendo questa congettura rimangono però
ancora altre difficoltà.
Se
consideriamo l’inizio del libro 14, in particolare i versi 1-152 che precedono
la scena della seduzione, viene seriamente da chiedersi se questi versi siano
davvero parte della originale ἀπάτη o se siano
un’aggiunta. Per quanto riguarda i versi finali, 135-152 ci sono pochi dubbi
che siano un’aggiunta, ma anche la riunione dei comandanti in 1-134 non è
esente da difficoltà. Leaf giudica il passaggio inessenziale alla narrazione,
rilevando come non segni alcun progresso dell’azione: il brano sarebbe stato
costruito per seguire immediatamente la fine del libro XII, ed sarebbe inadatto
in qualsiasi collocazione dopo l’azione dei Greci determinata da Poseidone.
Inoltre anche i discorsi di Agamennone e di Diomede risultano in qualche modo
fuori posto. Si deve concludere che l’intero passaggio può essere un frammento
di un’interamente differente continuazione del libro XII.
Se si passa invece alla parte finale del libro, in
particolare al verso 363 – la scena dell’inganno si è conclusa, e la scena si
sposta dal monte Ida nuovamente al campo di battaglia – anche qui ci sono
difficoltà. Il consiglio dato da Poseidone ai Greci (371-382) di cambiare
l’armatura nel bel mezzo dell’infuriare della battaglia, non ha molto senso: e
in effetti 376-377 erano atetizzati da Aristarco, cosa che si potrebbe fare
ugualmente, secondo Leaf, con 381-382. La pomposa descrizione di Poseidone in
385-387 non conduce a nulla, soprattutto a nulla che sia all’altezza del modo
in cui il dio viene presentato. La descrizione di Ettore e Poseidone in 390 –
come se fossero uguali – non è omerica, e anche l’immagine del mare che sembra
sollevarsi per unirsi al combattimento non è certo nel migliore stile epico.
Dunque tutto fa ritenere che si tratti di un’aggiunta tarda, per poter inserire
la quale l’incontro di Ettore e di Aiace è stato spostato alla fine del libro
precedente, essendo in origine 14.402 la continuazione di 13.795-837. Perchè
questo sia avvenuto non possiamo dirlo, dal momento che non siamo a conoscenza
del materiale che i διασκευασταί avevano di fronte a loro. Anche la conclusione
del libro, dal verso 508 alla fine, non si adatta bene a tutto quanto precede: ma
anche qui, come in molte simili scene di combattimento diventa difficile datare
con sicurezza i versi.
Nestore e il concilio degli eroi feriti
1
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1 Νέστορα δ᾽ οὐκ ἔλαθεν ἰαχὴ πίνοντά[1]
περ ἔμπης,
Il grido, il clamore (da ἰαχή , ἡ) non sfuggì (da λανθάνω,
contruito con il solo accusativo della persona cui non sfugge l’evento) a
Nestore, ugualmente (da ἔμπας , Ep. ἔμπης = ὅμως) benchè stesse bevendo (da πίνω),
2 ἀλλ᾽ Ἀσκληπιάδην ἔπεα πτερόεντα
προσηύδα:
ma al figlio di Asclepio diceva alate parole:
3 ‘ φράζεο δῖε Μαχᾶον ὅπως ἔσται τάδε ἔργα:
« Stai attento, bada (da φράζω), o divino Macaone, a come
saranno queste cose, a come dovranno andare queste cose:
4 μείζων δὴ παρὰ νηυσὶ βοὴ θαλερῶν αἰζηῶν.
è più alto, forte (da μείζων, ον, gen. ονος , comparativo
di μέγας , μεγάλη , μέγα), vicino alle navi il grido dei giovani gagliardi,
fiorenti.
5 ἀλλὰ σὺ μὲν νῦν πῖνε καθήμενος αἴθοπα
οἶνον
Ma tu ora bevi il vino scintillante, frizzante, rimanendo
seduto (da κάθημαι),
6 εἰς ὅ κε θερμὰ λοετρὰ ἐϋπλόκαμος Ἑκαμήδη
fino a quando Ecamede dalla bella chioma un caldo (da θερμός
, ή, όν) bagno (da λουτρόν , τό, in Omero λοετρόν e sempre al plurale)
7 θερμήνῃ καὶ λούσῃ ἄπο βρότον αἱματόεντα[2]:
faccia scaldare, prepari (da θερμαίνω) e lavi via (da ἀπολούω,
in tmesi) il sangue rappreso, raggrumato;
8 αὐτὰρ ἐγὼν ἐλθὼν τάχα εἴσομαι[3]
ἐς περιωπήν ’.
intanto io subito muovendo mi affretterò (da εἶμι) verso
un punto di osservazione (da περιωπή , ἡ, (ὤψ)) ».
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9
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9 ὣς εἰπὼν σάκος εἷλε τετυγμένον υἷος ἑοῖο[4]
Così dicendo prese lo scudo ben lavorato (da τεύχω) di suo
figlio
10 κείμενον ἐν κλισίῃ Θρασυμήδεος ἱπποδάμοιο
che giaceva, che era posato (da κεῖμαι), nella tenda, (lo
scudo) di Trasimede domatore di cavalli
11 χαλκῷ παμφαῖνον: ὃ δ᾽ ἔχ᾽ ἀσπίδα πατρὸς
ἑοῖο.
tutto splendente (da παμφαίνω) di bronzo; egli aveva,
portava lo scudo di suo padre.
12 εἵλετο δ᾽ ἄλκιμον ἔγχος ἀκαχμένον ὀξέϊ
χαλκῷ[5],
Prende poi la lancia robusta, potente, munita, rinforzata
(da ἀκαχμένος , η, ον, Epic part. (cfr. ἀκή): letteralmente “appuntito;
acuto; affilato”), di bronzo tagliente,
13 στῆ δ᾽ ἐκτὸς κλισίης, τάχα δ᾽ εἴσιδεν
ἔργον ἀεικὲς
si fermò fuori (da ἐκτός , con il genitivo: la
preposizione piò precedere o seguire il sostantivo) della tenda, e subito
osservò (da εἰσεῖδον) un fatto indegno, vergognoso (da ἀεικής , ές),
14 τοὺς μὲν ὀρινομένους, τοὺς δὲ κλονέοντας ὄπισθε
questi messi in fuga (da ὀρίνω), e quelli dietro che
inseguivano tumultuosamente (da κλονέω),
15 Τρῶας ὑπερθύμους: ἐρέριπτο[6]
δὲ τεῖχος Ἀχαιῶν.
i Troiani magnanimi; era stato tirato giù (da ἐρείπω) il
muro degli Achei.
16 ὡς δ᾽ ὅτε πορφύρῃ πέλαγος μέγα κύματι
κωφῷ
PARAGONE à
Come quando il mare grande, immenso si solleva (da πορφύρω) con, in un’onda,
in un gonfiore (da κῦμα , ατος, τό), sordo, muto (da κωφός , ή, όν),
17 ὀσσόμενον λιγέων ἀνέμων λαιψηρὰ
κέλευθα
presagendo, prevedendo, osservando (da ὄσσομαι, solo qui
detto di oggetti inanimati), i percorsi, i cammini (da κέλευθος , ἡ, con
plurale poetico eteroclito κέλευθα) rapidi, leggeri (da λαιψηρός , ά, όν),
dei venti che fischiano, dalla voce chiara (da λιγύς , λίγεια , λιγύ)
18 αὔτως[7],
οὐδ᾽ ἄρα τε προκυλίνδεται οὐδετέρωσε,
senza un esito, a caso, né avanza, procede (da προκυλίνδομαι,
per rendere chiaro il senso del verso Bentley “πρὸ κυλίνδεται”), né da un
lato o dall’altro (da οὐδετέρωσε: il senso è che non muove né in avanti né di
lato),
19 πρίν τινα κεκριμένον καταβήμεναι ἐκ
Διὸς οὖρον,
prima che scenda giù (da καταβαίνω) un qualche soffio di
vento (da οὖρος , ὁ) chiaro, forte, deciso (da κρίνω), da Zeus,
20 ὣς ὃ γέρων[8]
ὅρμαινε δαϊζόμενος κατὰ θυμὸν
così questi, il vecchio, rifletteva tra sé e sé, dibatteva
nell’animo (da ὁρμαίνω), dibattuto, diviso (da δαίζω) nel (suo) cuore
21 διχθάδι᾽, ἢ μεθ᾽ ὅμιλον ἴοι Δαναῶν ταχυπώλων,
tra due propositi (da διχθάδιος , α, ον), se andare (da εἶμι)
in mezzo alla schiera, alla massa dei Danai dai veloci cavalli,
22 ἦε μετ᾽ Ἀτρεΐδην Ἀγαμέμνονα ποιμένα λαῶν.
oppure con l’Atride Agamennone pastore di genti.
E così a lui che rifletteva
sembrò (da δοάσσατο, forma omerica dell’aoristo, per lo più usata
all’impersonale) essere più conveniente (da κερδίων , ον, gen. ονος, comparativo
– senza grado positivo in uso – formato da κέρδος)
24 βῆναι ἐπ᾽ Ἀτρεΐδην. οἳ δ᾽ ἀλλήλους ἐνάριζον
andare dall’Atride (da ἐπί , con l’accusativo dell’oggetto
o dello scopo per il quale ci si muove, per esempio una persona come in
2.18). Questi si uccidevano (da ἐναρίζω) gli uni gli altri
25 μαρνάμενοι: λάκε δέ σφι περὶ χροῒ
χαλκὸς ἀτειρὴς
combattendo; risuona (da λάσκω) il bronzo indistruttibile
(da ἀτειρής , ές) a questi sul corpo
26 νυσσομένων[10]
ξίφεσίν τε καὶ ἔγχεσιν ἀμφιγύοισι.
mentre si colpivano (da νύσσω)
con le spade (da ξίφος, εος, τό) e con le lance (da ἔγχος , εος, τό)
flessibili ad entrambe le estremità (da ἀμφίγυος , ον).
|
Paragone
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27
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27 Νέστορι δὲ ξύμβληντο διοτρεφέες βασιλῆες
Con Nestore s’incontrarono (da συμβάλλω , al medio
frequente in Omero reggendo il dato: Omero utilizza forme epiche
dell’aoristo, inizianti con ξυμβλη- oppure συμβλη- solo in questo senso; si
veda anche al verso 39) i re alunni di Zeus
28 πὰρ νηῶν ἀνιόντες[11]
ὅσοι βεβλήατο χαλκῷ
mentre tornavano su (da ἄνειμι) da lungo le navi, quanti
erano stati feriti (da βάλλω) con il bronzo,
29 Τυδεΐδης Ὀδυσεύς τε καὶ Ἀτρεΐδης Ἀγαμέμνων[12].
il figlio di Tideo, Odisseo e Agamennone figlio di Atreo.
30 πολλὸν γάρ ῥ᾽ ἀπάνευθε μάχης εἰρύατο
νῆες[13]
Infatti molto lontano dalla battaglia avevano tirato a
secco (da ἐρύω) le (loro) navi
31 θῖν᾽ ἔφ᾽ ἁλὸς πολιῆς: τὰς γὰρ πρώτας[14]
πεδίον δὲ
lungo la riva del mare grigio, spumoso (da πολιός , ά, όν,
anche ός, όν: letteralmente “canuto”, riferito ai capelli bianchi o grigi per
l’età); Queste infatti per prime verso la piana
32 εἴρυσαν, αὐτὰρ τεῖχος ἐπὶ πρύμνῃσιν ἔδειμαν.
avevano tirato a secco, ma avevano costruito (da δέμω) il
muro a ridosso delle ultime.
33 οὐδὲ γὰρ οὐδ᾽ εὐρύς περ ἐὼν ἐδυνήσατο πάσας
34 αἰγιαλὸς νῆας χαδέειν, στείνοντο δὲ λαοί:
No, infatti, non permise (da δύναμαι) la spiaggia (da αἰγιαλός
, ὁ), pur essendo larga, ampia, di contenere (da χανδάνω) tutte le navi, e si
accalcavano, si ammassavano (da στείνω) gli uomini.
35 τώ ῥα προκρόσσας ἔρυσαν, καὶ πλῆσαν ἁπάσης
quindi in file successive, fila dopo fila, a scaglioni (da
πρόκροσσοι , αι, α), le tirarono in secco, e riempirono (da πίμπλημι)
dell’intero
36 ἠϊόνος στόμα μακρόν, ὅσον συνεέργαθον
ἄκραι[15].
del lido (da ἠιών , όνος) la grande bocca, imboccatura (da
στόμα , τό, gen.στόματος), quanta chiudono insieme, comprendono (da ἐργαθεῖν
, Ep. ἐεργαθεῖν , aor. 2 poetico da εἴργω; da συνεέργω, συνέργω) i promontori
(da ἄκρα , Ion. ἄκρη , ἡ).
37 τώ ῥ᾽ οἵ γ᾽ ὀψείοντες[16]
ἀϋτῆς καὶ πολέμοιο
Così quelli desiderosi di vedere (da ὀψείω , il più antico
desiderativo in “σείω”, e il solo in Omero: la costruzione con il genitivo
non sembra naturale secondo Leaf ad loc.) la guerra (da ἀϋτή , ῆς , ἡ: “grido
di guerra; tumulto”, ma anche “guerra; battaglia; combattimento”) e il
combattimento
38 ἔγχει ἐρειδόμενοι κίον ἀθρόοι: ἄχνυτο
δέ σφι
tutti insieme (da ἀθρόος , α, ον) venivano appoggiandosi
a, sostenendosi con (da ἐρείδω), la lancia; doleva (da ἀχεύω) ad essi
39 θυμὸς ἐνὶ στήθεσσιν. ὃ δὲ ξύμβλητο
γεραιὸς
il cuore nel petto. Questi dunque venne incontro, il
vecchio
40 Νέστωρ, πτῆξε[17]
δὲ θυμὸν ἐνὶ στήθεσσιν Ἀχαιῶν.
Nestore, e fece spaventare, fece balzare (da πτήσσω), il
cuore nel petto degli Achei.
41 τὸν καὶ φωνήσας προσέφη κρείων Ἀγαμέμνων:
E a lui, articolando la voce, diceva il potente
Agamennone:
42 ‘ ὦ Νέστορ Νηληϊάδη μέγα κῦδος Ἀχαιῶν[18]
« O Nestore, figlio di Neleo, grande gloria degli Achei,
43 τίπτε λιπὼν πόλεμον φθισήνορα δεῦρ᾽ ἀφικάνεις;
perché mai (da τίπτε , Ep. forma sincopata per τί ποτε),
lasciata la guerra distruttrice, che fa strage di uomini (da φθισήνωρ , ορος,
ὁ, ἡ, (φθίω, ἀνήρ)), qui te ne vieni (da ἀφικάνω) ?
44 δείδω[19]
μὴ δή μοι τελέσῃ ἔπος ὄβριμος Ἕκτωρ,
Temo che il forte, il possente (da ὄβριμος , ον), Ettore
mi mantenga, porti a compimento (da τελέω), la parola,
45 ὥς ποτ᾽[20]
ἐπηπείλησεν ἐνὶ Τρώεσσ᾽ ἀγορεύων
come un giorno minacciò, pronunciò come minaccia (da ἐπηπείλησεν),
parlando fra i Troiani,
46 μὴ πρὶν πὰρ νηῶν προτὶ Ἴλιον ἀπονέεσθαι
che non prima da presso le navi verso Troia sarebbe
partito (da ἀπονέομαι),
47 πρὶν πυρὶ νῆας ἐνιπρῆσαι, κτεῖναι δὲ
καὶ αὐτούς.
(non) prima di dare alla fiamme (da ἐμπίμπρημι, con
l’accusativo) col fuoco le navi, e di uccidere anche noi stessi.
48 κεῖνος τὼς ἀγόρευε: τὰ δὴ νῦν πάντα
τελεῖται.[21]
Quello così parlava: e ora tutte queste cose si compiono.
49 ὢ πόποι[22]
ἦ ῥα καὶ ἄλλοι ἐϋκνήμιδες Ἀχαιοὶ
Ohimè, certamente anche gli
altri Achei dalle belle, solide gambiere
50 ἐν θυμῷ βάλλονται ἐμοὶ χόλον ὥς περ Ἀχιλλεὺς
mettono, imprimono (da βάλλω
, cfr. 20.195 sg. e 9.434 sg.), nel (loro) cuore ira nei miei confronti, come
anche Achille,
51 οὐδ᾽ ἐθέλουσι μάχεσθαι ἐπὶ πρυμνῇσι
νέεσσι ’.
e non vogliono combattere davanti
alle poppe delle navi ».
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In 42-139, la
discussione tra i comandanti consiste di sei interventi bilanciati e variegati;
anche le loro lunghezze sono simmetriche: i primi due sono di 10 e 11 versi, il
terzo e il quarto di 17 e 20, il quindi è il più breve mentre l’ultimo è il più
lungo con 23 versi. Da notare come altri schemi si incrocino. Per esempio
Agamennone pronuncia il primo, il terzo ed il quinto discorso; il secondo ed il
terzo si corrispondono strutturalmente; il terso e il quarto rappresentano una
falsa partenza, mentre il sesto, da parte di Diomede, il più giovane tra i
presenti, adatta una osservazione di Nestore, il più anziano (con 128-130, cfr.
62 sg.).
Diomede controbatte
al timore di Agamennone relativo al futuro successo di Ettore (nel primo
discorso) con le passate glorie della sua propria famiglia; entrambe i discorsi
terminano con allusioni alle truppe che esitano, che non si fanno avanti
(49-51, 131 sg.). Il suo implicito sollecito al dovere dei comandanti, non meno
che l’attacco di Odisseo al disfattismo di Agamennone, non adatto e incapace,
li persuadono ad esortare quelli che sono ancora in grado di combattare.
52
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52 τὸν δ᾽ ἠμείβετ᾽ ἔπειτα Γερήνιος ἱππότα
Νέστωρ:
A lui allora rispondeva Nestore, il cavaliere gerenio:
53 ‘ ἦ δὴ ταῦτά γ᾽ ἑτοῖμα τετεύχαται, οὐδέ
κεν ἄλλως
« Certo queste cose sono nella realtà (da ἑτοῖμος , ον,
anche femm. “ἑτοίμη” in Omero) avvenute (da τεύχω), né in un modo diverso
54 Ζεὺς ὑψιβρεμέτης αὐτὸς
παρατεκτήναιτο.
Zeus stesso che tuona dall’alto avrebbe potuto
trasformarli (da παρατεκταίνομαι).
55 τεῖχος μὲν γὰρ δὴ κατερήριπεν, ᾧ ἐπέπιθμεν
il muro infatti è crollato (da κατερείπω), nel quale
abbiamo creduto
56 ἄρρηκτον νηῶν τε καὶ αὐτῶν εἶλαρ ἔσεσθαι[23]:
che sarebbe stato indistruttibile (da ἄρρηκτος , ον, (ῥήγνυμι))
baluardo, alle navi e a noi stessi
57 οἳ δ᾽ ἐπὶ νηυσὶ θοῇσι μάχην ἀλίαστον ἔχουσι
Quelli sostengono tra le navi veloci una battaglia
inflessibile, dura (da ἀλίαστος , ον, (λιάζομαι),
58 νωλεμές: οὐδ᾽ ἂν ἔτι γνοίης μάλα περ σκοπιάζων
incessantemente, senza tregua (da νωλεμές , avverbio anche
nella forma νωλεμέως); e non avresti più capito (da γιγνώσκω) anche
osservando (da σκοπιάζω, “osservare, spiare da un punto di osservazione”)
attentamente
59 ὁπποτέρωθεν Ἀχαιοὶ ὀρινόμενοι
κλονέονται,
da quale di due direzioni gli Achei incalzati (da ὀρίνω)
sono spinti in fuga (da κλονέω),
60 ὡς ἐπιμὶξ κτείνονται, ἀϋτὴ δ᾽ οὐρανὸν
ἵκει.
per il modo in cui sono uccisi (da κτείνω) confusamente,
alla rinfusa (da ἐπιμίξ); il tumulto, il frastuono giunge al cielo.
61 ἡμεῖς δὲ φραζώμεθ᾽ ὅπως ἔσται τάδε ἔργα
noi dunque mettiamoci a pensare (da φράζω) a come saranno
queste cose, a come dovranno andare queste cose,
62 εἴ τι νόος ῥέξει: πόλεμον δ᾽ οὐκ ἄμμε
κελεύω
63 δύμεναι: οὐ γάρ πως βεβλημένον ἐστὶ
μάχεσθαι ’.
se in qualche modo l’ingegno, la mente, il consiglio (da νόος
, νόου, ὁ, Att. contr. νοῦς , gen. νοῦ: Omero utilizza la forma contratta
solo una volta in Od.10.240), sarà di aiuto (da ῥέζω): non dico di gettarci
(da δύω, con l’accusativo) noi nella mischia, nel combattimento; non va
infatti in alcun modo che un ferito combatta ».
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64
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64 τὸν δ᾽ αὖτε προσέειπεν ἄναξ ἀνδρῶν Ἀγαμέμνων:
A lui risponde, di rimando, il signore di uomini
Agamennone:
65 ‘ Νέστορ ἐπεὶ δὴ νηυσὶν ἔπι πρυμνῇσι
μάχονται,
« Nestore, dal momento che combattono accanto alla poppa delle
navi,
66 τεῖχος δ᾽ οὐκ ἔχραισμε τετυγμένον, οὐδέ
τι τάφρος,
e non ha difeso (da χραισμέω) il muro costruito (da τεύχω),
né in alcun modo il fossato
67 ᾗ ἔπι πολλὰ πάθον Δαναοί, ἔλποντο δὲ
θυμῷ
per il quale molto hanno sofferto (da πάσχω) i Danai, e
speravano (da ἔλπω) nel (loro) cuore
68 ἄρρηκτον νηῶν τε καὶ αὐτῶν εἶλαρ ἔσεσθαι:[24]
che sarebbe stato indistruttibile (da ἄρρηκτος , ον, (ῥήγνυμι))
baluardo, alle navi e a noi stessi;
69 οὕτω που Διὶ μέλλει ὑπερμενέϊ φίλον εἶναι
così, in qualche modo, è destino che sia caro a Zeus
potentissimo (da ὑπερμενής , ές, (μένος)),
70 νωνύμνους ἀπολέσθαι ἀπ᾽ Ἄργεος ἐνθάδ᾽
Ἀχαιούς.[25]
che qui, lontano da Argo, ingloriosi, senza gloria, senza
nome (da νώνυμνος, ον, epico per νώνυμος, utilizzato quando la penultima
sillaba deve essere breve), periscano gli Achei.
(Lo) sapevo infatti quando ben disposto, volentieri (da πρόφρων
, ονος, ὁ, ἡ, (φρήν, φρονέω): aggettivo poetico), soccorreva (da ἀμύνω, qui
solo col dativo della persona dalla quale il pericolo viene allontanato) i
Danai,
72 οἶδα δὲ νῦν ὅτε τοὺς μὲν ὁμῶς μακάρεσσι θεοῖσι
e lo so ora che quelli, come (da ὁμῶς , avverbio di ὁμός)
gli dei beati,
73 κυδάνει[27],
ἡμέτερον δὲ μένος καὶ χεῖρας ἔδησεν.
esalta (da κυδάνω), ed ha legato (da δέω) la nostra forza
e le mani.
74 ἀλλ᾽ ἄγεθ᾽ ὡς ἂν ἐγὼν εἴπω πειθώμεθα
πάντες[28].
Ma suvvia, come io ordino obbediamo, persuadiamoci tutti;
75 νῆες[29]
ὅσαι πρῶται εἰρύαται ἄγχι θαλάσσης
Le navi, che per prime sono state tirate a secco (da ἐρύω)
vicino al mare,
76 ἕλκωμεν, πάσας δὲ ἐρύσσομεν εἰς ἅλα δῖαν,
trasciniamo(le), tiriamo(le) (da ἐρύω , Ep. prima pers.
pl. , ἐρύσσομεν per -ωμεν) tutte verso il mare divino,
77 ὕψι δ᾽ ἐπ᾽ εὐνάων ὁρμίσσομεν, εἰς ὅ
κεν ἔλθῃ
in alto mare (da ὕψι,
avverbio) fermiamo(le) (da ὁρμίζω) sulle ancore (da εὐνή , ἡ, pl.
εὐναί), fino a quando giunga
78 νὺξ ἀβρότη, ἢν καὶ τῇ ἀπόσχωνται
πολέμοιο
la notte immortale, sacra,
divina (da ἄβροτος , ον, anche η, ον, = ἄμβροτος), se anche per essa si
tenessero lontano (da ἀπέχω , con il gen. del luogo) dalla guerra
i Troiani; in seguito, a
questo punto, trasciniamo tutte le altre navi.
80 οὐ γάρ τις νέμεσις[31]
φυγέειν κακόν, οὐδ᾽ ἀνὰ νύκτα.
Non c’è infatto alcuna vergogna nel fuggire il male, la
disgrazia, neppure di notte.
81 βέλτερον ὃς[32]
φεύγων προφύγῃ κακὸν ἠὲ ἁλώῃ ’.
È meglio (da βέλτερος , α, ον = βελτίων, comp. poet. di ἀγαθός)
se qualcuno fuggendo scansa, evita (da προφεύγω), il malanno, che se ne
diviene vittima, ne viene preso (da ἁλίσκομαι) ».
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Agamennone vorrebbe
salvare almeno alcune delle navi ordinando che siano messe in mare, nonostante
il fatto (ben presto enunciato in modo energico da parte di odisseo) che fare
questo mentre sotto attacco significherebbe andare incontro al disastro totale.
Come al solito Agamennone sbaglia i calcoli. Ricordiamo che in 2.110 sgg.
Agamennone, appoggiato al suo scettro invece che alla lancia, mette alla prova
l’esercito annunciando un falso ritiro dai combattimenti, ritiro che viene
preso alla lettera dagli uomini e fermato da Odisseo; in 9.17 sgg. dopo la
sconfitta del libro 8, egli propone agli anziani una vera ritirata, ma un
energico intervento di Diomede recupera la situazione. Ora l’uditorio è ancora
più ristretto, la crisi è ancora più acuta ed entrambe i comandanti
intervengono. I suoi tre discorsi hanno una struttura simile e sono articolati
con gli stessi versi: 69 = 2.116, 9.23; 74 = 2.139, 9.26, ma ricorre 4x anche
altrove. Ma il suo resoconto del volere di Zeus ed i dettaglli della proposta
sono diversi. Il suo discorso è anche in qualche modo parallelo a quello di
Nestore: la sua prima metà replica alla prima metà di quello di Nestore, ma in
modo inverso: il combattimento alle navi, i bastioni e l’atteggiamento di Zeus
nei contronti dei Greci. Nella sua seconda metà, introdotta da ἀλλά, egli
propone che essi comincino a mettere in mare le navi subito, e di finire nella
notte: egli omette un successivo vergognoso atto, salpare durante la notte, ma
accenna a questa possibilità nei due versi gnomici circa la fuga dalle
disgrazie, versi con i quali chiude nervosamente il suo discorso. Questo
elemento controbilancia in particolare un’analoga massima da parte di Nestore
in 63.
Winter fa notare
che, a fronte di una situazione così rischiosa, la ritirata poteva ben essere
la linea d’azione più saggia: il pubblico non avrebbe probabilmente accettato
il prolungarsi di combattimenti cosìprotratti e rischiosi senza almeno
menzionare questa opzione. Ma anche se la proposta di Agamennone deve qualcosa
alle necessità della trama, è significativo che questa venga da lui, e non per
esempio da Odisseo o da Nestore. L’opinione degli scoliasti - scholia bT e D – è che forse Agamennone
voleva mette alla prova i comandanti, preferendo essere odiato a causa della
sua proposta di ritirarsi che a causa della distruzione dell’esercito: gli
uomini avrebbero combattuto più volentieri se fosse rimasti di loro volontà;
anche Aristotele (fragm. 142) offre
una simile parziale giustificazione alla sua condotta. Omero avrebbe però segnalato
esplicitamente un simile inganno, come fa nel libro 2. È possibile che il poeta
abbia adattato l’idea di salpare di notte dalla finta partenza dei Greci prima
della caduta di Troia.
[1] Si veda 11.642,
dove si dice che Nestore e Macaone hanno finito di bere. Si tratta di
un’irrilevante incongruenza che è stata talvolta senza necessità esagerata dai
critici.
[2] Si
tratta del sangue raggrumato, rappreso. Qui βρότος indica il sangue fuoriuscito
da una ferita e rappreso, coagulato, mentre l’aggettivo αἱματόεις , όεσσα, όεν
significa “sanguinante” (αἷμα).
[3] Qui εἴσουαι,
i.e. “ϝίσομαι”, “mi affretterò, da “ϝίεμαι”. Altri lo fanno derivare da “ϝιδ, οἶδα”,
“mi informerò”, quindi collegando “ἐλθὼν ἐς περιωπήν”: ,ma in questo caso
l’ordine delle parole è troppo complicato (invece la soluzione preferita da
Janko, ad loc., che collega anche τάχα ed εἴσομαι.
[4] Nestore
deve solo agguantare uno scudo e una lancia per essere armato di tutto punto
come quando ha lasciato il campo di battaglia (11.517 sgg.); ma deve prendere
in prestito lo scudo di suo figlio Trasimede, che sta a sua volta usando quello
di suo padre. Il tema anticipa quello di Patroclo che prende in prestito la
panoplia di Achille. Ricordiamo che Trasimede ha prestato il suo scudo a
Diomede la notte precedente, dal momento che quest’ultimo aveva lasciato
indietro il suo (10.255 sgg.). Questi dettagli di vita quotidiana non hanno
bisogno di profonde spiegazioni, pace
gli scholia; inoltre questo curioso parallelo proverebbe (Janko, ad loc.) che
la Dolonia è autentica. Ricordiamo ancora che lo scudo di Nestore sia descritto
in 8.192 sg. Trasimede invece non è ancora comparso in un vero combattimento
(cfr. 9.81, 16.321). Si noti anche come i tre versi 9-11 terminano in rima.
[5] Formulare,
vedi 10.135.
[6] La
lingua non consente di distinguere l’attuale rovina, parziale distruzione del
muro dalla sua completa distruzione da parte di Apollo in 15.361 (ἔρειπε δὲ τεῖχος
Ἀχαιῶν), ma qui siamo liberi di ritenere che solo una parte di esso sia
crollata. In effetti il motivo viene utilizzato con attenzione più al suo
effetto emozionale che alla coerenza.
[7] La
personificazione prosegue: il termine αὔτως può essere reso con molte
parafrasi, ma il senso rimane quello che il mare in qualche modo attende un
soffio deciso, κεκριμένον […] οὖρον, da parte di Zeus, che lo aiuti a decidere
in un senso o nell’altro.
[8]
Costruzione incrociata, chiastica: Nestore riflette se entrare in battaglia o
cercare Agamennone: decide poi di cercare Agamennone mentre la battaglia va
avanti. Il verso 20 è una variazione unica di εἷος ὃ ταῦθ᾽ ὥρμαινε κατὰ
φρένα καὶ κατὰ θυμόν, espressione che
ricorre 7x in Omero, in seguito a monologhi: si veda per esempio 1.193, 11.411
o 18.15.
[9] 23 =
13.458.
[10] Il
verso 26 descrive un combattimento ravvicinato, come in 16.637. Si veda anche
13.146-148. νυσσομένων segue un caso diverso (σφι): questo uso anticipa il genitivo
assoluto. Il medio indica qui reciprocità, “colpendosi l’un l’altro”, come
βαλλομένων in 12.289.
[11] In ἀνιόντες, ἀνα- implica che essi stanno venendo
verso la terraferma da lungo le navi: “πὰρ νηῶν” viene spiegato in 30-36: i
comandanti stanno venendo a vedere che cosa succede.
[12] 29 =
380. Tutti e tre i re qui menzionati erano stati feriti nel lilbro 11:
Agamennone in 252, Diomede in 376 e Odisseo in 437.
[13] È
chiaro dal contesto che ν̂ηες vuole indicare le loro navi, cioè quelle di
Diomede, Odisseo e Agamennone, non in generale la flotta.
[14] τὰς γὰρ
πρώτας è suscettibile di due diverse interpretazione: (i) dal momento che
queste navi (quelle dei comandanti) essi avevano tirato a secco per prime sulla
spiaggia (nella prima linea vicino al mare), ma avevano costruito il muro
vicino alle ultime (la linea più lontana all’interno); oppure (ii) dal momento
che queste (le altre) essi avevano tirato a secco nella prima fila verso la
terra (lontano dal mare) e avevano costruito il muro vicinissimo, a ridosso delle
loro poppe. τάς è articolo. La decisione in effetti ruota intorno alla
parola “πρυμνῆισιν”. In (i) questo termine viene preso ad indicare l’ultimo, la
più esterna, opposto alla prima, la più in profondità. Ma a questa ipotesi si
oppone Erodiano, che obietta che Omero utilizza l’aggettivo “πρυμνός” per
indicare l’estermità di un singolo lungo oggetto, e mai per indicare l’ultimo
di una serie, di una fila. Se questo è vero e non sono ammissibili eccezioni a
questa regola, allora l’analisi è decisamente in favore di (ii). Anche πρῶται νῆες
è ambiguo: in 75 “νῆες ὅσαι πρῶται εἰρύαται ἄγχι θαλάσσης” le prime navi sono
quelle più vicine al mare, il che supporta in modo deciso l’ipotesi (i); ma in
15.654 questa stessa espressione indica quelle più lontano nell’entroterra,
tutto dipendendo dalla prospettiva. Lo stesso dicasi per γάρ al posto di δέ,
che ci aspetteremmo con (ii). Per di più l’ipotesi (i) si adatta molte meglio
al tenore complessivo del passaggio. È una contraddizione spiegare la distanza
delle navi dall’area del combattimento affermando che il muro dove avveniva il
combattimento era stato costruito in prossimità delle loro poppe. Dunque
complessivamente sembra più opportuno accettare un insolito significato per “πρυμνός”,
ricordando che questo termine non è molto comune, e che in 9 su 25 occorrenze
si trova nella formula “νηυσὶν ἐπὶ πρυμνῆισι, ἐπὶ πρυμνῆισι νέεσσι”, che è
ambigua, in quanto utilizzata per combattimenti che avvengono presso le navi
più distanti, ma anche alle loro poppe. Allo stesso modo “πρῶτος” viene
utilizzato sia per l’estremità (di un’asta etc.) che per il primo di una serie.
Secondo i grammativi “πρύμνη” come sostantivo per “poppa” si distingue per
l’accento dall’aggettivo. Quindi se si adotta l’interpretazione (ii) dobbiamo
scrivere “πρύμνηισι” qui, con i MSS. ed Erodiano, mentre Cratete vuole “πρυμνῆισι”,
adottando presumibilmente l’interpretazione (i). Viene comunemente detto che
questo verso è in contraddizione con la parte finale del libro VII, implicando
che la costruzione del muro ebbe luogo al momento in cui le navi vennero tirate
a secco. Questo è certamente non implicito in queste parole, richiedendo un
imperfetto piuttosto che l’aoristo “ἔδειμαν”. La frase ha un senso puramente
topografico, non storico-cronologico.
[15] ἠϊόνος viene
qui utilizzato in un senso più esteso del termine “αἰγιαλός”, così come
l’inglese ‘shore’ (lido, riva) indica qualcosa di più esteso di ‘beach’ (spiaggia).
Per στόμα si veda anche il termine “στομαλίμνη” nella nota di Leaf a 6.4; e “ποταμοῖο
κατὰ στόμα” in Od. 5.441. I promontori sono immaginati come mascelle, e la baia
che delimitano come la cavità della bocca. Per quanto riguarda il termine ἄκραι,
si tratta di Capo Sigeo e Reteo, distanti circa cinque miglia.
[16] È
trascorso molto tempo da quando Agamennone ha lasciato il campo di battaglia (11.283),
ed il fatto che solo adesso egli venga a vedere e conoscere le sorti del
combattimento sembra ben richiere qualche spiegazione. La spiegazione viene
fornita con riferimento alla distanza alla quale la sua tenda si trova rispetto
al muro, in modo che egli è in grado di udire il rumore della battaglia una
volta che il muro è stato attraversato. Questo dà senso a τώ, τῶ (Pallis suggerisce
“τῆι”, locativo).
[17] Qualche
problema presenta questo verso. Il verbo πτήσσω viene propriamente usato non
per colui che causa scoramento, abbattimento, ma per colui che lo prova. Il
verso potrebbe essere omesso dal momento che non c’è alcuna ragione per la
quale la comparsa di Nestore debba causare sgomento o sconcerto, dal momento
che non è ferito; e l’utilizzo del verbo è senza paralleli. L’obiezione
precedente vale anche per le varianti “πῆξε” e “πλῆξε”. Inoltre “Ἀχαιῶν” applicato
ai soli tre comandanti greci non ha molto senso. “πτήσσειν” in Omero significa
altrove solo “appiattirsi, rannicchiarsi, farsi piccolo per la paura” (Od.
8.190, Od. 14.354, Od. 14.474, Od. 22.362).
[18]
Espressione formulare, cfr. 11.511, 10.555 e 87.
[19] δείδια,
la normale forma omerica in altre posizione del verso, viene quasi sempre
sostituita nel primo piede con “δείδω”. La sola eccezione è in 21.536 e la
variante di alcuni manoscritti qui e in Od. 5.473. “δείδω” si spiega come
contrazione di “δείδοα” = “δέδϝοα” da “δε-δϝο”(“ι”)-“α”.
In ogni caso “δείδω” deve essere una forma falsa.
[20]
L’allusione è evidentemente alle parole di Ettore in 8.181, 526. Il verso 47
riprende 8.182, parte della sua esortazione, non il suo discorso all’assemblea
(497 sgg.). Dal momento che noi, come pubblico, abbiamo ascoltato queste
parole, non dobbiamo chiederci come Agamennone abbia potuto conoscerle. Non più
di quanto dobbiamo farlo nel caso di Odisseo in 9.241 sgg. Questo passaggio
deve dunque essere più tardo del libro VIII. Sebbene ποτε si riferisca quindi
solo al giorno precedente, l’espressione è scusabile dal momento che nella
recitazione il libro VIII viene molto tempo prima.
[21] 48 =
2.330.
[22] I versi
49-51 sono sospetti. Indicativo del carattere dubbio di questi versi il fatto
che ὢ πόποι altrove segna l’inizio d’un discorso (ma cfr. 13.99). Apparentemente
abbiamo qui una aggiunta, per spiegare le difficoltà del verso 40; lo sgomento
allora causato in Agamennone viene ora attribuito, in modo poco naturale, alla
paura che Nestore possa aver abbandonato il combattimento per risentimento
contro di lui. Per di più, a giudicare dalle parole di Agamennone al verso 65,
sembrerebbe che egli apprenda del combattimento “ἐπὶ πρυμνῆισι νέεσσιν” dal
discorso di Nestore che segue.
[23] 56 = 68.
Si veda 11.338, 437.
[24] 56 = 68.
Si veda 11.338, 437.
[25] 69 =
2.116,9.23; 70 = 12.70, 13.227.
[26] Sia la
lettura che la costruzione dei versi 71-72 sono dubbie. Aristarco leggeva “ὅτε”
in entrambe i versi, e questa sembra la soluzione che dà loro maggior
significato. Così come Nestore riconosceva quando Zeus con tutti il suo cuore
aiutava gli Achei, così ora egli riconosce quando esalta i Troiani. L’oggetto
sia di “ἤιδεα” che di “οἶδα” viene lasciato nel vago: qualcosa come “sapevo
(che cosa significava)”, proprio come in 8.406 (ὄφρ᾽ εἰδῆι γλαυκῶπις ὅτ᾽ ἂν ὧι
πατρὶ μάχηται” e Od. 16.424 (ἦ οὐκ οἶσθ᾽ ὅτε δεῦρο πατὴρ τεὸς ἵκετο φεύγων?).
In tutti i due casi si vede che la proposizione con “ὅτε” non è l’oggetto del
verbo. Se leggiamo “ὅτι” al verso 72 come la maggior parte dei MSS, abbiamo
ancora lo stesso senso. Saremmo allora tentati di considerare la proposizione
con “ὅτι” come l’oggetto sia di “ἤιδεα” che di “οἶδα”; allora avremmo: “Lo
sapevo, (persino) quando Zeus stava combattendo per i Greci, e lo so ora, che
egli esalta i Troiani”. Il senso è: l’ho sempre saputo, anche quando noi
eravamo vittoriosi, che Zeus in realtà era favorevole ai Troiani.
L’interpretazione è vigorosa, e si adatta al carattere di Agamennone, ma “πρόφρων”,
che impllica un aiuto reale e non solo apparente, la esclude.
[27] κυδάνει
trans. = “κυδαίνει”: Il verbo ricorre solo in 20.42, dove è intransitivo
[28] 74 =
2.139, 9.26, dove – in entrambe i casi – viene introdotta una simile proporta
da parte dello stesso personaggio. La formula ricorre ancora per esempio in
12.75 per bocca di Polidamante, e in 9.704 per bocca di Diomede.
[29] ν̂ηες,
sebbene meno corretto grammaticalmente rispetto al “νῆας” della maggior parte
dei MSS, merita di essere preferito perché più idiomatico. È questo un caso di
attrazione inversa, o indiretta: l’antecedente viene attratto nel caso del
pronome relativo.
[30] Al verso
76 πάσας significa tutte le navi della prima fila, mentre al verso 79 ἁπάσας si
riferisce invece a tutte le altre navi.
[31] οὐ
νέμεσις, “non ci si deve indignare per il fatto che”: si veda 14.80, Od. 1.350.
[32] In βέλτερον
ὅς si deve interpretare “ὅς” come “εἴ τις”. Come in 7.401 (γνωτὸν δὲ καὶ ὃς
μάλα νήπιός ἐστιν).
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