LIBRO TREDICESIMO
La battaglia presso le navi
I libri XIII-XVI costituiscono – con i loro
2.970 versi – la quarta e la più estesa delle quattro unità di quattro libri in
cui l’Iliade si articola in modo naturale; un’unità di questo tipo è infatti adatta
alla recitazione nel corso di una singola giornata, come parte di una
recitazione dell’intera epica su un arco di sei giorni. Come i libri V-VIII e
IX-XII, anche questo gruppo di libri si apre con un successo greco, ma la
posizione dei Greci è di volta in volta più debole. Questa volta il successo greco
è dovuto agli Aiaci e ad Idomeneo, ma è poi seguito da perdite ancora più
pesanti di quelle che avevano chiuso i due blocchi di libri precedenti. Le navi
sono in pericolo, e quella di Protesilao viene data alle fiamme. Infine, in una
quarta ripetizione del medesimo schema di successo e disastro, Patroclo –
mandato da Achille in soccorso dei compagni – verrà ucciso. Tutto questo si
verifica in una sola giornata che dura, come già anticipato, da 11.1 a 18.239.
In questo modo la sconfitta achea alla fine coinvolge proprio colui che più ha
fatto per trascinarvi i suoi compagni. Ma questo non deve accadere troppo in
fretta, e ritardare gli eventi è la principale funzione del libro XIII,
intitolato in antichità ἡ
ἐπὶ ναυσὶ μάχη.
Mediante il semplice espediente di far
distogliere a Zeus il suo sguardo, il poeta offre ai Greci, in preda al panico,
ampio spazio per dar prova del loro valore. Poseidone li ispira a resistere
ostinatamente nonostante l’assenza di molti dei loro comandanti, rimasti feriti
nel corso del libro XI: il dio stesso entrerà di persona nel combattimento quando
Agamennone dimostrerà di essere completamente disfattista nel libro XIV. Una
volta che i Greci hanno costituito un fronte per difendere le loro navi (126
sgg.), due brevi scene preparano la scomposizione del combattimento su due
settori, sinistra e centro: ciò che offre ad un eroe minore, Idomeneo, la
possibilità di brillare. Merione senza decisione attacca Deifobo, ciò che
prefigura il modo in cui egli più tardi lo ferirà, sulla sinistra (156-168, quindi
527-539). In seguito Ettore affronta Aiace, come farà poi nuovamente sul fronte
centrale (183-205, quindi 674 sgg.). Omero divide l’azione portandoci dietro le
linee, là dove Idomeneo incontra Merione, la cui lancia si è spazzata; mandarlo
alla sua tenda a cercarne una è un abile espediente per farli incontrare – egli
avrebbe comunque potuto trovarne una sul campo di battaglia! I Cretesi si
sospettano ingiustamente l’un l’altro di sfuggire al proprio dovere; il loro
imbarazzato scambio culmina quando Idomeneo scusa Merione con una battuta risqué sulla sua lancia persa. Dopo che
la loro aristia è stata adeguatamente preparata, essi raggiungono nuovamente il
combattimento sul fronte sinistro (326), e qui restiamo fino al verso 674. Un
breve sommario (345-360) del modo in cui gli dei sono schierati, incluso il
supporto che Zeus offre a Teti, richiama l’inizio dell’Iliade in medias res, proprio come Od. 13.90
sg. richiama l’apertura del poema; il sommario di 345-360 spiega anche, a
quanti ascoltatori siano a questo punto un po’ confusi, perché Zeus e Poseidone
si trovino su fronti opposti.
Idomeneo, nell’ultima aristia greca prima di
quella di Patroclo, uccide due generi della casa reale troiana, e un dei
comandanti degli alleati, Asio (361-401); egli deve però infine ritirarsi di
fronte a forze superiori, e altri comandanti di secondo piano gli subentreranno.
Merione, Antiloco e Melelao feriscono Deifobo ed Eleno, ed uccidono Adamante,
figlio di Asio, il folle Pisandro ed il codardo Arpalione in un modo
particolarmente orribile per ciascuno dei tre (455-539, 540-672). Menelao
s’indigna per la sopportazione di Zeus, in quanto protettore degli xenoi, di fronte ai misfatti dei Troiani;
Paride immediatamente uccide uno sventurato Greco, adirato per la morte di un
suo ospite! Questi sono i risultati scellerati dell’ira di Achille, che inverte
le naturali simpatie di Zeus. La giustapposizione di queste scene enfatizza
ancora una volta l’ambiguità morale della guerra, ma la certezza morale della
punizione finale di Troia. Come al solito, i commenti di tipo etico non sono
espressi, dal momento che Omero non si esprime mai in prima persona.
Poi torniamo al centro (673-837), quando Ettore
affronta contingenti le cui insolite tattiche minacciano di spezzare il fronte
troiano. Avvertito da Polidamante, egli trova la situazione sul lato sinistro
critica, ed ingiustamente accusa l’unico comandante che si trova ancora lì, sul
posto, Paride; ricompattando i Troiani in generale, egli pone termine alla
distinzione tra il fronte sinistro ed il centro della battaglia. A fine del
libro gli eserciti si trovano più o meno nella stessa situazione dell’inizio,
una volta che i Greci si sono compattati; la loro continua resistenza non è
meno di cattivo auspicio per i Troiani dell’aquila che appare quanto Aiace
audacemente schernisce (810-820) Ettore per l’incombente rovina. Egli replica
con terribili minacce (824 sgg.), perdendo di vista la verità che il suo successo
in realtà dipende da Zeus. Ci aspettiamo ora che in due comandanti si scontino
direttamente, ma l’azione viene congelata, mentre i comandanti degli Achei
discutono in merito al da farsi, ed Era mette Zeus a dormire. Essi si
scontreranno nuovamente solo in 14.402.
In quanto importante ‘rallentamento’ del
racconto dell’ira di Achille, il libro XIII si è naturalmente attirato gli
attacchi degli Analitici. Leaf crede che il passo 136-672 sia stato inserito,
nelle sue parole, 'for the special honour of Cretan heroes', ma Michel ha
dimostrato che questa sezione non è meno strettamente integrata nel resto del
libro, di quanto l’intero libro sia integrato nel più vasto contesto del poema.
I passati attacchi a 673-724 (oppure 673-794!) si appoggiavano su opinioni
errate relativamente alla tecnica narrativa e alle convenzioni e alle
consuetudini di Omero. In effetti si deve ammirare con quanta destrezza e
perizia il poeta ha introdotto e diversificato questo lungo punto morto.
L’arrivo di Poseidone è una elegante elaborazione del consueto motivo del
viaggio divino con il carro; le panoramiche degli eserciti schierati in 126
sgg., 330 sgg. e 795 sgg., arricchite da potenti comparazioni, sono splendide.
Il dialogo di Idomeneo con Merione deve essere lungo per una ragione, e questa può
solo essere lo humour: questo non è
difficile da riconoscere, e confina con il genere dell’umorismo da caserma
(246-297). Il combattimento, nelle parole di Leaf, è vigoroso e variato; le
immagini dei guerrieri morenti sono dettagliate e piene di pathos; e il contrappunto di mutevoli tipi di personaggi, incontri,
ferite e discorsi di minaccia o trionfo crea un effetto simile ad una fuga,
anche nei lunghi passaggi senza discorsi (487-619). Come la morte del nipote di
Poseidone Anfimaco (185 sgg.), quella del figlio di Ares Ascalafo (518 sgg.)
prepara la morte di altre progenie divine – Sarpedone e lo stesso Achille. Il
libro XIII esemplifica sia quanto bene il poeta utilizzi e gestisca i temi, i
motivi e le tecniche narrative tradizionali, sia con quanta sottigliezza doni
loro quella profondità etica così evidente per gli antichi e così tipica di
entrambe le sue epiche. Si può in generale affermare che le riflessioni e le
conclusioni degli Analitici relative al contenuto di questo libro sono così
inconsistenti che non vale la pena spendervi molto tempo (Kirk).
L’intervento di Poseidone
Mentre Zeus è lontano, Poseidone attraversa il
mare sul suo carro ed interviene nel combattimento assumendo l’aspetto di
Calcante, allo scopo di fermare i Troiani di fronte alle navi. Egli incoraggia
gli Aiaci, e quindi gli altri Greci, che resistono saldi e fermano l’assalto
dei Troiani. Merione attacca Deifobo, ma spezza la sua lancia e va a cercarne
un’altra alla sua tenda.
Per quanto riguarda l’articolazione di questo
libro, Fenik – scoprendo che la struttura dei versi 39-168 viene replicata su
larga scala nei versi 169-539 - ha individuato un importante principio
strutturale relativo alla maggior parte del libro XIII.
I
|
A
|
I Troiani caricano (39-42)
|
II
|
A
|
Duri combattimenti (169-205)
|
B
|
Poseidone esorta gli Aiaci (43-65)
|
B
|
Poseidone esorta Idomeneo (206-245)
|
||
C
|
Gli Aiaci conversano (66-82)
[Poseidone esorta i Greci (83-125)] |
C
|
Idomeneo e Merione conversano (246-329)
[Panorama e sommario (330-360)] |
||
D
|
I Greci respingono i Troiani (126-155)
|
D
|
Aristia di Idomeneo (361-525)
|
||
E
|
Merione affronta Deifobo (156-168)
|
E
|
Merione ferisce Deifobo (526-539)
|
Questo schema viene oscurato nel primo caso
dall’arrivo di Poseidone (1-38) e dal raddoppiamento della sua esortazione
(83-125), e nel secondo da estesa elaborazione in C e D; ma le due
conversazioni tra guerrieri appartenenti allo stesso schieramento sono uniche,
dal momento che essi non discutono di tattiche immediate. Leaf assegna
l’intervento di Poseidone in 1-125, con i suoi elementi ‘romantici’,
all’Inganno di Zeus; la sua elaborazione ed i neologismi sembrarono a Shipp un
indice di ‘tardividità’ (Studies
281). Certamente Omero qui innovò.
Per quanto riguarda l’immediato dei versi 1-9,
si osservi come, dopo la vivida immagine di Ettore che sfascia la porta del
campo greco, con la quale termina il libro XII, l’azione rallenta e
l’ascoltatore/lettore viene condotto lontano. Zeus ha osservato dal monte Ida
sin da 11.182: ora è soddisfatto del fatto che i Troiani stiano vincendo e che
Achille verrà obbligato a tornare a combattere. La sua noncuranza, quasi
indifferenza, è nel carattere del dio; egli è più sovente un arbitro imparziale
che un partigiano. La sua semplice capacità di guardare da un’altra parte dà
una enfasi patetica all’abisso che esiste tra le lotte e gli sforzi
dell’umanità e la divina serenità, mentre allo stesso tempo fornisce una’ottima
occasione a Poseidone per intervenire (Griffin); la giocosità delle creature
marine del dio (27) rinforza quest’effetto.
1
|
1 Ζεὺς δ᾽ ἐπεὶ οὖν Τρῶάς τε καὶ Ἕκτορα
νηυσὶ πέλασσε,
Zeus, dopo aver fatto dunque avvicinare (da πελάζω, poet.
con significato causale “faccio avvicinare a”, con dat.) i Troiani e Ettore
alle navi,
2 τοὺς μὲν ἔα παρὰ τῇσι πόνον τ᾽ ἐχέμεν καὶ ὀϊζὺν
li lasciava (da ἐάω) presso queste a sopportare (da ἔχω,
dove l’oggetto è uno stato fisico e mentale, quindi “sopportare”; infinito
epico, prob. eolico) fatica e sofferenza, dolore (da ὀϊζύς,
ύος, ἡ)
incessantemente, senza tregua (da νωλεμές , avverbio anche
nella forma νωλεμέως), mentre egli volgeva (da τρέπω) gli occhi (da ὄσσε ,
τω, neutro) splendenti (da φαεινός , ή, όν: questa sempre la forma epica: si
veda 14.236)
4 νόσφιν[3]
ἐφ᾽ ἱπποπόλων Θρῃκῶν καθορώμενος αἶαν
lontano (da νόσφιν ἀπό , con il genitivo) guardando (da καθοράω,
Zeus guarda verso il basso) la terra dei Traci allevatori di cavalli (da ἱπποπόλος
, ον)
5 Μυσῶν τ᾽ ἀγχεμάχων καὶ ἀγαυῶν Ἱππημολγῶν
e dei Misi che combattono da vicino, corpo a corpo (da ἀγχέμαχος
, ον) e degli Ippemolgi nobili, illustri (da ἀγαυός , ή, όν, in Omero quasi
sempre epiteto di re ed eroi),
6 γλακτοφάγων Ἀβίων τε δικαιοτάτων ἀνθρώπων.
che bevono il latte (da γλακτοφάγος , ον, abbreviato per γαλακτ-),
e degli Abii, i più giusti tra gli uomini.
7 ἐς Τροίην δ᾽ οὐ πάμπαν ἔτι τρέπεν ὄσσε φαεινώ[4]:
Verso Troia assolutamente non più rivolgeva gli occhi
splendenti;
8 οὐ γὰρ ὅ γ᾽ ἀθανάτων τινα ἔλπετο[5]
ὃν κατὰ θυμὸν
egli infatti in cuor suo non si aspettava (da ἔλπω ;
costruito come ἐλπίζω con acc. ed infinito futuro) che qualcuno degli
immortali
9 ἐλθόντ᾽ ἢ Τρώεσσιν ἀρηξέμεν ἢ Δαναοῖσιν.
muovendo portasse aiuto (da ἀρήγω; quindi “andasse a
portare aiuto”) o ai Troiani o ai Danai.
|
Zeus si disinteressa del seguito della battaglia
|
10
|
10 οὐδ᾽ ἀλαοσκοπιὴν εἶχε[6]
κρείων ἐνοσίχθων:
Ma il signore (da κρείων , οντος, ὁ, termine epico,
utilizzato nell’Il. specialmente per re e comandanti, in particolare per
Agamennone) scuotitore della terra non faceva una sorveglianza cieca,
disattenta (da ἀλαοσκοπιά , Ion. ἀλαο-ιή , ἡ);
11 καὶ γὰρ ὃ θαυμάζων ἧστο πτόλεμόν τε
μάχην τε
appunto infatti egli se ne stava seduto (da ἧμαι) a
osservare con meraviglia (da θαυμάζω, con l’acc.) la guerra e il
combattimento
12 ὑψοῦ ἐπ᾽ ἀκροτάτης κορυφῆς Σάμου ὑληέσσης
in alto (da ὑψοῦ , avv., (ὕψος)) sulla cima (da κορυφή , ἡ,
(κόρυς)) più alta (da ἄκρος , α, ον) della boscosa Samo
13 Θρηϊκίης[7]:
ἔνθεν γὰρ ἐφαίνετο πᾶσα μὲν Ἴδη,
di Tracia; da qui infatti tutta l’Ida appariva, si
mostrava (da φαίνω),
14 φαίνετο δὲ Πριάμοιο πόλις καὶ νῆες Ἀχαιῶν.
e si mostrava la città di Priamo e (si mostravano) le navi
degli Achei.
15 ἔνθ᾽ ἄρ᾽ ὅ γ᾽ ἐξ ἁλὸς ἕζετ᾽ ἰών, ἐλέαιρε
δ᾽ Ἀχαιοὺς
Venendo (da εἶμι) dal mare qui egli si siede (da ἕζομαι),
e compiange (da ἐλεαίρω) gli Achei
16 Τρωσὶν δαμναμένους, Διὶ δὲ κρατερῶς ἐνεμέσσα.[8]
vinti, sottomessi (da δάμνημι , = δαμάζω), dai Troiani, ed
aspramente, fortemente era adirato, era in collera (da νεμεσάω , con il
dativo della persona).
|
Fisicità degli dei dell’Olimpo
|
17
|
17 αὐτίκα δ᾽ ἐξ ὄρεος κατεβήσετο
παιπαλόεντος
Immediatamente viene giù (da καταβαίνω, “vengo giù da”,
con il genitivo, ma anche – come qui – con la posizione; anche con
accusativo) dal monte scosceso (da παιπαλ-όεις , εσσα, εν)
18 κραιπνὰ ποσὶ προβιβάς: τρέμε δ᾽ οὔρεα
μακρὰ καὶ ὕλη
avanzando, procedendo (da προβαίνω: Omero ha solo il perf.
e pres. part. προβιβάς, come da βίβημἰ), rapidamente (da κραιπνός , ή, όν, ma
Omero ha anche freq. ποσσὶ κραιπνοῖσι, e.g. Il. 23.749) con i piedi:
tremavano (da τρέμω) i monti (da ὄρος , εος, τό, le forme Ep. e Lir. οὔρεος,
οὔρεϊ, οὔρεα, οὔρεσι probabilmente hanno οὐρ- per ragioni metriche al posto
di ὀρ-) grandi, alti, e la selva
19 ποσσὶν ὑπ᾽ ἀθανάτοισι Ποσειδάωνος ἰόντος.
sotto i piedi immortali di Poseidone che avanza (da εἶμι).
20 τρὶς μὲν ὀρέξατ᾽ ἰών, τὸ δὲ τέτρατον ἵκετο
τέκμωρ[9]
Per tre volte fece un grande passo (da ὀρέγω) avanzando, e
la quarta volta raggiunge la meta,
21 Αἰγάς[10],
ἔνθα δέ οἱ κλυτὰ δώματα βένθεσι λίμνης
Ege, qui egli aveva la gloriosa, splendida dimora (da δῶμα
, ατος, τό, (δέμω), anche pl. per una singola dimora), nelle profondità,
negli abissi (da βένθος , εος, τό, poet., = βάθος), del mare (da λίμνη , ἡ,
in Omero e altri poeti “mare”, altrimenti genericamente una pozza di acqua
stagnante lasciata dal mare o da un fiume),
d’oro, scintillante (da μαρμαίρω), era (da τεύχω , al pf.
e ppf. passivo “sono (stato) reso, sono (stato) fatto”, quindi semplicemente γίγνεσθαι
o εἶναι) indistruttivile (da ἄφθιτος , ον, (φθίνω)) sempre.
23 ἔνθ᾽ ἐλθὼν ὑπ᾽ ὄχεσφι τιτύσκετο
χαλκόποδ᾽ ἵππω
Qui giunto, disponeva, aggiogava (da τιτύσκομαι), sotto il
carro i due cavalli ferrati di bronzo (da χαλκόπους , ποδος, ὁ, ἡ)
24 ὠκυπέτα χρυσέῃσιν ἐθείρῃσιν κομόωντε,
dal rapido volo (da ὠκυπέτης , ου, ὁ), con il crine che
cresceva (da κομάω) in una criniera (da ἔθειρα , ἡ, in Omero sempre al plurale,
sia della criniera del cavallo sia della cresta di crine sull’elmo) d’oro,
25 χρυσὸν δ᾽ αὐτὸς ἔδυνε περὶ χροΐ, γέντο δ᾽ ἱμάσθλην
e lui stesso oro vestiva (da δύω) intorno al corpo (da χρώς
, ὁ, Ep. e Ion.gen. χροός, dat. χροΐ), prende (da γέντο: il verbo si trova
solo in questa forma) poi la frusta (da ἱμάσθλη , ἡ, (ἱμάς))
d’oro, ben fatta (da εὔτυκτος , ον, (τεύχω)), monta (da ἐπιβαίνω,
con il genitivo) sul suo carro,
27 βῆ δ᾽ ἐλάαν[13]
ἐπὶ κύματ᾽: ἄταλλε δὲ κήτε᾽ ὑπ᾽ αὐτοῦ
e si mosse (da βαίνω, qui con infinito finale: raro uso
con significato di muovere sul carro) per andare (da ἐλαύνω) sulle onde:
sotto di lui i mostri marini (da κῆτος , εος, τό) saltellavano giocosamente
(da ἀτάλλω)
28 πάντοθεν ἐκ κευθμῶν, οὐδ᾽ ἠγνοίησεν ἄνακτα:
da ogni parte dai (loro) antri nascosti, dai loro
nascondigli (da κευθμός , ὁ, = κευθμών , ῶνος, ὁ, (κεύθω)), né mancano di
riconoscere (da ἀγνοέω) il (loro) signore;
29 γηθοσύνῃ δὲ θάλασσα διίστατο: τοὶ δὲ
πέτοντο
il mare si apriva, si divideva (da διίστημι), con gioia
(da γηθοσύνη , ἡ); a lui volavano (da πέτομαι)
30 ῥίμφα μάλ᾽, οὐδ᾽ ὑπένερθε διαίνετο
χάλκεος ἄξων[14]:
con grande leggerezza, velocità (da ῥίμφα, avverbio), né
di sotto si bagnava (da διαίνω) il bronzeo asse (da ἄξων , ονος, ὁ);
31 τὸν δ᾽ ἐς Ἀχαιῶν νῆας ἐΰσκαρθμοι
φέρον ἵπποι.
e lui fino alle navi degli Achei portavano i cavalli
agili, veloci (da εὔσκαρθμος , Ep. ἐΰσκ-, ον, (σκαίρω), hapax legomenon in Omero: si veda πολυσκάρθμοιο in 2.184, si
un’agile Amazzone o di una ninfa).
|
|
32
|
32 ἔστι δέ τι σπέος εὐρὺ βαθείης βένθεσι
λίμνης[15]
C’è una vasta (da εὐρύς , εὐρεῖα, εὐρύ) grotta negli abissi del mare profondo
a metà strada tra Tenedo e Imbro accidentata, scoscesa (da
παιπαλόεις , εσσα, εν);
34 ἔνθ᾽ ἵππους ἔστησε Ποσειδάων ἐνοσίχθων
qui Poseidone, scuotitore della terra, fermò i cavalli
35 λύσας ἐξ ὀχέων, παρὰ δ᾽ ἀμβρόσιον
βάλεν εἶδαρ[18]
dopo aver(li) sciolti dal carro, e lì vicino getta cibo
(da εἶδαρ , ατος, τό) ambrosio, immortale
36 ἔδμεναι: ἀμφὶ δὲ ποσσὶ πέδας ἔβαλε
χρυσείας
perché si cibassero (da ἔδω, antico presente epico per
l’attico ἐσθίω: qui all’infinito epico); intorno alle zampe mise delle
pastoie (da πέδη , ἡ, (πέζα), al plurale “pastorie”) d’oro
37 ἀρρήκτους ἀλύτους, ὄφρ᾽ ἔμπεδον αὖθι
μένοιεν
che non si spezzano (da ἄρρηκτος , ον, (ῥήγνυμι)) (e) non
si sciolgono (da ἄλυτος , ον), affinchè (da ὄφρα, con ottativo dopo un tempo
passato) lì fermi (da ἔμπεδος , ον, (πέδον): qui avverbio, “senza muoversi”)
aspettassero (da μένω)
38 νοστήσαντα ἄνακτα: ὃ δ᾽ ἐς στρατὸν ᾤχετ᾽
Ἀχαιῶν.
il loro signore di ritorno (da νοστέω); quello andava (da οἴχομαι)
all’accampamento degli Achei.
|
Posizione delle isole di Tenedo e Imbro (e Lesbo) rispetto alla Troade e alla città di Troia. |
39
|
39 Τρῶες
δὲ φλογὶ ἶσοι ἀολλέες ἠὲ θυέλλῃ
I Teucri compatti, tutti
insieme (da ἀολλής , ές), simili alla fiamma, ad un incendio (da φλόξ , ἡ,
gen. φλογός), o alla tempestra (da θύελλα , ἡ),
40 Ἕκτορι
Πριαμίδῃ ἄμοτον μεμαῶτες ἕποντο
seguivano (da ἕπομαι, con il dativo) Ettore figlio di
Priamo, bramosi incessantemente (da ἄμοτον, in Omero sempre con verbi che
esprimono passione, desiderio, etc.)
41 ἄβρομοι
αὐΐαχοι[19]:
ἔλποντο δὲ νῆας Ἀχαιῶν
rumorosamente, gridando
insieme(da ἄβρομος , ον, (α copulativo βρέμω ), “gridando insieme”, come
correttamente interpretato da Aristarco), urlando (da αὐΐαχος , ον , da ἰαχή con α- intensivo, copulativo): speravano
le navi degli Achei
42 αἱρήσειν,
κτενέειν δὲ παρ᾽ αὐτόθι πάντας ἀρίστους.
di catturare, di uccidere
lì, sul posto, tutti i migliori.
43 ἀλλὰ
Ποσειδάων γαιήοχος ἐννοσίγαιος[20]
ma Poseidone, che
avvolge, che tiene la terra (da γαιήοχος , ον, (ἔχω)), che scuote la terra
(da Ἐννοσίγαιος , ὁ, Ep. per Ἐνοσίγ-),
44 Ἀργείους
ὄτρυνε βαθείης ἐξ ἁλὸς ἐλθὼν
infiammò, diede coraggio (da ὀτρύνω, con l’accusativo),
agli Argivi emergendo (da ἔρχομαι) dal mare (da ἅλς , ἁλός , ἡ) profondo
45 εἰσάμενος
Κάλχαντι[21]
δέμας καὶ ἀτειρέα φωνήν:
somigliando (da εἴδομαι, con il dativo) a Calcante
nell’aspetto, nella corporatura, e nella voce sicura, salda, che non si
logora (da ἀτειρής , ές);
46 Αἴαντε[22]
πρώτω προσέφη μεμαῶτε καὶ αὐτώ:
parlò agli Aiaci per primi, essi stessi già pieni di
ardore:
47 ‘ Αἴαντε
σφὼ μέν τε σαώσετε λαὸν Ἀχαιῶν
« O
Aiaci, voi due salverete, potete salvare, dovete salvare (da σαόω , = σώζω), l’esercito
degli Achei
48 ἀλκῆς
μνησαμένω, μὴ δὲ κρυεροῖο φόβοιο.
se (sarete) memori (da μιμνήσκω,
con il genitivo) del (vostro) valore, non della paura che gela, che
agghiaccia (da κρυερός , ά, όν, in Omero sempre metaforico).
49 ἄλλῃ
μὲν γὰρ ἔγωγ᾽ οὐ δείδια
χεῖρας ἀάπτους
Io stesso infatti da tutte
le altra parti non temo (da δείδω) le mani invincibili (da ἄαπτος ,
ον, (ἅπτομαι))
50
Τρώων, οἳ μέγα τεῖχος ὑπερκατέβησαν ὁμίλῳ:
dei Troiani, che in massa, in folla (da ὅμιλος , ὁ)
superarono, scavalcarono (da ὑπερκαταβαίνω), il possente, alto muro.
51 ἕξουσιν
γὰρ πάντας ἐϋκνήμιδες Ἀχαιοί:
tutti infatti fermeranno,
sapranno fermare, terranno lontani, respingeranno (da ἔχω), gli Achei dalle
belle gambiere:
lì nel modo più terribile
(da αἰνός , ή, όν, poet., = δεινός, come avverbio, superlativo ass.) ho gran
timore (da περιδείδω) che dobbiamo soffrire qualcosa,
53 ᾗ ῥ᾽ ὅ γ᾽ ὁ λυσσώδης φλογὶ
εἴκελος ἡγεμονεύει
dove quello, che (è)
furente, rabbioso (da λυσσ-ώδης , ες, hapax
legomenon in Omero), simile (da εἴκελος , η, ον, (εἰκός)) al fuoco,
comanda (da ἡγεμονεύω),
54 Ἕκτωρ,
ὃς Διὸς εὔχετ᾽ ἐρισθενέος πάϊς εἶναι.
Ettore, che si vanta (da εὔχομαι)
di essere figlio di Zeus potentissimo, onnipotente (da ἐρισθενής , ές).
55 σφῶϊν
δ᾽ ὧδε θεῶν τις ἐνὶ φρεσὶ ποιήσειεν
Volesse qualcuno degli dei
in questo modo a voi due mettere (da ποιέω, qui nel senso di “mettere”, in un
certo luogo o in una certa condizione) nell’animo,
56 αὐτώ
θ᾽ ἑστάμεναι
κρατερῶς καὶ ἀνωγέμεν
ἄλλους:
che voi stessi con forza,
con decisione stiate a piè fermo ed esortiate, diate ordini (da ἄνωγα), agli
altri;
57 τώ
κε καὶ ἐσσύμενόν περ ἐρωήσαιτ᾽ ἀπὸ νηῶν
in questo caso (allora),
per quanto anche impetuoso (da ἐσσύμενος , η, ον, epico, part. passato di σεύω),
lo respingereste indietro con la forza (da ἐρωέω, solo qui in Omero) dalle
navi
58 ὠκυπόρων[25],
εἰ καί μιν Ὀλύμπιος αὐτὸς ἐγείρει ’.
Veloci, se anche l’Olimpo
stesso, l’Olimpo in persona, lo spinge, lo eccita, lo risveglia (da ἐγείρω) ».
|
|
59
|
59 ἦ καὶ
σκηπανίῳ γαιήοχος ἐννοσίγαιος
Diceva (da ἠμί) e con lo scettro (da σκηπάνιον, ου , τό = σκῆπτρον) colui che avvolge, che
tiene la terra (da γαιήοχος , ον, (ἔχω)), che scuote la terra (da Ἐννοσίγαιος
, ὁ, Ep. per Ἐνοσίγ-),
60 ἀμφοτέρω
κεκοπὼς πλῆσεν μένεος κρατεροῖο,
dopo aver colpito, toccato
(da κόπτω), entrambe, (li) riempì (da πίμπλημι, con il genitivo) di forza,
potenza, coraggio ardente,
61 γυῖα
δ᾽ ἔθηκεν ἐλαφρὰ πόδας καὶ χεῖρας ὕπερθεν.
le membra rese leggere (da ἐλαφρός
, ά, όν), le gambe e sopra le braccia.
62 αὐτὸς
δ᾽ ὥς τ᾽ ἴρηξ[26]
ὠκύπτερος ὦρτο πέτεσθαι,
PARAGONE à Egli si levò (da ὄρνυμι, con l’infinito dello
scopo) per volare, in volo (da πέτομαι), come uno sparviero (da ἱέραξ , ακος,
ὁ, Ion. ed Ep. ἴρηξ , ηκος) dalle ali veloci (da ὠκύπτερος , ον, unico)
63 ὅς ῥά
τ᾽ ἀπ᾽ αἰγίλιπος πέτρης περιμήκεος ἀρθεὶς
che sollevatosi (da αἴρω)
da una rupe ripida, scoscesa (da αἰγίλιψ , ιπος, ὁ, ἡ, qualcosa come
“accessibile alle capre”), molto alta (da περιμήκης (μῆκος), περίμηκες),
64 ὁρμήσῃ
πεδίοιο διώκειν ὄρνεον ἄλλο,
si lanci (da ὁρμάω, con l’infinito dello scopo) per
cacciare (da διώκω, qui “cacciare, seguire sulla pianura”, con πεδίοιο in
origine partitivo: si veda anche 21.602, εἷος ὃ τὸν πεδίοιο διώκετο
πυροφόροιο) sulla pianura un altro uccello (da ὄρνεον , τό),
65 ὣς ἀπὸ
τῶν ἤϊξε Ποσειδάων ἐνοσίχθων.
allo stesso modo via da questi partì (da ἀίσσω, ἀΐσσω)
Poseidone scuotitore della terra.
66 τοῖιν
δ᾽ ἔγνω πρόσθεν Ὀϊλῆος ταχὺς Αἴας[27],
Tra i due per primo lo riconobbe (da γιγνώσκω)il rapido
Aiace d’Oileo,
67 αἶψα
δ᾽ ἄρ᾽ Αἴαντα προσέφη Τελαμώνιον υἱόν:
e subito diceva ad Aiace, al figlio di Telamone:
68 ‘ Αἶαν
ἐπεί τις νῶϊ θεῶν οἳ Ὄλυμπον ἔχουσι
« O Aiace, poiché uno degli dei, che possiedono, che
abitano l’Olimpo, noi
69
μάντεϊ εἰδόμενος κέλεται παρὰ νηυσὶ μάχεσθαι,
spinge, urge (da κέλομαι, col dativo della persona e
l’infinito), nelle sembianze (da εἴδομαι, col dativo) dell’indovino (da μάντις
, ὁ, gen. εως, Ion. Ιος), a combattere presso le navi,
70 οὐδ᾽
ὅ γε Κάλχας ἐστὶ θεοπρόπος οἰωνιστής:
ed egli non è certo Calcante, il profeta (da θεοπρόπος ,
ον , aggettivo; ovverso come sostantivo, sinonimo di μάντις) osservatore
degli uccelli (da οἰωνιστής , οῦ, ὁ):
71 ἴχνια
γὰρ μετόπισθε ποδῶν ἠδὲ κνημάων[28]
infatti da dietro le
impronte (da ἴχνιον , τό) dei piedi e (la forma) degli stinchi
72 ῥεῖ᾽
ἔγνων ἀπιόντος: ἀρίγνωτοι δὲ θεοί περ:
ho facilmente riconosciuto
(da γιγνώσκω) mentre se ne andava (da ἄπειμι): gli dei sono ben (da πέρ, che
qui aggiunge solo forza al concetto) facili da riconoscere (da ἀρίγνωτος , η,
ον)!
73 καὶ
δ᾽ ἐμοὶ αὐτῷ θυμὸς ἐνὶ στήθεσσι φίλοισι[29]
Ecco che il mio stesso
cuore nel mio (da φίλος , η, ον, che qui indica semplicemente possesso,
riferito a qualcosa di proprio) petto
74 μᾶλλον
ἐφορμᾶται πολεμίζειν ἠδὲ μάχεσθαι,
ancora di più spinge (da ἐφορμάω)
a far guerra e a combattere,
75
μαιμώωσι δ᾽ ἔνερθε πόδες καὶ χεῖρες ὕπερθε ’.
e smaniano, sono impazienti
(da μαιμάω), in basso i piedi e in alto le braccia ».
|
Paragone
|
76
|
76 τὸν
δ᾽ ἀπαμειβόμενος προσέφη Τελαμώνιος Αἴας:
A lui rispondendo, di
rimando, diceva Aiace Telamonio:
77 ‘ οὕτω
νῦν καὶ ἐμοὶ περὶ δούρατι χεῖρες ἄαπτοι
« Proprio
così anche a me, ora, intorno alla lancia le (mie) mani invincibili
78 μαιμῶσιν[30],
καί μοι μένος ὤρορε, νέρθε δὲ ποσσὶν
smaniano, sono impazienti
(da μαιμάω), e la furia bellica mi si è scatenata (da ὄρνυμι), e in
basso, dai piedi,
79 ἔσσυμαι
ἀμφοτέροισι: μενοινώω δὲ καὶ οἶος
da entrambe, mi sento
portare all’assalto (da σεύω): desidero ardentemente (da μενοινάω), anche da
solo,
80 Ἕκτορι
Πριαμίδῃ ἄμοτον μεμαῶτι μάχεσθαι[31]
’.
combattere contro Ettore
figlio di Priamo, smanioso, bramoso incessantemente (da ἄμοτον, in Omero
sempre con verbi che esprimono passione, desiderio, etc.).
|
[1] Si veda
5.492, dove l’avverbio è anche associato all’infinito ἐχέμεν.
[2] Qui πάλιν
significa “via”, non “indietro”: si veda 3.427, 5.836, 18.138).
[3] Le
nazioni che Zeus osserva sono verso nord, mentre la battaglia è a nord-ovest
rispetto al punto in cui si trova. Il suo sguarda si perde poi sempre più
lontano. I Traci allevatori di cavalli sono sono i più vicini, i Misi sono una
parte della razza chi si stanziò in Bulgaria quando i suoi consanguinei
entrarono in Anatolia. Nel Catalogo troiano (2.858 sg.) i Misi sono insediati a
sud del Propontide. La loro presenza sarebbe anacronistica come quella dei
Frigi che attraversarono verso l’Asia all’inizio dell’Età del Ferro; movimenti
dalla Tracia verso l’Anatolia nord-occidentale dopo il 1100 a.C. sono
documentati archeologicamente. Erodoto (7.20) inverte la direzione dei
movimenti dei Misi e li data prima della guerra di Troia, probabilmente per
spiegare questo passaggio.
Più lontano ci sono gli Ippemolgi, i “mungitori di
cavalle”, senza dubbio una tribù scita nomade, oltre il Danubio, come i
Messegeti “che bevono il latte” (Erodoto, 1.216). Il termine γλακτοφάγων spiega
il loro nome (il latte era senza dubbio coagulato, come il koumiss dei Tartari, e dimostra che ἀγαυῶν è un epiteto, non un
nome. Omero deriva poi il termine Abii dalla ἀ- privativa e da βία, “senza
violenza”, dal momento che li glossa come “i più giusti tra gli uomini”, δικαιοτάτων
ἀνθρώπων. Si noti che Nicanore (in A) riferisce “i più giusti tra gli uomini” a
tutti i popoli qui nominati. Quest’ipotesi è interessante: Zeus, stufo delle
baruffe a Troia, volge il suo sguardo a popoli che vivono insieme senza
violenza ed ingiustizia (relativamente alla sua preoccupazione per la giustizia
si veda 16.384-393). Von Scheliha ritiene sia un’idea personale di Omero
esaltare Zeus così tanto al di sopra di un dio locale e partigiano che egli
rispetta persino le nazioni barbare. Questa Utopia del lontano nord potrebbe
essere pura invenzione, come i felice Iperborei di Pindaro (Py. 10). I Gabii di Eschilo (frag. 196),
un δῆμος ἐνδικώτατος con un Utopico stile di vita, ed una misteriosa G- nel
loro nome, sono basati su Omero.
[4] Si veda
13.3.
[5] Questi
versi si riferiscono evidentemente a quanto successo il giorno prima quando
Zeus aveva minacciato gli altri dei affinchè non osassero andare in aiuto a
nessuno dei due schieramenti (8.10 sgg.; con il verso 9 si veda 8.11).
[6] Si veda
10.515, dove la formula è riferita ad Apollo: qui con ironia, visti i risultati
(la strage con la morte di Reso).
[7]
L’epiteto ὑλήεις è già comparso nel libro VI, ai versi 396 e 425) riferito al
Placo. L’epiteto ‘di Tracia’ prova che Omero conosceva anche una Samo ionica.
[8] Una
sorta di anello concentrico racchiude il racconto di come Poseidone sia venuto
a sedersi su Samotracia: di qui egli può vedere il monte Ida ed il
combattimento, e questa e la ragione per la quale ha lasciato il mare e siede
qui. Mentre lo sguardo di Zeus si perde anche più lontano, Poseidone di
concentra con crescenter precisione sull’Ida, su Troia e sulle navi; come Zeus,
le sue emozioni sono in trambusto per quello che vede, ma l’effetto è opposto.
Il verso 16 = 353 ricapitola questo intervento. La vetta più alta dell’isola di
Samotracia si trova a nord-ovest della Troade, oltre l’isola di Imbro. La
montagna di Samotracia domina per un vastissimo tratto, fino al monte Ida, il
panorama circostante, così che al dio non sfugge il comportamento di Zeus, e da
spettatore della battaglia passa all’azione, dalla compassione per la sorte dei
Greci all’intervento in loro aiuto.
[9] Il
modello ‘tre volte [...], poi la quarta volta [...]’ è tradizionale: cfr.
16.702 sgg., 21.177 (τρὶς δὲ μεθῆκε βίης: τὸ δὲ τέτρατον ἤθελε θυμῷ), e Esiodo,
Le Opere e i Giorni, 596 (τρὶς ὕδατος προχέειν, τὸ δὲ τέτρατον ἱέμεν οἴνου).
Sottolinea la scioltezza di movimenti del dio.
[10] Il
culto di Poseidone ad Ege è menzionato per esempio in Il. 8.203 e in Od. 5.381.
Vi sono altre località con questo nome in Eubea, Acaia e Macedonia, ma il fatto
che il palazzo del dio sia collocato nelle profondità del mare suggerisce che
non si debba prendere troppo sul serio questa collocazione.
[11] Lo iato
ἄφθιτα αἰεί | illustra molto bene come la declinazione delle formule possa
causare irregolarità nella prosodia: si veda in 2.186 la formula probabilmente
originaria ἄφθιτον αἰεί.
[12] I versi
23-26 ripetono – con un minimo adattamento iniziale – i versi 8.41-44: si
tratta del passo in cui Zeus prepara i cavalli ed il carro per recarsi sul
monte Ida.
[13] La
formula fonde altre due tipi di formule: μάστιξεν δ᾽ ἐλάαν (sc. ἵππους) di Il.
5.366 e βῆ δ᾽ ἴμεν” (5.167), βῆ δὲ θέειν (2.183).
[14] Si veda
il sistema formulare con e.g. αἵματι δ᾽ ἄξων (11.534), φήγινος ἄξων (5.838),
dalle simili caratteristiche metriche.
[15] Si veda
il verso 21.
[16] Si veda
per esempio 6.4 (μεσσηγὺς Σιμόεντος ἰδὲ Ξάνθοιο ῥοάων), o ancora 5.769).
[17] Questa
introduzione topografica spezza il flusso del racconto per fissare
l’attenzionesu quello che segue: si vedano per esempio 2.811, 11.711, 11,722, e
in Odissea 3.293, 4.354, 4.844, 13.96, 15.403, 19.172. La grotta sottomarina
tra Tenedo e Imbro, le isole più vicine a Troia, ricorda quella di Teti tra
Samotracia e Imbro (con 33, si veda 24.78, Od. 4.845), che è detta
semplicemente ‘nelle profondità del mare’, ἐν βένθεσσιν ἁλὸς, in 18.36. Il
palazzo sottomarino e la grotta di Poseidone rappresentano la cornice del suo
viaggio. I versi 32-32 ripetono βένθεσι λίμνης (21), παιπαλόεις (17), ἐνοσίχθων
(19) e ποσσὶ (19).
[18] Si veda
e.g. 5.369.
[19] I
Troiani assaltano rumorosamente in ogni altra occasione (3.2, 4.433-438), a
differenza dei più disciplinati Greci, accomunati da una medesima lingua (3.8).
Difficilemente l’imminente vittoria potrebbe renderli più silenziosi in questa
occasione; sono paragonari al fuoco e al vento, che sono rumorosi.
[20] Si noti
9.183, dove la formula è utilizzata al dativo. Oscuro il senso e l’etimologia
di γαιήοχος.
[21]
Poseidone assume le sembianze di Calcante perché rimprovererà l’atteggiamento
di Agamennone verso Achille al verso 111 sgg. Si confronti l’ostilità di
Agamennone verso l’indovino in 1.68 sgg., che era sicuramente tradizionale.
Come indovino (1.69 sg.) ci si aspetta che Calcante conosca i pensieri Ettore,
pensieri che egli sostiene di riportare al verso 54. L’esercito si fidava di
lui, così secondo i commentatori (T) relativamente a 14.136. La formula ). The
formula δέμας καὶ ἀτειρέα φωνήν descrive chiunque, il cui aspetto sia stato
assunto da un dio, come in 17.555 (Fenice) o 22.227 (Deifobo), nessuno dei
quali ha una voce stentorea; quando Era assume l’aspetto di Stentore (5.785),
il cui nome è particolarmente adatto, viene descritta la sua voce.
[22] Poseidone
sceglie di esortare coloro che dimostrano più ardimento, come è tipico negli
interventi divini (cfr. Idomeneo in 214 sgg.). Aiace Telamonio, che a questo
punto è de facto comandante
dell'esercito, otterrà il più grande successo nel corso di questo combattimento
con il ferimento di Ettore (14.409 sgg.). Aiace Oileo l'abbiamo visto l'ultima
volta quando il figlio di Telamone, seguito da Teucro, lo abbandona per
rinforzare il settore di destra contro Sarpedone (12.366 sgg., cfr. 12.400); il
loro allontararsi permette a Ettore di sfondare. Ma ora il dio esorta insieme i
due Aiaci (cfr. 66 sg.), ed essi sono insieme al centro in 312 sg. Dobbiamo
supporre che essi si siano riuniti durante la fuga di 12.470 sg. ? In effetti
questa stranezza è stata brillantemente spiegata da . Seguendo un antico uso
indoeuropeo il duale Αἴαντε un tempo significava Aiace e suo fratello Teucro, e
non i due Aiaci che non condividono null'altro che il nome. Il solo parallelo
greco è Μολίονε, i Molioni, "Molione e suo fratello" (11.709); lo
strano duale indusse Omero, Esiodo ed i pittori dei vasi del Geometrico ad
immaginarli come gemelli siamesi (vedi anche 23.637-642)! Αἴαντε è stato
reinterpretato a significare due uomini di nome Aiace, ma Teucro è sempre lì
vicino; in 202 sgg. la stessa ipotesi spiega l'inaspettata intrusione di Aiace
Oileo in una uccisione da parte di Teucro e di suo fratello (177-178). Questo
verso originariamente denotava Teucro ed Aiace, che chiaramente deriva da
antica epica micenea (West), ma il duale indusse Omero ad inserire Aiace Oileo
e quindi aggiungere Teucro (66 sg., 92).
[23] τῇ del
verso 52 deve essere messo in correlazione con ᾗ relativo del verso 53: i Greci
devono avere paura qui, dove…
[24] Si veda
10.93, dove il verbo è ancora associato ad αἰνῶς.
[25] La formuala
| νηῶν (τ᾽) ὠκυπόρων, che compare 5
volte in Omero, incluso il vero 110, è quin spezzata su due versi. Si
veda analogamente in 8.128 sg. la stessa sorte per ἵππων | ὠκυπόδων, o in Od.
5.175 sg. per νῆες ἐῖσαι | ὠκύποροι.
[26]
Poseidone si allontana con la velocità di uno sparviero, non con l’aspetto
dell’uccello, com’è chiaro da 71 sg. Allo stesso modo si allontana Teti
dall'Olimpo, ἴρηξ ὣς, in 18.616: qui Teti non ha alcuna necessità di cambiare
aspetto. Πέτεσθαι introduce in modo netto, chiaro, questa immagine, dal momento
che questa stessa analogia viene utilizzata di uomini che hanno fretta (755;
21.247 perima di una similitudine con un’aquila; 22.143 dopo una similitudine
con un falco). La similitudine mette a confronto in modo ironico ‘calcante’ con
gli uccelli che interpreta (79), e le sue ‘prede’ sono i Greci; come un falco
egli è giunto sulla pianura da una grande altezza, quella di Samotracia. La
vecchia idea che gli dei potessero assumere l’aspetto di uccelli si annida
sullo sfondo, ma è molto più chiara altrove, e.g. in Od. 22.240: nell’Iliade si
veda anche 7.59-60, 15.237-238. Si veda anche Od. 3.372.
[27] La
formula Ὀϊλῆος ταχὺς Αἴας (che compare 7 volte nell’Iliade) è strana per l’uso
del nome del padre al genitivo senza ‘figlio di’. Essa rimodella in qualche
modo Ὀϊλῆος ταχὺς υἱὸς (701, 14.520), a meno che Ὀϊλῆος sia sostituito da un
aggettivo *Ὀϊλήιος. Si veda anche il verso 67: dal momento che questi
aggettivi non erano in origine limitati nell’uso al patronimico, υἱός non è
pleonastico.
[28] L’uso ποδῶν
ἠδὲ κνημάων ha un parallelo in 17.386, κνῆμαί τε πόδες θ᾽; questo suggerisce
gli stinchi qui menzionati siano semplicamente un ridondante utilizzo
formulare, e che forse significhino semplicemente “piedi”, come accade in frasi
sinonimiche come πόδας καὶ γούνατ᾽ ἕνωμα. Per altri riconoscimenti dai piedi o
dalle impronte, si veda e.g. Od. 4.149, 19.381, 19.467 sgg.
[29] καὶ δέ è praticamente uguale a καὶ γάρ. L’utilizzo
epico di φίλος con parti del corpo è sicuramente
un’estensione del suo normale uso per denotare membri di uno stesso gruppo.
[30] | μαιμῶσιν
contratto accanto a | μαιμώωσι (75) non contratto è innovativo. Ugualmente in
51 il verbo traboccato ἕξουσιν (75) con -ν mobile, efelcistica, davanti
a consonante è innovativa.
[31] Si vada
13.40, Ἕκτορι Πριαμίδῃ ἄμοτον μεμαῶτες ἕποντο.
No comments:
Post a Comment