L’attacco di Ettore
I versi 251-64, fino all’esortazione degli Aiaci,
rappresentano un rimarchevole esempio di poesia epica dell’assedio, senza un
parallelo nell’Iliade: l’ascoltatore/spettatore aveva certo il diritto di
aspettarsi qualcosa di più dopo troppe scene duelli a base di tiri d’asta. La
poesia di assedio ha naturalmente i suoi temi tipici ed un suo vocabolario, e
questo passaggio ce ne fornisce un esempio. L’assedio è al centro delle vicende
di Ecalia, di Tebe e di Calidone, e deve aver costituito gran parte dell’ἀοιδή
fin dai tempi più antichi. Ci possiamo certo aspettare che essa abbia in
qualche modo sviluppato uno stile ed un vocabolario ricco come quello che
troviamo impiegato nella descrizione dei combattimenti in campo aperto
nell’Iliade. Le scene di assedio hanno una parte notevole nel repertorio
dell’arte micenea, ma nessuna delle opere che conosciamo getta luce sui
problemi tecnici posti dall’attacco troiano al muro acheo, descritto nei versi
che seguono.
Innanzitutto al verso 252 vediamo i Troiani attaccare in
massa e con un terribile, altissimo grido di guerra: una scena simile l’abbiamo
in 15.379-84, e anche qui si descrive un simile grido di guerra (ὣς Τρῶες μεγάλῃ
ἰαχῇ κατὰ τεῖχος ἔβαινον, 384): nel libro 15 l’attacco in massa dei Troiani è
paragonato ad una μέγα κῦμα θαλάσσης (381). A questo punto la forza di Ettore
ha in qualche modo permesso agli uomini di passare la trincea che in precedenza
aveva dato molto da pensare, ma non ci viene detto come abbiano fatto a
superare quello che dapprima sembrava un ostacolo insormontabile. Questo è
indicativo – ma indizi di questo tipo sono numerosi nel resto di questo libro –
del fatto che l’infallibile scioltezza dimostrata dal poeta nella descrizione
dei combattimenti in campo aperto non la ritroviamo nel contesto molto speciale
del combattimento da, o contro, le fortificazioni.
Proseguendo dal verso 257, è evidente che un esercito che
stia attaccando un muro può solo o scalarlo o squarciarlo, aprendo una breccia.
Scalare il muro, a meno che il muro stesso abbia una certa inclinazione (si
veda 16.702), oppure sia fabbricato in modo molto rudimentale, richiede delle
scale, κλίμακες. E a meno che queste non siano ciò che vuole sgnificare il
misterioso termine κρόσσας (258), uno strumento di questo tipo è assente dal
racconto dell’assalto troiano, dal momento che l’obiettivo della forza che
assalta viene espresso in modo coerente come τεῖχος ῥηγνύναι (12.90, 198,
223-4, 257, 261-2, 418, 440), “sfondare il muro, aprire una breccia nel muro”.
Essi fanno ciò scalzando via, estraendo, tirando via con leve alcuni elementi
chiave della struttura: στήλας […] ἐμόχλεον. Si tratta di un dettaglio che non
viene ripreso in seguito, probabilmente perché i principali eroi non possono
essere descritti mentre faticano come genieri alla base del muro. Oppure
potrebbero demolire le merlature che proteggono le piettaforme di combattimento
(397-9), dopo di che – nel presente racconto – gli uomini possono sciamare
all’interno. Ma almeno in alcuni casi τεῖχος include le porte che sono state
previste nel muro in quel settore: quindi al verso 443 la divisione che
combatte con Ettore si lancia contro il τεῖχος, ed Ettore può abbattere,
letteralmente sfasciare la porta con un masso. Il modo ‘professionale’ per
compiere questa operazione sarebbe probabilmente luso di un ariete, incendiare
la porta o farla a pezzi con delle asce, ma questo sarebbe un lavoro di gruppo,
e non l’azione eroica di un singolo comandante; così il poeta fa raggiungere ad
Ettore lo stesso scopo con un’azione solitaria degna di un superuomo,
scagliando un gigantesco masso.
I pochi passi che, insieme ai versi 258-60, gettano un po’ di
luce sulla natura del muro acheo, così come il poeta lo concepiva, sono: 7.436-41
(la costruzione del muro), 7.461-3 (la sua distruzione), 12.3-32 (la sua
distruzione in dettaglio), 12.177-8, 12.397-9 (il suo danneggiamento), 15.361-4
(la sua parziale distruzione). Dal momento che lo scopo degli attaccanti è τεῖχος
ῥηγνύναι, e la distruzione del muro mediante inondazione viene descritto come
τεῖχος ἀμαλδύνειν (7.463, 12.18, 12.32), il poeta non poteva avere in mente le
ciclopiche mura della cittadella di Micene, o utilizzare termini che si
adattavano alla descrizione della stessa. Secondo le sue stesse parole, i
materiali utilizzati per la costruzione del muro acheo erano φιτροί, cioè
legna, tronchi d’albero (12.29), e λᾶες, pietre (12.29, 12.178), e nel racconto
iliadico si tratta certo di una difesa improvvisata, realizzata in tutta fretta
in un solo giorno. Possiamo confrontare la costruzione del muro greco con i
lavori di costruzione portati a termine in due giorni e mezzo a Delio
dall’esercito ateniese nel 424 a.C. (Tuc. 4.90). Un esercito meno timoroso di
un attacco immediato avrebbe fatto come faranno i Greci del Peloponneso prima
di Platea, nel 429 a.C. Allora vennero usati mattoni di fango, ricavando il
materiale necessario dalla trincea scavata intorno alle mura, come leggiamo in
Tuc. 2.78. τεῖχος ἀμαλδύνειν è una descrizione pertinente degli effetti
dell’acqua su questo tipo di materiale. Omero concepisce però la trincea come
separata dal muro (vedi 65-66) e dotata di propri bastioni, di proprie difese.
Però le fondazioni importanti e la sovrastruttura che viene descritta in questi
versi risulta più adatta alla cinta muraria permanente di una città che a
un’opera improvvisata. Si confronti a titolo di esempio la descrizione delle
mura di Scheria (Feaci) nell’Odissea, in 7.44-5.
Una descrizione di mura è un elemento necessario della poesia
di assedio, ma opere realizzate sul campo di battaglia non figurano (a parte
qui) nelle scene di battaglia dell’Iliade, e sembra mancare una appropriata
terminologia per esse.
Si consideri per esempio il termine κρόσσαι (258),un termine
ionico che ricorre nel greco più tardo. Era conosciuto da Erodoto e dai suoi
informatori: si veda Storie 2.125, a
proposito della descrizione della costruzione a gradini della Grande Piramide.
Aristarco è incerto su questo punto. Ma se il termine deve riferirsi alle
scale, allora πύργων deve essere interpretato come un genitivo dell’obiettivo,
dello scopo, del bersaglio. Un sistema di scale per salire sulle mura sono una
tattica utilizzata dagli eserciti del Vicino Oriente sin dai tempi più antichi,
e dal punto di vista degli strumenti per l’assedio che un esercito ellenistico
poteva utilizzare, sembra abbastanza ovvio, ma altrettanto ovviamente sembra
qui fuori luogo: basta leggere in 375 e 397-9 il resoconto dell’attacco quasi
riuscito di Sarpedone.
Il termine κρόσσαι potrebbe anche descrivere, in un modo che
oggi è difficile immaginare, la costruzione del parapetto (κεφαλίδες in
Aristarco): il composto πρόκροσσοι (14.35, e si veda Erodoto, 7.188) potrebbe
significare “a scglioni, in file successive”, ma anche questo è poco chiaro.
Lorimer suggerisce che alla sua base il muro greco avesse una forte
inclinazione: questo è certo possibile, anche se il suo riferimento all’inclinazione,
la fondazione – non più visibile nel primo millennio – che forma la parte che
quasi da sola sopravvive del grande muro di Hissarlik VI no aiuta. La θεμείλια
(28) – fondazione – di molte cinte murarie arcaiche o classiche si estende
oltre la sovrastruttura, e ci si può camminare sopra. La sola altra menzione di
questo elemento nell’Iliade, κροσσάων ἐπέβαινον (444), non aiuta a chiarirne il
senso.
Quanto al termine ἐπάλξεις (258), queste sono opere di
merlatura che danno al muro elevazione, e allo stesso tempo proteggono i
difensori: devono essere immaginati da poeta come relativamente sottili, dal
momento che Sarpedone può abbatterli con uno strappo del suo eroico braccio (397-9),
in modo da creare una breccia praticabile, attraverso la quale gli uomini
possono apssare. Si vedano gli abitanti di Platea in fuga in Tuc. 3.23.
Infine il termine στῆλαι προβλῆτες deve indicare un elemento
verticale, di pietra o di legno (φιτροί, 29), necessario per mantenere in
posizione questi materiali piuttosto improvvisati, oppure per supportare la
sovrastruttura di un muro permanente. Non è chiaro perché debbano aggettare
(forse come un contrafforte ?), a meno che il poeta non avesse in mente una
qualche pratica architettonica che non ha lasciato alcuna traccia
nell’archeologia.
251
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251 ὣς ἄρα φωνήσας ἡγήσατο, τοὶ δ᾽ ἅμ᾽ ἕποντο
Così dunque dicendo andò avanti, prese il comando, la
guida (da ἡγέομαι), e quelli seguivano insieme
252 ἠχῇ θεσπεσίῃ: ἐπὶ δὲ Ζεὺς
τερπικέραυνος
in un frastuono (da ἠχή , ἡ: può anche trattarsi di un
grido di guerra) terribile, disumano (da θεσπέσιος , α, ον); Zeus che si
diletta del tuono (da τερπικέραυνος , ον)
253 ὦρσεν ἀπ᾽ Ἰδαίων ὀρέων ἀνέμοιο
θύελλαν,
scatenò (da ἐπόρνυμι, in tmesi) dai monti dell’Ida una
tempesta di vento,
254 ἥ ῥ᾽ ἰθὺς νηῶν κονίην φέρεν: αὐτὰρ Ἀχαιῶν
che portava, spingeva contro (da ἰθύς, meno frequentemente
ἰθύ, come preposizione con il genitivo dell’oggetto) le navi un polverone (da
κονία , Ion. ed Ep. κονιίη , ἡ, (κόνις)): così degli Achei
255 θέλγε νόον, Τρωσὶν δὲ καὶ Ἕκτορι κῦδος
ὄπαζε.
raggirava, ingannava (da θέλγω), la mente, e ai Troiani e
ad Ettore consegnava (da ὀπάζω) la gloria.
256 τοῦ περ δὴ τεράεσσι πεποιθότες ἠδὲ
βίηφι[1]
Fidando nei suoi prodigi e nella (propria) forza
257 ῥήγνυσθαι μέγα τεῖχος Ἀχαιῶν
πειρήτιζον.
tentavano (da πειρητίζω) di sfondare, di abbattere il
grande muro degli Achei.
258 κρόσσας μὲν πύργων ἔρυον, καὶ ἔρειπον ἐπάλξεις,
Tiravano giù (da ἐρύω) le fortificazioni, le impalcature
(da κρόσσαι , ῶν, αἱ), delle torri, e abbattevano (da ἐρείπω) le merlature
(da ἔπαλξις , εως, ἡ, (ἐπαλέξω), per lo più al plurale),
259 στήλας τε προβλῆτας ἐμόχλεον, ἃς ἄρ᾽ Ἀχαιοὶ
smuovevano, rimuovevano (da μοχλέω), i pali, le
contrafforti, i pilastri (da στήλη , ἡ), sporgenti, montanti (da προβλής , ῆτος,
ὁ, ἡ), che gli Achei
260 πρώτας ἐν γαίῃ θέσαν ἔμμεναι ἔχματα
πύργων.
per primi avevano piantato, infisso (da τίθημι), nella
terra per essere sostegno (da ἔχμα , ατος, τό, (ἔχω)) delle torri, dei
bastioni.
261 τὰς οἵ γ᾽ αὐέρυον, ἔλποντο δὲ τεῖχος Ἀχαιῶν
Questi essi tiravano indietro, smuovevano, cercavano di
smuovere (da αὐερύω), speravano (da ἔλπω) il muro degli Achei
262 ῥήξειν: οὐδέ νύ πω Δαναοὶ χάζοντο
κελεύθου,
abbattere; né ora in alcun modo i Danai cedevano (da χάζομαι,
con il genitivo) il cammino,
263 ἀλλ᾽ οἵ γε ῥινοῖσι βοῶν φράξαντες ἐπάλξεις
ma questi con gli scudi di pelle di bue proteggendo (da φράσσω)
le merlature
264 βάλλον ἀπ᾽ αὐτάων δηΐους ὑπὸ τεῖχος ἰόντας.
da queste colpivano i nemici che avanzavano sotto il muro.
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Qui sembra che il muro sia in effetti qualcosa di molto
complesso
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265
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265 ἀμφοτέρω δ᾽ Αἴαντε κελευτιόωντ᾽ ἐπὶ
πύργων
Entrambe gli Aiaci, continuamente dando ordini, spronando
(da κελευτιάω, freq. di κελεύω, in Ep. solo al participio), sopra le torri,
sopra i bastioni,
266 πάντοσε φοιτήτην μένος ὀτρύνοντες Ἀχαιῶν.
andavano avanti e indietro in ogni direzione, incitando
(da ὀτρύνω) la forza degli Achei.
267 ἄλλον μειλιχίοις[2],
ἄλλον στερεοῖς ἐπέεσσι
L’uno con (parole) dolci,l’altro con parole dure, aspre
(da στερεός , ά, όν, anche στερρός),
268 νείκεον[3],
ὅν τινα πάγχυ μάχης μεθιέντα ἴδοιεν:
rimproveravano (da νεικέω), colui che vedessero
completamente negligente, restio, inerte (da μεθίημι, con il genitivo), alla
battaglia.
269 ‘ ὦ φίλοι Ἀργείων ὅς τ᾽ ἔξοχος ὅς τε μεσήεις
« O amici, sia colui che primeggia, che è al di sopra tra
gli Argici, sia colui che si trova nel mezzo (da μεσήεις , εσσα, εν),
270 ὅς τε χερειότερος, ἐπεὶ οὔ πω πάντες ὁμοῖοι
sia anche colui che è peggiore (da χερειότερος = χερείων :
χερείων , ὁ, ἡ, gen. ονος, Ep.per χείρων), dal momento che in nessun modo
tutti sono uguali
271 ἀνέρες ἐν πολέμῳ, νῦν ἔπλετο ἔργον ἅπασι:
gli uomini in guerra, ora c’è lavoro per tutti;
272 καὶ δ᾽ αὐτοὶ τόδε που γιγνώσκετε. μή
τις ὀπίσσω
anche da voi stessi in qualche modo questo conoscete. Che
nessuno indietro
273 τετράφθω ποτὶ νῆας ὁμοκλητῆρος ἀκούσας,
si volga (da τρέπω), verso le navi, dopo aver sentito (da ἀκούω,
con il gen. dell’oggetto) colui che ordina, che lancia il segnale (da ὁμοκλητήρ
, ῆρος, ὁ),
274 ἀλλὰ πρόσω ἵεσθε καὶ ἀλλήλοισι
κέλεσθε,
ma andate avanti e esortatevi (da κέλομαι, con il dativo)
gli uni gli altri,
275 αἴ κε Ζεὺς δώῃσιν Ὀλύμπιος ἀστεροπητὴς
se mai Zeus, l’Olimpio fulminatore, conceda
276 νεῖκος ἀπωσαμένους δηΐους προτὶ ἄστυ
δίεσθαι.
che noi mettiamo in fuga (da δίω) i nemici verso la città,
fino alla città, dopo aver respinto (da ἀπωθέω) l’assalto, la contesa (da νεῖκος
, εος, τό) ».
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277
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277 ὣς τώ γε προβοῶντε μάχην ὄτρυνον Ἀχαιῶν.
Così i due gridando (da προβοάω) spingevano, eccitavano
(da ὀτρύνω), la guerra degli Achei.
278 τῶν δ᾽[4],
ὥς τε νιφάδες χιόνος πίπτωσι θαμειαὶ
PARAGONE à
Di questi, come i fiocchi (da νιφάς , άδος, ἡ) di neve (da χιών , όνος, ἡ)
cadono fitti
279 ἤματι χειμερίῳ, ὅτε τ᾽ ὤρετο μητίετα
Ζεὺς
in un giorno d’inverno, quando il saggio Zeus comincia (da
ὄρνυμι, qui “iniziare; cominciare”, con l’infinito νιφέμεν)
280 νιφέμεν ἀνθρώποισι πιφαυσκόμενος τὰ ἃ
κῆλα[5]:
a mandare la neve (da νίφω, νείφω) agli uomini, rendendo
manifesti, mostrando (da πιφαύσκω), i suoi dardi (da κῆλον , τό, solo al
plurale);
281 κοιμήσας δ᾽ ἀνέμους χέει ἔμπεδον, ὄφρα
καλύψῃ
dopo aver placato, calmato (da κοιμάω), i venti, riversa
senza posa (da ἔμπεδος , ον, qui avverbio), fino a quando copra (da καλύπτω)
282 ὑψηλῶν ὀρέων κορυφὰς καὶ πρώονας ἄκρους
le cime delle alte montagne e le colline (da πρών , ὁ,
gen. πρῶνος, pl. πρώονες) sulla (loro) sommità (da ἄκρος , α, ον)
283 καὶ πεδία λωτοῦντα καὶ ἀνδρῶν πίονα ἔργα,
e le pianure verdeggianti, erbose (da λωτόεις , εσσα, εν,
lett. “coperte di loto”) e le fertili, grasse opere (da ἔργον , τό, qui si
intendono le terre coltivate),
284 καί τ᾽ ἐφ᾽ ἁλὸς πολιῆς κέχυται λιμέσιν
τε καὶ ἀκταῖς,
e si riversa (da χέω) anche, persino sui porti (da λιμήν ,
ένος,
ὁ) e sui promontori, sulle coste (da ἀκτή , ἡ), del grigio mare,
285 κῦμα δέ μιν προσπλάζον ἐρύκεται: ἄλλά
τε πάντα
l’onda la respinge, la delimita (da ἐρύκω, ma può anche
tradursi al passivo: “l’onda viene avvolta”), quando arriva, quando si
accosta (da προσπλάζω): ma tutte le cose
286 εἴλυται καθύπερθ᾽, ὅτ᾽ ἐπιβρίσῃ Διὸς ὄμβρος:
sono accolte, sono coperte (da εἰλύω), dall’alto, quando
la pioggia, la tormenta (da ὄμβρος , ὁ), di Zeus cade pesante (da ἐπιβρίθω);
287 ὣς τῶν ἀμφοτέρωσε λίθοι πωτῶντο
θαμειαί,
così di questi le pietre (da λίθος , ου, ὁ: ma λίθος, ἡ, due
volte in Omero, qui e in Odissea Od.19.494) volavano (da πωτάομαι) fitte
verso entrambe i lati (da ἀμφοτέρωσε, avverbio),
288 αἱ μὲν ἄρ᾽ ἐς Τρῶας, αἱ δ᾽ ἐκ Τρώων ἐς Ἀχαιούς,
queste addosso ai Troiani, quelle dai Troiani addosso agli
Achei,
289 βαλλομένων:
τὸ δὲ τεῖχος ὕπερ πᾶν δοῦπος ὀρώρει.
quando (si) tiravano addosso, quando (si) colpivano; e un
forte rumore, un gran fracasso si era levato sopra tutto questo muro.
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Paragone
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[1] Si
tratta evidentemente della forza del braccio troiano, non della forza di Zeus.
Come i soldati di ogni tempo, i Troiani accompagnano prudentemente la loro
fiducia negli dei con misure più pratiche.
[2] Ai versi
267 sg. μειλιχίοις […] νείκεον è un semplice zeugma, la figura retorica che
prevede il collegamento di un verbo a due o più elementi della frase che invece
richiederebbero ognuno rispettivamente un verbo specifico. Questo evita una
proposizione inutilmente goffa e complessa. Gli Aiaci adottano la stessa
tattica di Odisseo in 2.188-206: parole gentili per i re e i migliori (ὅν τινα
μὲν βασιλῆα καὶ ἔξοχον ἄνδρα κιχείη , 188), minacce per tutti gli altri (ὃν δ᾽
αὖ δήμου τ᾽ ἄνδρα ἴδοι βοόωντά τ᾽ ἐφεύροι , 198).
[3] Gli
Aiaci esortano i loro uomini. I Kampfpardnesen,
i discorsi di esortazione, sono parte integrante della tipologia della guerra
omerica. Latacz – Kampfdarstellung , 246-50 – ne ha contati 65 esempi, 38 sul
fronte acheo, 27 su quello troiano. Solo raramente, come ai versi 310 sgg., c’e
un discorso diretto.
[4] Per il
collegamento di τῶν δ᾽ occorre arrivare fino al verso 287, che lo riprende.
[5] Si veda
1.53. Zeus mostra agli uomini quali siano le sue armi.
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