Contrattacco di Odisseo e Diomede
310
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310 ἔνθά κε λοιγὸς ἔην καὶ ἀμήχανα ἔργα
γένοντο,
E qui sarebbe stata una strage e sarebbero accadute cose
tremende, senza rimedio (da ἀμήχανος , ον),
311 καί νύ κεν ἐν νήεσσι πέσον φεύγοντες Ἀχαιοί,
ed ora gli Achei mentre fuggivano si sarebbero gettati (da
πίπτω) sulle navi,
312 εἰ μὴ Τυδεΐδῃ Διομήδεϊ κέκλετ᾽ Ὀδυσσεύς:
se Odisseo non avesse esortato Diomede, figlio di Tideo:
313 ‘ Τυδεΐδη τί παθόντε λελάσμεθα
θούριδος ἀλκῆς;
« O Tidide, (noi due) soffrendo (da πάσχω, ma anche “essere
sotto l’influenza di”) quale cosa ci siamo scordati (da λανθάνω con il
genitivo) della forza impetuosa, violenta ?
314 ἀλλ᾽ ἄγε δεῦρο πέπον, παρ᾽ ἔμ᾽ ἵσταο:
δὴ γὰρ ἔλεγχος
Ma suvvia, (stai, vieni) qui (da δεῦρο: usato per
richiamare l’attenzione, in espressioni come ἄγε δεῦρο, δεῦρ᾽ ἄγε, δεῦρ᾽ ἴθι,
δεῦρ᾽ ἴτω con un verbo sing. (δεῦτε usato con il plurale)), o caro (da πέπων
, ον) ! Stai accanto a me ! Certamente infatti una vergogna
315 ἔσσεται εἴ κεν νῆας ἕλῃ κορυθαίολος Ἕκτωρ
’.
sarà, se Ettore dall’elmo abbagliante prenderà le navi !
».
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316
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316 τὸν δ᾽ ἀπαμειβόμενος προσέφη κρατερὸς
Διομήδης:
A lui rispondendo diceva il forte Diomede:
317 ‘ ἤτοι ἐγὼ μενέω καὶ τλήσομαι: ἀλλὰ
μίνυνθα
« Certamente io rimarrò (da μένω), e sopporterò, reggerò
(da τλάω); ma di breve durata
318 ἡμέων ἔσσεται ἦδος, ἐπεὶ νεφεληγερέτα
Ζεὺς
sarà la nostra gioia (da ἦδος , εος, τό), poiché Zeus che
raduna le nubi
319 Τρωσὶν δὴ βόλεται δοῦναι κράτος ἠέ περ
ἡμῖν ’.
ai Troiani vuole (da βούλομαι (Ep. anche βόλομαι)) dare la
forza, la potenza, piuttosto che a noi ».
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320
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320 ἦ καὶ Θυμβραῖον μὲν ἀφ᾽ ἵππων ὦσε χαμᾶζε[1]
Diceva, e Timbreo tira via (da ὠθέω) dal carro, a terra,
321 δουρὶ βαλὼν κατὰ μαζὸν ἀριστερόν: αὐτὰρ
Ὀδυσσεὺς
colpendo(lo) con la lancia alla mammella sinistra; per
parte sua Odisseo
322 ἀντίθεον θεράποντα[2]
Μολίονα τοῖο ἄνακτος.
(colpisce) Molione pari a un dio, scudiero di questo sire.
323 τοὺς μὲν ἔπειτ᾽ εἴασαν, ἐπεὶ πολέμου ἀπέπαυσαν:
Questi però poi lasciano, dopo che (li) hanno messi fuori
(da ἀποπαύω, lett. “far cessare da” un’attività, quest’ultima al genitivo)
dal combattimento;
324 τὼ δ᾽ ἀν᾽ ὅμιλον ἰόντε κυδοίμεον, ὡς ὅτε
κάπρω
PARAGONE à
questi due poi muovendo tra la folla imperversavano (da κυδοιμέω), come
quando due cinghiali
325 ἐν κυσὶ θηρευτῇσι μέγα φρονέοντε
πέσητον:
in grande, orgogliosamente pensando (da φρονέω), si
gettano (da πίπτω: quando regge una preposizione, in Omero è quasi sempre ἐν,
come qui) sui cani (da κύων , ὁ and ἡ) da caccia (da θηρευτής , οῦ, ὁ, in
apposizione);
326 ὣς ὄλεκον Τρῶας πάλιν ὀρμένω: αὐτὰρ Ἀχαιοὶ
così questi due, volgendosi indietro (da πάλιν: questo il
senso normale in Omero, mentre raro è il significato temporale, “di nuovo”),
massacravano (da ὀλέκω) i Troiani; allora gli Achei
327 ἀσπασίως φεύγοντες ἀνέπνεον Ἕκτορα δῖον.
volentieri, mentre stanno fuggendo da Ettore divino,
riprendevano fiato (da ἀναπνέω).
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Timbreo (T)
Molione (T)
Paragone
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328
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328 ἔνθ᾽ ἑλέτην δίφρόν τε καὶ ἀνέρε δήμου ἀρίστω
Qui loro due prendono poi un carro e due uomini, i
migliori del (loro) popolo,
329 υἷε δύω Μέροπος Περκωσίου, ὃς περὶ
πάντων
i due figli di Merope di Percote, che più di tutti
330 ᾔδεε μαντοσύνας, οὐδὲ οὓς παῖδας ἔασκε
conosceva (da οἶδα) le arti della divinazione (da
μαντοσύνη , ἡ), e non voleva, non permetteva (da ἐάω), che i suoi figli
331 στείχειν ἐς πόλεμον φθισήνορα: τὼ δέ οἱ
οὔ τι
andassero (da στείχω) alla guerra sanguinosa, che fa
strage di uomini (da φθισήνωρ , ορος, ὁ, ἡ, (φθίω, ἀνήρ)); questi in alcun
modo a lui
332 πειθέσθην: κῆρες γὰρ ἄγον μέλανος
θανάτοιο.[3]
obbedivano (da πείθω): le Chere della nera morte infatti
(li) spingevano.
333 τοὺς μὲν Τυδεΐδης δουρικλειτὸς
Διομήδης
Questi dunque Diomede, figlio di Tideo, celebre con la
lancia,
334 θυμοῦ καὶ ψυχῆς κεκαδὼν κλυτὰ τεύχε᾽ ἀπηύρα:
dopo aver(li) privati di, dopo aver strappato (loro) via
(da χάζω, con il genitivo), del coraggio e della vita, spogliava (da ἀπαυράω)
delle gloriose armi;
335 Ἱππόδαμον δ᾽ Ὀδυσεὺς καὶ Ὑπείροχον ἐξενάριξεν.
Odisseo invece uccide Ippodamo e Ipeiroco.
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Adrasto (T)
Anfio (T)
Ippodamo (T)
Ipeiroco (T)
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I figli di Merope non sono inventati per quest'episodio ed
hanno un rilievo maggiore, rispetto a quello che la loro fine lascia intendere.
Essi sono menzionati nel Catalogo troiano (2.830) come Adrasto e Anfio, della
regione di Apeso, comandanti del contingente dell'Ellesponto (329-32 =
2.831-4): τῶν ἦρχ᾽ Ἄδρηστός τε καὶ Ἄμφιος λινοθώρηξ (2.830).
La loro storia successiva nell'Iliade è curiosamente confusa,
come se la tradizione che li riguardava
fosse reale, ma per metà dimenticata. Un Adrasto è ucciso in 6.61-5:
ὣς εἰπὼν ἔτρεψεν ἀδελφειοῦ φρένας ἥρως
αἴσιμα παρειπών: ὃ δ᾽ ἀπὸ ἕθεν ὤσατο χειρὶ
ἥρω᾽ Ἄδρηστον: τὸν δὲ κρείων Ἀγαμέμνων
οὖτα κατὰ λαπάρην: ὃ δ᾽ ἀνετράπετ᾽, Ἀτρεΐδης δὲ
λὰξ ἐν στήθεσι βὰς ἐξέσπασε μείλινον ἔγχος.
Un altro in 16.694-6:
Ἄδρηστον μὲν πρῶτα καὶ Αὐτόνοον καὶ Ἔχεκλον
καὶ Πέριμον Μεγάδην καὶ Ἐπίστορα καὶ
Μελάνιππον,
αὐτὰρ ἔπειτ᾽ Ἔλασον καὶ Μούλιον ἠδὲ Πυλάρτην:
Un Anfio di Peso è ucciso da Diomede in 5.612-3:
καὶ βάλεν Ἄμφιον Σελάγου υἱόν, ὅς ῥ᾽ ἐνὶ Παισῷ
ναῖε πολυκτήμων πολυλήϊος.
I nomi di Anfio ed Adrasto ricordano quelli del Ciclo Tebano,
anche qui Adrasto (da Ἄδραστος), quindi Anfiarao: ulteriore complicazione. È
strano che i due fratelli non vengano nominati in modo più specifico:
probabilmente, come suggerisce Strasburger, perché l’interesse è focalizzato
sulla situazione del padre e non sul destino dei figli. Indovini e sacerdoti
sono comuni come padri dell’ucciso: i loro avvertimenti non ascoltati, o fallimento
nel darne, rappresentano una fonte di pathos facilmente a disposizione. Merope
di Percote – in realtà, Adrasteia, secondo il Catalogo Troiano, entrambe città
dell’Ellesponto - attirarò l’attenzione dei poeti-studiosi ellenistici
probabilmente a causa del rompicapo relativo ai suoi figli: lo ritroviamo anche
nel poema di Apollonio, Arg. 1.975.
Nel Catalogo Troiano, Anfio ha una tunica di lino: τῶν ἦρχ᾽ Ἄδρηστός
τε καὶ Ἄμφιος λινοθώρηξ (2.830). Come l’Aiace della Locride al verso 529; ma
quando qualcuno chiamato Anfio, che abitava a Peso ed era figlio di Selago,
viene ucciso dal grande Aiace in 5.612 sg. ha evidentemente un’armatura
normale: viene colpito allo ζωστήρ in 615, quindi in 621 sg. la pressione dei
nemici gli impedisce di strappare la bella armatura dalle sue spalle (5.621-2):
οὐδ᾽ ἄρ᾽ ἔτ᾽ ἄλλα δυνήσατο τεύχεα καλὰ
ὤμοιιν ἀφελέσθαι: ἐπείγετο γὰρ βελέεσσι.
Aristarco (Arn/A) risolve sommariamente ogni possibile
confusione affermando che c’era un altro Anfio, di Percote, figlio di Elato
(probabilmente un errore dei manoscritti per Selago). Il riferimento deve
essere al pessaggio del libro 5, che in effetti non lo chiama Anfio di Percote
(sebbene Merope, il padre di quest’ultimo, lo sia). 5.613 sg. aggiunge che
Anfio era ricco di beni e raccolti, ma che il destino l’aveva portato ad
aiutare i Troiani, una frase che corrisponde in modo singolare a 834: κῆρες γὰρ
ἄγον μέλανος θανάτοιο. Questo ricorre in 11.332: in effetti tutti i versi 831-4
ricorrono come 11.329-32, dove i due figli di Merope sono uccisi sul loro carro
da Diomede ed Odisseo. Questo quindi è dove i due figli di Merope, come
descritti nel catalogo, sono inequivocabilmente uccisi (e che uno di essi sia λινοθώρηξ
e anche in un carro può essere solo accettato); ma sembra comunque ci sia una
qualche confusione. La congettura di Kirk è che la confusione risieda nel
catalogo e non nel resto del poema; la voce del Catalogo Troiano sembra
inattaccabile in se stessa, di qualità abbastanza elevata – ma probabilmente
perché la maggior parte di essa derivava dall’incontro nel libro 11. Questa
parte 2.831-4 può essere stata trasferita qui per sostituire qualche semplice
affermazione su Merope e sui suoi figli. Ma questo non elimina gli altri problemi.
Si vorrebbe davvero collocare Merope dove in senso ovvio egli appartiene, cioè
con il contingente di Percore, ma allora i due figli uccisi in 11.328 sarebbero
senza nome, il che non è omerico.
336
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336 ἔνθά σφιν κατὰ ἶσα μάχην ἐτάνυσσε
Κρονίων
E qui il figlio di Crono per loro secondo misure uguali,
alla pari (da ἴσος , η, ον, Ep. ἶσος e ἔϊσος: κατὰ ἶσα), aumentò di intensità
(da τανύω) la battaglia,
337 ἐξ Ἴδης καθορῶν: τοὶ δ᾽ ἀλλήλους ἐνάριζον.
mentre guardava giù (da καθοράω) dall’Ida; gli uni
uccidevano (da ἐναρίζω) gli altri.
338 ἤτοι Τυδέος υἱὸς Ἀγάστροφον οὔτασε
δουρὶ
Davvero il figlio di Tideo colpì (da οὐτάζω, οὐτάω,
“colpisco; ferisco”, con l’accusativo della persona o della parte ferita,
anche con il doppio accusativo: qui con κατά e l’accusativo) con l’asta
Agastrofo,
339 Παιονίδην ἥρωα κατ᾽ ἰσχίον: οὐ δέ οἱ ἵπποι
340 ἐγγὺς ἔσαν προφυγεῖν, ἀάσατο δὲ μέγα
θυμῷ[4].
l’eroe figlio di Peone, all’anca (da ἴσχιον , τό); e non
gli erano vicini i cavalli per poter fuggire (da προφεύγω), era stato molto
cieco (da ἀάω) nel (suo) cuore
341 τοὺς μὲν γὰρ θεράπων ἀπάνευθ᾽ ἔχεν, αὐτὰρ
ὃ πεζὸς
Questi infatti l’auriga teneva in disparte, mentre egli a
piedi, come fante (da πεζός , ή, όν, (v. πούς)),
342 θῦνε διὰ προμάχων, εἷος φίλον ὤλεσε
θυμόν.
infuriava (da θύνω) tra i combattenti in prima fila, tra i
campioni (da πρόμαχος , ον), fino a che (da εἷος antica forma epica per ἕως)
perse la sua vita, l’amata vita.
343 Ἕκτωρ δ᾽ ὀξὺ νόησε κατὰ στίχας, ὦρτο δ᾽
ἐπ᾽ αὐτοὺς
Ettore vide chiaramente tra le schiere, e si getta (da ὄρνυμι)
su di loro
344 κεκλήγων: ἅμα δὲ Τρώων εἵποντο
φάλαγγες.
urlando (da κλάζω); insieme (lo) seguivano le forti (da
καρτερός , ά, όν, “forte; saldo; paziente”) falangi dei Troiani.
Vedendolo rabbrividisce Diomede, valente nel grido di
guerra,
346 αἶψα δ᾽ Ὀδυσσῆα προσεφώνεεν ἐγγὺς ἐόντα:
e subito si rivolgeva (da προσφωνέω, con il doppio
accusativo, “rivolgo la parola a qualcuno”) ad Odisseo, che gli era vicino:
347 ‘ νῶϊν δὴ τόδε πῆμα κυλίνδεται ὄβριμος
Ἕκτωρ:
« Su di noi il forte (da ὄβριμος , ον) Ettore getta, fa
precipitare (da κυλίνδω) questa pena, questa sciagura;
348 ἀλλ᾽ ἄγε δὴ στέωμεν καὶ ἀλεξώμεσθα
μένοντες ’.
ma suvvia fermiamoci (da ἵστημι), e resistendo a pie’
fermo respingiamo(lo) (da ἀλέξω) ».
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Agastrofo (T)
I cavalli vengono tenuti al sicuro
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349
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349 ἦ ῥα, καὶ ἀμπεπαλὼν προΐει δολιχόσκιον
ἔγχος
Diceva, e palleggiando (da ἀναπάλλω) lancia la lunga asta,
350 καὶ βάλεν, οὐδ᾽ ἀφάμαρτε τιτυσκόμενος
κεφαλῆφιν[6],
e colpì, e non mancò (da ἀφαμαρτάνω, con il genitivo),
mirando (da τιτύσκομαι, τινος della persona – qui della cosa - cui si mira, τινι
della cosa con la quale si vuole colpire) alla testa,
alla parte superiore dell’elmo; ma il bronzo viene deviato
(da πλάζω) dal bronzo,
352 οὐδ᾽ ἵκετο χρόα καλόν: ἐρύκακε γὰρ
τρυφάλεια
e non raggiunge la bella pelle; (la) blocca (da ἐρύκω)
infatti l’elmo
353 τρίπτυχος αὐλῶπις, τήν οἱ πόρε Φοῖβος Ἀπόλλων.
a tre strati (da τρίπτυχος , ον, (πτύσσω)) fornito di tubo
per il pennacchio (da αὐλῶπις , ιδος, ἡ, (ὤψ), nell’Iliade sempre epiteto di τρυφάλεια:
significato non chiaro, un’altra interpretazione fa riferimento alla visiera
munita di fori per vedere), che a lui diede Febo Apollo.
354 Ἕκτωρ δ᾽ ὦκ᾽ ἀπέλεθρον ἀνέδραμε, μίκτο δ᾽ ὁμίλῳ,
Ettore velocemente indietreggiò correndo (da ἀνατρέχω)
molto lontano (da ἀπέλεθρος , ον), si mescolò (da μίγνυμι) alla folla,
355 στῆ δὲ
γνὺξ ἐριπὼν καὶ ἐρείσατο χειρὶ παχείῃ
scivolato, caduto (da ἐρείπω), rimase in ginocchio, con le
ginocchia piegate (da γνύξ , avverbio , (γόνυ)), e puntò, si appoggiò con (da
ἐρείδω, con il genitivo), la mano robusta (da παχύς , εῖα , ύ)
356 γαίης: ἀμφὶ δὲ ὄσσε κελαινὴ νὺξ ἐκάλυψεν.
contro la terra; una notte nera, oscura (da κελαινός , ή,
όν), avvolse, coprì (da ἀμφικαλύπτω, in tmesi), gli occhi
357 ὄφρα δὲ Τυδεΐδης μετὰ δούρατος ᾤχετ᾽ ἐρωὴν
Fino a che il figlio di Tideo andava (da οἴχομαι) dietro
(da μετά, con l’accusativo ἐρωὴν: il senso è “dietro a, all’inseguimento di”)
al volo (da ἐρωή, ἡ) della lancia
358 τῆλε διὰ προμάχων, ὅθι οἱ καταείσατο
γαίης
lontano, tra i combattenti delle prime file, (verso) dove
gli era caduta, gli si era conficcata (da κάτειμι) a terra,
359 τόφρ᾽ Ἕκτωρ ἔμπνυτο, καὶ ἂψ ἐς δίφρον ὀρούσας
durante questo tempo Ettore prende fiato (da ἐμπνέω), e di
nuovo precipitatosi (da ὀρούω, in Omero sempre insieme ad espressioni di moto
ad un luogo) sul carro
360 ἐξέλασ᾽ ἐς πληθύν, καὶ ἀλεύατο κῆρα
μέλαιναν.
(lo) porta via (da ἐξελαύνω) verso la folla, ed evita (da ἀλέομαι)
la nera Chera, la nera morte.
361 δουρὶ δ᾽ ἐπαΐσσων προσέφη κρατερὸς
Διομήδης:
Saltando(gli) addosso, incanzando(lo) (da ἐπαίσσω), con la
lancia gli diceva il forte Diomede:
362 ‘ ἐξ αὖ νῦν ἔφυγες θάνατον κύον: ἦ τέ
τοι ἄγχι
« Cane, ancora una volta adesso sei sfuggito (da ἐκφεύγω,
in tmesi, con l’accusativo) alla morte ! Certo davvero a te vicina
è passata la disgrazia ! Ora di nuovo ti ha salvato Febo
Apollo
364 ᾧ μέλλεις εὔχεσθαι ἰὼν ἐς δοῦπον ἀκόντων.
Al quale tu senza dubbio devi (da μέλλω, qui con
l’infinito presente εὔχεσθαι indica un’azione ritenuta certa o molto
probabile nel presente) rivolgere preghiere quando muovi verso il rombo (da δοῦπος
, ὁ) dei dardi (da ἄκων , οντος, ὁ).
365 ἦ θήν σ᾽ ἐξανύω γε καὶ ὕστερον ἀντιβολήσας,
Per certo (da θήν , particella enclitica = δή, esprime
forte convincimento in un’affermazione: forse θήν è più debole (Denniston))
dopo averti incontrato (da ἀντιβολέω) anche tardi ti ucciderò, avrò ragione
di te (da ἐξανύω,
366 εἴ πού τις καὶ ἔμοιγε θεῶν ἐπιτάρροθός
ἐστι.
se mai qualcuno degli dei anche verso di me sarà propizio
(da ἐπιτάρροθος , ὁ, Ep. per ἐπίρροθος).
367 νῦν αὖ τοὺς ἄλλους ἐπιείσομαι, ὅν κε
κιχείω ’.
Ora ancora una volta mi getterò (da ἔπειμι) sugli altri,
su quello che riesca a raggiungere (da κιχάνω) ».
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Il casco di Ettore, dono di Apollo
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368
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368 ἦ, καὶ Παιονίδην δουρὶ κλυτὸν ἐξενάριζεν.
Diceva, e spogliava (delle armi) il figlio di Peone,
famoso con la lancia.
369 αὐτὰρ Ἀλέξανδρος Ἑλένης πόσις ἠϋκόμοιο[9]
Intanto Alessandro, lo sposo di Elena dalla bella chioma
370 Τυδεΐδῃ ἔπι τόξα τιταίνετο ποιμένι λαῶν,
tendeva (da τιταίνω, qui con ἐπί con il dativo, in senso
di ostilità) l’arco contro il Tidide pastore di genti,
371 στήλῃ κεκλιμένος ἀνδροκμήτῳ ἐπὶ τύμβῳ
appostandosi (da κλίνω) presso una colonna (da στήλη , ἡ),
sulla tomba lavorata da mani umane (da ἀνδρόκμητος , ον, (κάμνω))
372 Ἴλου Δαρδανίδαο[10],
παλαιοῦ δημογέροντος.
di Ilo Dardanide, l’antico anziano del popolo.
373 ἤτοι ὃ μὲν θώρηκα Ἀγαστρόφου ἰφθίμοιο
In verità costui del gagliardo Agastrofo la corazza
374 αἴνυτ᾽ ἀπὸ στήθεσφι παναίολον ἀσπίδα τ᾽
ὤμων
dai molti colori stava strappando via (da αἴνυμαι) dal
petto, e dalle spalle lo scudo
375 καὶ κόρυθα βριαρήν: ὃ δὲ τόξου πῆχυν ἄνελκε
e l’elmo robusto (da βριαρός , ά, όν, Ion. βριερός , ή,
όν, attributo di κόρυς, τρυφάλεια); quello tirava indietro (da ἀνέλκω)
l’impugnatura (dell’arco) (da πῆχυς , ὁ, si tratta del punto centrale
dell’arco, dove si colloca l’impugnatura)
e colpisce, nè davvero l’arma, il proiettile (da βέλος ,
εος, τό), partì (da ἐκφεύγω, con il genitivo del luogo e l’accusativo della
persona) a vuoto dalla mano,
377 ταρσὸν
δεξιτεροῖο ποδός: διὰ δ᾽ ἀμπερὲς ἰὸς
il tarso (da ταρσός , ὁ) del piede destro; tutto
attraverso, da parte a parte (da ἀμπερές : sempre in combinazione διὰ δ᾽ ἀμπερές,
tmesi di διαμπερές), la freccia
378 ἐν γαίῃ κατέπηκτο: ὃ δὲ μάλα ἡδὺ
γελάσσας
per terra si conficcava (da καταπήγνυμι); quello ridendo
molto di gusto, molto gioiosamente,
379 ἐκ λόχου ἀμπήδησε καὶ εὐχόμενος ἔπος ηὔδα:
salta fuori (da ἀναπηδάω) dal nascondiglio (da λόχος , ὁ,
(λέχομαι)) e vantandosi diceva parola:
380 ‘ βέβληαι οὐδ᾽ ἅλιον βέλος ἔκφυγεν: ὡς
ὄφελόν[12]
τοι
«Sei colpito (da βάλλω, con l’accusativo della parte), e
la freccia non è partita invano: magari a te,
381 νείατον ἐς κενεῶνα βαλὼν[13]
ἐκ θυμὸν ἑλέσθαι.
dopo aver(ti) colpito al basso (da νέατος , Ep. νείατος ,
η, ον, lett. il punto più basso, aggettivo) ventre (da κενεών , ῶνος, ὁ,
(κενός), si riferisca al vuoto tra le costole e i fianchi, anche il fianco),
avessi strappato via (da ἐξαιρέω, in tmesi) la vita !
382 οὕτω κεν καὶ Τρῶες ἀνέπνευσαν
κακότητος,
In questo modo i Troiani avrebbero anche ripreso fiato (da
ἀναπνέω, con il genitivo della cosa dalla quale ci si riprende) dalla
difficile situazione (da κακότης , ητος, ἡ, (κακός)),
383 οἵ τέ σε πεφρίκασι λέονθ᾽ ὡς μηκάδες αἶγες
’.
(loro) che davanti a te tremano di paura (da φρίσσω, con
l’acc. della cosa temuta) come capre belanti (da μηκάς , άδος, ἡ, in Omero
sempre detto di capre) (tremano di paura) di fronte ad un leone ».
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Il ferimento di Diomede
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Relativamente ai versi 375 sgg. colpisce l’assenza di
qualsiasi riferimento alla precedente ferita di Diomede, sempre provocata da
una freccia. In 5.95 sgg. Diomede viene colpito da Pandaro, ma immediatamente
prega Atena e viene guarito. Se si eccettua il caso di Menelao, che per poco
evita la morte in 4.134-40, la freccia omerica non penetra l’armatura
difensiva: si veda per esempio 12.401, dove la freccia di Teucro viene fermata
dalla cinghia dello scudo, lasciando quindi Sarpedone illeso, e 13.586-7. L’arciere
deve quindi mirare a – ed avere la fortuna di colpire – una parte del corpo
della sua vittima che sia (vedi 12.389) γυμνωθείς (Diomede si era curvato sulla
sua vittima). Quindi è la spalla destra, lasciata scoperta dallo scudo, ad
essere colpita (5.98, 11.507), o la coscia destra (11.583). Altri punti sono la
vita (4.134), il petto (8.303, 8.313), il braccio (non specificato, ma
difficilmente di tratta del braccio che regge lo scudo, 12.389), e la parte
posteriore del collo (15.451). I pittori invece sui vasi rappresentano come
colpita piuttosto la parte inferiore della gamba.
384
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384 τὸν δ᾽ οὐ ταρβήσας προσέφη κρατερὸς
Διομήδης:
Il forte Diomede, per nulla spaventato (da ταρβέω), a lui
rispondeva:
385 ‘ τοξότα λωβητὴρ κέρᾳ[14]
ἀγλαὲ παρθενοπῖπα
« Arciere (da τοξότης , ου, ὁ) diffamatore, calunniatore
(da λωβητήρ , ῆρος, ὁ ed ἡ), famoso (da ἀγλαός , ή, όν, con il dativo della
cosa: qui in senso sarcastico) per l’acconciatura dei tuoi capelli (da κέρας
, τό), fatuo corteggiatore di femmine (da παρθενοπίπης , ου, ὁ, (ὀπιπεύω)),
386 εἰ μὲν δὴ ἀντίβιον σὺν τεύχεσι
πειρηθείης,
se davvero faccia a faccia con le armi ti cimentassi,
venissi alla prova (da πειράω),
387 οὐκ ἄν τοι χραίσμῃσι βιὸς καὶ ταρφέες ἰοί:
a te non servirebbero a nulla l’arco né fitte (da ταρφύς ,
εῖα, ύ) frecce:
388 νῦν δέ μ᾽ ἐπιγράψας ταρσὸν ποδὸς εὔχεαι
αὔτως.
ora ti vanti in questo modo per avermi graffiato (da ἐπιγράφω)
il tarso del piede !
389 οὐκ ἀλέγω, ὡς εἴ με γυνὴ βάλοι ἢ πάϊς ἄφρων:
Non ci faccio caso (da ἀλέγω), come se mi avesse colpito
una donna o un bambino sciocco, senza senno (da ἄφρων , ον, gen. ονος, (φρήν)):
390 κωφὸν γὰρ βέλος ἀνδρὸς ἀνάλκιδος οὐτιδανοῖο.
(è) spuntata (da κωφός , ή, όν) infatti la freccia di un
uomo impotente (da ἄναλκις , ιδος, ὁ, ἡ) e di nessun valore (da οὐτιδανός ,
ή, όν).
391 ἦ τ᾽ ἄλλως ὑπ᾽ ἐμεῖο, καὶ εἴ κ᾽ ὀλίγον
περ ἐπαύρῃ,
Certamente in altro modo da me, anche se pure di poco
tocca, graffia (da ἐπαυρέω),
392 ὀξὺ βέλος πέλεται, καὶ ἀκήριον αἶψα
τίθησι.
la freccia acuta, dolorosa parte (da πέλω: per lo più
utilizzato come copula, qui πέλω mantiene qualcosa del senso originario, che
doveva implicare movimento), e subito lascia (da τίθημι, nel senso di
“mettere giù, abbattere”, quindi colpisce uccidendo) senza vita (da ἀκήριος ,
ον, (κῆρ): la costruzione manca di complemento oggetto, che potrebbe essere ἀνήρ
sottinteso, o ἀκήριος come sostantivo, nel senso “subito fa un morto”).
393 τοῦ δὲ γυναικὸς μέν τ᾽ ἀμφίδρυφοί εἰσι
παρειαί,
E della sua donna le guance (da παρειά , ἡ, in Omero
sempre al plurale) sono graffiate dai due lati, entrambe (da ἀμφίδρυφος , ον,
= ἀμφιδρυφής , ές, (δρύπτω)),
394 παῖδες δ᾽ ὀρφανικοί: ὃ δέ θ᾽ αἵματι γαῖαν
ἐρεύθων
e i figli sono orfani (da ὀρφανικός , ή, όν); e costui con
il sangue arrossando (da ἐρεύθω) la terra
395 πύθεται, οἰωνοὶ δὲ περὶ πλέες ἠὲ γυναῖκες
’.[15]
imputridisce (da πύθω), e intorno (ci sono) uccelli più
numerosi (da πλείων , πλέων , ὁ, ἡ, neut. πλεῖον, πλέον, πλεῖν, Comp. di
πολύς) che donne ».
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Insulti ad Alessandro, arciere vigliacco
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390
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κωφὸν γὰρ βέλος ἀνδρὸς
ἀνάλκιδος οὐτιδανοῖο.
ἦ τ᾽ ἄλλως ὑπ᾽ ἐμεῖο,
καὶ εἴ κ᾽ ὀλίγον περ ἐπαύρῃ,
ὀξὺ βέλος πέλεται,
καὶ ἀκήριον αἶψα τίθησι.
τοῦ δὲ γυναικὸς μέν
τ᾽ ἀμφίδρυφοί εἰσι παρειαί,
παῖδες δ᾽ ὀρφανικοί:
ὃ δέ θ᾽ αἵματι γαῖαν ἐρεύθων
πύθεται, οἰωνοὶ δὲ
περὶ πλέες ἠὲ γυναῖκες ’.
Debole è il dardo di
un uomo vigliacco, da nulla.
Ma se parte da me,
anche se sfiora appena,
ben altrimenti
l’asta è puntuta, fa subito un morto;
della sua donna già
son graffiate le guance,
già son orfani i
figli; egli, arrossando la terra col sangue,
imputridisce, più
uccelli gli sono vicini che donne.
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Citazione
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396
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396 ὣς φάτο, τοῦ δ᾽ Ὀδυσεὺς δουρικλυτὸς ἐγγύθεν
ἐλθὼν
Così diceva, e Odisseo, glorioso per la lancia, venuto
vicino (da ἐγγύθεν, qui prep. col gen.) a lui
397 ἔστη πρόσθ᾽: ὃ δ᾽ ὄπισθε καθεζόμενος
βέλος ὠκὺ
gli si mise davanti: egli, seduto (da καθέζομαι) indietro
(da ὄπισθε(ν): quindi al sicuro, nelle retrovie), il dardo acuto
398 ἐκ ποδὸς ἕλκ᾽, ὀδύνη δὲ διὰ χροὸς ἦλθ᾽
ἀλεγεινή.
estraeva dal piede, un dolore amaro, terribile (gli)
passava attraverso la pelle, la carne.
399 ἐς δίφρον δ᾽ ἀνόρουσε, καὶ ἡνιόχῳ ἐπέτελλε
Saltò sopra il carro, e all’auriga comandava
400 νηυσὶν ἔπι γλαφυρῇσιν ἐλαυνέμεν: ἤχθετο
γὰρ κῆρ.[16]
di condurlo alle navi ricurve: il cuore era infatti
oppresso (da ἄχθομαι).
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[1] Vedi
11.143
[2] Lo θεράπων
esegue i compiti di un inferiore: si occupa del suo superiore sul campo, specialmente
come auriga, riceve gli ospiti, serve il cibo e il vino, assiste al sacrificio
e può servire come messaggero. I suoi doveri civili, non militari, si
sovrappongono quindi con quelli del κῆρυξ: siveda 1.321, dove Taltibio ed
Euribate sono definiti κήρυκε καὶ […] θεράποντε. Lo θεράπων però non è un uomo
del popolo: egli può avere genitori ricchi (24.398); Patroclo potrebbe essere
definito in questo modo (16.653), e θεράπων Ἰδομενῆος è la descrizione
formulare di Merione.
[3] Si noti
che 329-32 = 2.831-4.
[4] Vedi
9.537.
[5] Sezione
costruita con un ampio uso di formule: si veda in particolare 5.590 sgg. Al
verso 5.596, formulare, segue una comparazione, che non troviamo dopo il verso
345.
[6] A
proposito di τιτυσκόμενος κεφαλῆφιν, il –φι del greco miceneo è principalmente
una terminazione strumentale plurale nella declinazione in a- e con nomi con la radice in consonante, ma la sua scomparsa come
terminazione regolare di un caso dai dialetti più tardi ha permesso una sua
diffusione metricamente conveniente nel Kunstsprache
nel singolare e negli usi genitivo e locativo. Dal momento che l’epica può
esprime il ‘luogo verso il quale’ sia con il dativo locativo che con il
genitivo locativo (partitivo), spesso non è chiaro quale dia l’equivalenza
grammaticale della terminazione in –φι. Τιτύσκομαι in particolare si costruisce
generalmente con il genitivo. Χαλκόφι (351) è chiaramente un singolare
genitivo. Ci sono poi alcuni esempi di –φι come terminazione di caso di radice
in –o nel miceneo (Cnosso), ma questa
estensione del suffisso è principalmente un risultato della Kunstsprache.
L’Iliade non ha esempi di –όφι estratto da una radice in –o ed estesa a radici in consonante (4x nell’Odissea).
[7] Si veda
8.83, ἄκρην κὰκ κορυφήν.
[8] Vedi
5.344.
[9] Verso
formulare: δῖος / αὐτὰρ Ἀλέξανδρος Ἑλένης πόσις ἠϋκόμοιο.
[10] Per
quanto riguarda la tomba di Ilo (versi 371-2), si veda anche il verso 166. La
battaglia si è ora spostata indietro verso le navi achee. I tumuli tombali in
Omero sono semplici memoriali, senza alcuna aura divina: di conseguenza sono
trattati con assoluta naturalezza come pratici punti di riferimento (23.331),
punti di osservazione (2.793), o luoghi dove si svolgono combattimenti. Il
verso espande il verso 166 (οἳ δὲ παρ᾽ Ἴλου σῆμα παλαιοῦ Δαρδανίδαο), con un
riaggiustamento degli epiteti. Qui δημογέροντος, ‘anziano del popolo’, non è
quindi una descrizione tradizionale di Ilo, un antenato della linea dinastica
reale di Troia, per il quale sarebbe poco appropriato se interpretato alla
lettera: si veda 3.146-9.
[11] Si noti
376 = 5.18 = 16.480 (dal secondo piede). from 2nd foot). Βάλεν si costruisce
con ταρσὸν nel verso successivo.
[12] Vedi
nota a 3.173.
[13] Si veda
1.314 per βάλλω con εἰς e l’accusativo.
[14]
Dobbiamo questa interpretazione ad Aristarco (Arn/A) e ai Lexica, oltre che
all’uso di un termine simile, κεροπλάστης, “acconciare i capelli a forma di
corna”, in Archiloco. L’uso omerico del termine κέρας non aiuta in quanto
indica sempre l’oggetto “corno” o il materiale, mai qualcosa fatto di corno o
simile al corno. In 3.17 Paride viene descritto come un damerino anche sul
campo di battaglia.
[15] In
385-95, le parole di Diomede costituiscono una eloquente espressione del
disprezzo dell’aristocratico - che combatte con la lancia - verso coloro che
combattono a distanza (e spesso in modo anonimo) con l’arco. Questo tipo di
sentimento è tipico dell’Iliade, dove tra gli eroi che in qualche modo si
distinguono (anche se solo in modo modesto) solo Pandaro, Paride, Teucro e
talvolta Merione combattono con l’arco. Pandaro spiega questo con la mancanza
di un carro (5.201-5). L’attitudine dell’Odissea a questo proposito (si veda
per esempio 8.215 sgg.) è più indulgente.
A proposito del verso 395, si veda 162: intorno a lui
sono gli uccelli, e in questo modo viene privato degli onori funebri e del
compianto della donne.
[16] I versi
399-400 sono formulari: si veda 273-4.
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