383
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383 ὣς εἰπὼν
ποδὸς[1]
ἕλκε κατὰ κρατερὴν ὑσμίνην
Così avendo parlato (lo) trascinava (da ἕλκω, con il
genitivo partitivo) per un piede in mezzo alla dura battaglia
384 ἥρως
Ἰδομενεύς: τῷ δ᾽ Ἄσιος[2]
ἦλθ᾽ ἐπαμύντωρ
l’eroe Idomeneo: come difensore (da ἐπαμύντωρ , ορος, ὁ)
venne (da ἔρχομαι, con il dativo τῷ) a lui Asio
385 πεζὸς
πρόσθ᾽ ἵππων: τὼ δὲ πνείοντε κατ᾽ ὤμων
a piedi, davanti ai
cavalli; questi due, sbuffando (da πνέω) sopra le (sue) spalle,
386 αἰὲν
ἔχ᾽ ἡνίοχος θεράπων[3]:
ὃ δὲ ἵετο θυμῷ
sempre teneva, guidava il cocchiere
scudiero: egli nel cuore bramava (da ἵημι: al medio “mi metto in moto;
mi affretto; mi slancio”, quindi metaforicamente “bramo; desidero; aspiro”,
con l’infinito)
387 Ἰδομενῆα
βαλεῖν: ὃ δέ μιν φθάμενος βάλε δουρὶ
colpire Idomeneo; quello però lo colpì colpiva (da βάλλω ,
con il doppio accusativo della persona e della parte) per primo (da φθάνω, in
Ep. φθάμενος è utilizzato, come qui, come un avverbio riferito ad un verbo
principale) con la lancia
388 λαιμὸν
ὑπ᾽ ἀνθερεῶνα, διὰ πρὸ δὲ χαλκὸν ἔλασσεν.
alla gola (da λαιμός , ὁ)
sotto il mento (da ἀνθερεών , ῶνος, ὁ); tutto attraverso (da διὰ πρό usato
assoluto con avverbio: si veda 5.538 e 4.138) passò, penetrò (da ἐλαύνω), il
bronzo.
389 ἤριπε
δ᾽ ὡς ὅτε τις δρῦς ἤριπεν ἢ ἀχερωῒς
PARAGONE à
Crollò (da ἐρείπω: cfr. 4.462) come quando crolla una quercia (da δρῦς , ἡ
, gen. δρυός: acc. δρῦν , nom. pl.
δρύες) o un pioppo (da ἀχερωίς , -ίδος , ἡ)
390 ἠὲ
πίτυς βλωθρή, τήν τ᾽ οὔρεσι[4]
τέκτονες ἄνδρες
o un alto (da βλωθρός , ά, όν) pino (da πίτυς , υος, ἡ),
che sui monti gli uomini artigiani, carpentieri (da τέκτων , ονος, ὁ),
391 ἐξέταμον
πελέκεσσι νεήκεσι νήϊον εἶναι:
tagliarono (da ἐκτέμνω) con le asce (da πέλεκυς , εως,
Ion. εος , ὁ) appena affilate (da νεηκής, ές), per essere (da νήιος, η, ον,
scil. δόρυ νήιον);
392 ὣς ὃ
πρόσθ᾽ ἵππων καὶ δίφρου κεῖτο τανυσθεὶς
così quello rimaneva (da κεῖμαι) disteso (da τανύω),
davanti ai (suoi) cavalli e al carro,
393
βεβρυχὼς κόνιος δεδραγμένος αἱματοέσσης.
rantolante, gorgogliando (da βρυχάομαι), afferrando,
stringendo (da δράσσομαι , s’intende afferrando con la mano, con il genitivo
della cosa), la polvere (da κόνις , ιος, ἡ) insanguinata.
394 ἐκ
δέ οἱ ἡνίοχος πλήγη φρένας ἃς πάρος εἶχεν,
Allora il suo auriga rimase stordito, sconvolto (da ἐκπλήσσω
, in tmesi: assoluto o con φρένας), nei sensi, che prima possedeva,
395 οὐδ᾽
ὅ γ᾽ ἐτόλμησεν δηΐων ὑπὸ χεῖρας ἀλύξας
né egli ha il coraggio (da τολμάω, con l’infinito), per
fuggire (da ἀλύσκω) da sotto le mani dei nemici,
396 ἂψ ἵππους
στρέψαι[5],
τὸν δ᾽ Ἀντίλοχος μενεχάρμης
di voltare (da στρέφω) indietro i cavalli, ma il
coraggioso, valoroso, fermo nella battaglia (da μενεχάρμης , ου, ὁ, (μένω,
χάρμη)), Antiloco
397 δουρὶ
μέσον περόνησε τυχών: οὐδ᾽ ἤρκεσε θώρηξ
con la lancia nel mezzo (lo) trapassa (da περονάω)
cogliendolo; né (lo) protesse, resistette (da ἀρκέω, qui con l’accusativo) la
corazza
398
χάλκεος ὃν φορέεσκε, μέσῃ δ᾽ ἐν γαστέρι πῆξεν[6].
di bronzo che portava, che aveva indosso, e (lo) trafisse
(da πήγνυμι) in pieno ventre (da γαστήρ , ἡ, gen. έρος, γαστρός).
399 αὐτὰρ
ὃ ἀσθμαίνων εὐεργέος ἔκπεσε δίφρου[7],
A questo punto quello respirando forte, rantolando (da ἀσθμαίνω),
cade giù dal carro ben fatto (da εὐεργής , ές, (ἔργον))
400 ἵππους
δ᾽ Ἀντίλοχος μεγαθύμου Νέστορος υἱὸς
mentre Antiloco, il figlio
del magnanimo Nestore, i cavalli
401 ἐξέλασε
Τρώων μετ᾽ ἐϋκνήμιδας Ἀχαιούς.
porta via (da ἐξελαύνω, col
genitivo, per ἐκ) dai Troiani, dalle file troiane, tra gli Achei dai robusti
schinieri
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I cavalli sono sempre dietro l’eroe, che combatte a piedi
Asio (T)
Paragone
Auriga di Asio (T)
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402
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402 Δηΐφοβος
δὲ μάλα σχεδὸν ἤλυθεν[8]
Ἰδομενῆος
Deifobo si fece molto
vicino a Idomeneo,
403 Ἀσίου
ἀχνύμενος, καὶ ἀκόντισε δουρὶ φαεινῷ.
adirato, amareggiato (da ἀχεύω
ed ἀχέω, ἄχνυμαι, con il genitivo della causa), per Asio, e scaglia
(da ἀκοντίζω , (ἄκων), con il dativo dell’arma, il verbo è specifico
dell’asta) l’asta scintillante.
404 ἀλλ᾽
ὃ μὲν ἄντα ἰδὼν ἠλεύατο χάλκεον ἔγχος
Egli però vedendolo di
fronte, faccia a faccia (da ἄντα , avverbio Ep.: ἄ. ἰδεῖν), scansò (da ἀλέομαι,
con l’accusativo della cosa),
405 Ἰδομενεύς:
κρύφθη γὰρ ὑπ᾽ ἀσπίδι πάντοσ᾽ ἐΐσῃ,
Idomeneo; si coprì, si
nascose (da κρύπτω), infatti sotto lo scudo ben bilanciato,
406 τὴν ἄρ᾽
ὅ γε ῥινοῖσι βοῶν καὶ νώροπι χαλκῷ
che egli, di pelli di buoi
e di bronzo splendente, abbagliante (da νῶροψ , οπος, ὁ, ἡ, Ep. epiteto di
χαλκός),
407 δινωτὴν
φορέεσκε, δύω κανόνεσσ᾽[9]
ἀραρυῖαν:
portava lavorato, tornito,
decorato a cerchi concentrici (da δινωτός , ή, όν), adattato, fissato, teso
(da ἀραρίσκω), con due stecche (da κανών , όνος, ὁ);
408 τῇ ὕπο
πᾶς ἐάλη, τὸ δ᾽ ὑπέρπτατο χάλκεον ἔγχος,
tutto si rannicchia, si
schiaccia (da εἴλω), sotto di questo, ed essa gli passa sopra (da ὑπερπέτομαι),
la lancia in bronzo,
409 καρφαλέον
δέ οἱ ἀσπὶς ἐπιθρέξαντος ἄϋσεν
in modo secco (da καρφαλέος
, α, ον) a lui suonò (da αὔω) lo scudo mentre striscia di sopra (da ἐπιτρέχω)
410 ἔγχεος:
οὐδ᾽ ἅλιόν ῥα βαρείης χειρὸς ἀφῆκεν,
la lancia; né invano (da ἅλιος
, α, ον: all’acc. neutro come avverbio) (la) tirò, scagliò (da ἀφίημι, con il
genitivo), dal pesante braccio,
411 ἀλλ᾽
ἔβαλ᾽ Ἱππασίδην Ὑψήνορα[10]
ποιμένα λαῶν
ma colpì Ipsenore Ippaside,
figlio di Ippaso, pastore di genti,
412 ἧπαρ
ὑπὸ πραπίδων, εἶθαρ δ᾽ ὑπὸ γούνατ᾽ ἔλυσε[11].
al fegato (da ἧπαρ , ατος, τό), sotto il diaframma (da πραπίδες
, αἱ), immediatamente (da εἶθαρ, avverbio) le ginocchia si sciolgono sotto
(da ὑπολύω, in tmesi: vedi 15.581, e Odissea 14.236).
413 Δηΐφοβος
δ᾽ ἔκπαγλον ἐπεύξατο μακρὸν ἀΰσας:[12]
Deifobo si vantò (da ἐπεύχομαι) con veemenza, in modo
esagerato (da ἔκπαγλος , ον), gridando a gran voce (da αὔω):
414 ‘ οὐ
μὰν αὖτ᾽ ἄτιτος κεῖτ᾽ Ἄσιος, ἀλλά ἕ φημι
« Non davvero dunque giace senza
vendetta (da ἄτιτος , ον, (τίνω)) Asio, ma dico che lui
415 εἰς Ἄϊδός
περ ἰόντα πυλάρταο κρατεροῖο
anche se scende (alla casa) di Ade potente che tiene
chiuse le porte (da πυλάρτης , ου, ὁ, (ἀραρίσκω)),
416 γηθήσειν
κατὰ θυμόν, ἐπεί ῥά οἱ ὤπασα πομπόν ’.
gioirà (da γηθέω) nel (proprio) cuore, dal
momento che gli ho dato (da ὀπάζω) una scorta, una guida (da πομπός , ὁ,
(πέμπω)) ».
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Ipsenore (A)
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417
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417 ὣς ἔφατ᾽,
Ἀργείοισι δ᾽ ἄχος γένετ᾽ εὐξαμένοιο,
Così diceva, negli Argivi
sorse il dolore perché (quello) si vantava (da εὔχομαι),
418 Ἀντιλόχῳ
δὲ μάλιστα δαΐφρονι θυμὸν ὄρινεν:
al bellicoso Antiloco
soprattutto accendeva (da ὀρίνω);
419 ἀλλ᾽
οὐδ᾽ ἀχνύμενός περ ἑοῦ ἀμέλησεν ἑταίρου,
però, per quando
addolorato, non si dimentica di, non trascura (da ἀμελέω , con il genitivo:
in Omero sempre con la negazione, non in Odissea), il suo compagno,
420 ἀλλὰ
θέων περίβη καί οἱ σάκος ἀμφεκάλυψε.
ma di corsa (gli) viene accanto (da περιβαίνω, usato per
il guerriero che affianca un compagno caduto per proteggerlo, difenderlo), e
lo copre (da ἀμφικαλύπτω , lett. “avvolgo”: lo mette sopra, quasi intorno al
corpo, come protezione, riparo; in costruzione ἀ. τί τινι) con lo scudo.
421 τὸν
μὲν ἔπειθ᾽ ὑποδύντε δύω ἐρίηρες ἑταῖροι
Prendendolo poi sulle spalle (da ὑποδύομαι) due compagni fidati
(da ἐρίηρος , ον),
422 Μηκιστεὺς
Ἐχίοιο πάϊς καὶ δῖος Ἀλάστωρ,
Mecisteo figlio di Echio ed il divino Alastore
423 νῆας
ἔπι γλαφυρὰς φερέτην βαρέα στενάχοντα.[13]
alle navi concave trasportavano (da φέρω), mentre gemeva
(da στενάχω) forte.
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424
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424 Ἰδομενεὺς
δ᾽ οὐ λῆγε μένος μέγα, ἵετο δ᾽ αἰεὶ
Idomeneo non deponeva, non
desisteva da (da λήγω), la (sua) grande rabbia, furore (da μένος , εος, τό:
potrebbe essere interpretato – Leaf – come un accusativo di relazione), ma
sempre era bramoso (da ἵημι, metaforicamente “sono desideroso, bramoso”, con
l’infinito)
425 ἠέ
τινα Τρώων ἐρεβεννῇ νυκτὶ καλύψαι[14]
o di immergere in, coprire
con (da καλύπτω), la notte buia qualcuno dei Troiani,
426 ἢ αὐτὸς
δουπῆσαι ἀμύνων
λοιγὸν Ἀχαιοῖς.
oppure di cadere (da δουπέω)
egli stesso allontanando (da ἀμύνω, con l’acc. della persona o della cosa da
allontanare e il dat. della per la quale o dalla quale il pericolo viene
allontanato) dagli Achei la rovina, la morte.
427 ἔνθ᾽
Αἰσυήταο διοτρεφέος φίλον υἱὸν
E qui il figlio amato di
Esiete, alunno di Zeus,
428 ἥρω᾽
Ἀλκάθοον, γαμβρὸς δ᾽ ἦν Ἀγχίσαο[15],
l’eroe Alcatoo – (egli) era
genero di Anchise,
429 πρεσβυτάτην
δ᾽ ὤπυιε θυγατρῶν Ἱπποδάμειαν
e aveva preso in moglie la
maggiore delle (sue) figlie, Ippodamia,
430 τὴν
περὶ κῆρι[16]
φίλησε πατὴρ καὶ πότνια μήτηρ
che il padre e l’augusta
madre amarono con tutto il (loro) cuore
431 ἐν
μεγάρῳ: πᾶσαν γὰρ ὁμηλικίην ἐκέκαστο
nella (loro) casa; tutte le
coetanee (da ὁμηλικία , Ion. -ιη, ἡ: il gruppo delle ragazze della medesima
età, i coetanei nel loro complesso) infatti superava (da καίνυμαι, ma il ppf.
è comunemente usato con funzione di perfetto)
432 κάλλεϊ
καὶ ἔργοισιν ἰδὲ φρεσί: τοὔνεκα καί μιν
per la bellezza (da κάλλος
, εος, τό), per le opere, per la bravura (da ἔργον , τό), e per
l’intelligenza, la sensibilità (da φρήν , ἡ, gen. φρενός, pl. φρένες, gen.
φρενῶν, dat. φρεσί): e per questo lei
433 γῆμεν
ἀνὴρ ὤριστος ἐνὶ Τροίῃ εὐρείῃ:
aveva preso in moglie (da γαμέω)
l’uomo che (era) il migliore nella vasta Troia -
434 τὸν
τόθ᾽ ὑπ᾽ Ἰδομενῆϊ Ποσειδάων ἐδάμασσε
Poseidone allora lo domò,
lo fece cadere (da δαμάζω) sotto (i colpi di) Idomeneo
incantando, abbagliando (da
θέλγω), gli occhi splendenti, (gli) arrestò, inceppò (da πεδάω), le
splendide membra;
436 οὔτε γὰρ ἐξοπίσω φυγέειν δύνατ᾽ οὔτ᾽ ἀλέασθαι,
non poteva (da δύναμαι)
infatti né fuggire indietro né scansarsi, schivare (i colpi, la fine)
(da ἀλέομαι),
437 ἀλλ᾽
ὥς τε στήλην ἢ δένδρεον ὑψιπέτηλον
PARAGONE à ma come una colonna (da στήλη , ἡ) o un albero
dall’alto fogliame (da ὑψιπέτηλος , ον, Ion. ed Ep. per ὑψιπέταλος)
438 ἀτρέμας
ἑσταότα στῆθος μέσον οὔτασε δουρὶ
(lui) che stava (da ἵστημι) immobile (da ἄτρεμας ,
avverbio) colpì (da οὐτάζω, οὐτάω, “colpisco; ferisco”, con l’accusativo
della persona o della parte ferita) con la lancia nel mezzo (da μέσος , η, ον)
del petto (da στῆθος , εος, τό),
439 ἥρως
Ἰδομενεύς, ῥῆξεν δέ οἱ ἀμφὶ[19]
χιτῶνα
l’eroe Idomeneo, e strappò, perforò (da ῥήγνυμι), intorno
a lui il suo chitone (da χιτών , ῶνος, ὁ)
440 χάλκεον,
ὅς οἱ πρόσθεν ἀπὸ χροὸς ἤρκει ὄλεθρον:
bronzeo, che prima, fino ad ora teneva lontano, respingeva
(da ἀρκέω, in genere con il dativo della persona e l’accusativo della cosa:
qui la minaccia è tenuta lontana dal suo corpo, οἱ […] ἀπὸ χροὸς), la rovina,
la morte (da ὄλεθρος , ὁ), dal suo corpo;
441 δὴ
τότε γ᾽ αὖον ἄϋσεν ἐρεικόμενος περὶ δουρί.
allora però risuonò (da αὔω) in modo stridente (da αὖος ,
η, ον) squarciato (da ἐρέικω) intorno all’asta.
442 δούπησεν
δὲ πεσών, δόρυ δ᾽ ἐν κραδίῃ ἐπεπήγει,
Cadendo (da πίπτω) fece un gran fragore (da δουπέω), la
lancia si era confitta (da πήγνυμι) nel (suo) cuore),
443 ἥ ῥά
οἱ ἀσπαίρουσα καὶ οὐρίαχον πελέμιζεν
che a lui sussultando,
palpitando (da ἀσπαίρω) faceva anche vibrare (da πελεμίζω) il manico (da οὐρίαχος
, ὁ, parte terminale, impugnatura della lancia, opposta ad αἰχμή)
444 ἔγχεος:
ἔνθα δ᾽ ἔπειτ᾽ ἀφίει μένος[20]
ὄβριμος Ἄρης:
della lancia; e qui, dopo, il
forte, potente Ares portò via, fece uscire (da ἀφίημι) la forza.
445 Ἰδομενεὺς
δ᾽ ἔκπαγλον ἐπεύξατο μακρὸν ἀΰσας:
Idomeneo si vantò (da ἐπεύχομαι) con veemenza, in modo
esagerato (da ἔκπαγλος , ον), gridando a gran voce (da αὔω):
446 ‘ Δηΐφοβ᾽
ἦ ἄρα δή τι ἐΐσκομεν ἄξιον εἶναι
« O
Deifobo, davvero dunque in qualche modo riteniamo (da ἐίσκω) che sia giusto,
equo, sufficiente (da ἄξιος , ία, ιον)
447 τρεῖς
ἑνὸς ἀντὶ πεφάσθαι[21];
ἐπεὶ σύ περ εὔχεαι οὕτω.
Ucciderne (da θείνω) tre
contro (da ἀντί, con il genitivo: in Omero spesso denota una equivalenza,
come qui) uno ? Dal momento che tu davvero in questo modo ti vanti (da εὔχομαι).
448 δαιμόνι᾽[22]
ἀλλὰ καὶ αὐτὸς ἐναντίον ἵστασ᾽ ἐμεῖο,
Sciagurato (da
, però anche tu mettiti (da
ἵστημι) di fronte (da ἐναντίος , α, ον, = ἀντίος : da Omero in poi il neutro ἐναντίον
come avverbio e preposizione con il genitivo) a me,
449 ὄφρα
ἴδῃ οἷος Ζηνὸς γόνος ἐνθάδ᾽ ἱκάνω,
affinchè veda quale rampollo (da γόνος , ὁ, ed ἡ) di Zeus
giungo (da ἱκάνω) fin qui,
450 ὃς
πρῶτον Μίνωα τέκε Κρήτῃ ἐπίουρον:
(Zeus) che generò (da τίκτω) per primo Minosse guardiano
(da ἐπίουρος , ὁ = οὖρος; con il genitovo, o come qui con il dativo, nel
senso che veglia su Creta, che custodisce Creta) di Creta;
451 Μίνως
δ᾽ αὖ τέκεθ᾽ υἱὸν ἀμύμονα Δευκαλίωνα,
Minosse a sua volta generò
come figlio il perfetto Deucalione,
452 Δευκαλίων
δ᾽ ἐμὲ τίκτε πολέσσ᾽ ἄνδρεσσιν ἄνακτα
Deucalione poi generò me,
signore su molti uomini
453 Κρήτῃ
ἐν εὐρείῃ: νῦν δ᾽ ἐνθάδε νῆες ἔνεικαν
a Creta spaziosa; quindi
ora fino a qui le navi (mi) hanno portato (da φέρω , da una radice ἐνεικ-),
454 σοί
τε κακὸν καὶ πατρὶ καὶ ἄλλοισι Τρώεσσιν ’.
sciagura per te, per (tuo)
padre e per gli altri Troiani ».
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Alcatoo (T)
Paragone
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455
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455 ὣς
φάτο, Δηΐφοβος δὲ διάνδιχα μερμήριξεν[23]
Così diceva, e il figlio di Tideo è incerto, ansioso (da μερμηρίζω)
fra due possibilità (da διάνδιχα, avverbio),
456 ἤ τινά που Τρώων ἑταρίσσαιτο μεγαθύμων
se mai dovesse prendersi
come compagno (da ἑτα(ι)ρίζω) qualcuno dei Troiani magnanimi
457 ἂψ ἀναχωρήσας,
ἦ πειρήσαιτο καὶ
οἶος.[24]
ritornando (da ἀναχωρέω)
indietro, oppure provare (da πειράω) anche da solo.
458 ὧδε δέ οἱ φρονέοντι δοάσσατο[25]
κέρδιον εἶναι
E così a lui che rifletteva
sembrò (da δοάσσατο, forma omerica dell’aoristo, per lo più usata
all’impersonale) essere più conveniente (da κερδίων , ον, gen. ονος, comparativo
– senza grado positivo in uso – formato da κέρδος)
459 βῆναι
ἐπ᾽ Αἰνείαν: τὸν δ᾽ ὕστατον εὗρεν ὁμίλου
andare da Enea; lo trovò
che come ultimo della moltitudine
460 ἑσταότ᾽:
αἰεὶ γὰρ Πριάμῳ ἐπεμήνιε δίῳ[26]
stava: sempre infatti era
adirato, era in collera (da ἐπιμηνίω, con il dativo), con il divino Priamo
461 οὕνεκ᾽
ἄρ᾽ ἐσθλὸν ἐόντα μετ᾽ ἀνδράσιν οὔ τι τίεσκεν.
dal momento che non (lo)
onorava, stimava (da τίω), in alcun modo pur essendo forte, valoroso (da ἐσθλός
, ή, όν), tra gli uomini.
462 ἀγχοῦ
δ᾽ ἱστάμενος ἔπεα πτερόεντα προσηύδα:
Standogli vicino, gli diceva parole alate:
463 ‘ Αἰνεία
Τρώων βουληφόρε νῦν σε μάλα χρὴ
« O Enea, consigliere dei
Troiani, ora c’è veramente necessità che tu
464 γαμβρῷ[27]
ἀμυνέμεναι, εἴ πέρ τί σε κῆδος ἱκάνει.
venga in aiuto (da ἀμύνω,
con il dativo) di (tuo) cognato (da γαμβρός , ὁ), se in qualche modo il
dolore, il lutto (da κῆδος , εος, τό: qui nel senso di “lutto”, come in 15.245,
16.516; non nel senso attico di “parentela acquisita con matrimonio”), ti
raggiunge.
465 ἀλλ᾽ ἕπευ Ἀλκαθόῳ ἐπαμύνομεν, ὅς σε πάρος
γε
Ma segui(mi) (da ἕπομαι),
andiamo in soccorso (da ἐπαμύνω, con il
dativo della persona) di Alcatoo, che te prima, una volta, in passato,
466 γαμβρὸς
ἐὼν ἔθρεψε δόμοις ἔνι τυτθὸν ἐόντα[28]:
essendo cognato, allevò nel
(suo) palazzo, essendo piccolo (da τυτθός , όν).
467 τὸν
δέ τοι Ἰδομενεὺς δουρικλυτὸς ἐξενάριξεν ’.
Idomeneo, celebre per la lancia, te l’ha ucciso (da ἐξεναρίζω)
».
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Rivalità tra Enea e Priamo
|
La costruzione del duello di Enea con Idomeneo è strutturata
in modo netto, preciso:
·
(A) Idomeneo
rimane saldo; similitudine con un cinghiale braccato (470 sgg.);
·
(B) Egli chiama
in aiuto i compagni; lista dei loro nomi (477 sgg.);
·
(C) Suo
discorso di richiesta di aiuto (481 sgg.);
·
(B') Enea chiama
in aiuto i compagni; lista dei loro nomi (489 sgg.);
·
(A') Egli li
guida, come un ariete guida un gregge (492 sgg.).
Le similitudini all’inizio e alla fine stabiliscono una
antitesi, con la violenza della caccia al cinghiale contrapposta alla chiusura
di carattere pastorale (Fenick, Homer and
the Nibelungenlied, 37).
468
|
468 ὣς
φάτο, τῷ δ᾽ ἄρα θυμὸν ἐνὶ στήθεσσιν ὄρινε,[29]
Così diceva, e a lui scuote (da ὀρίνω) il cuore nel petto,
469 βῆ δὲ
μετ᾽ Ἰδομενῆα μέγα πτολέμοιο μεμηλώς.
e andò contro Idomeneo
molto ansioso, desideroso (da μέλω, con il genitivo della cosa) di battaglia.
470 ἀλλ᾽
οὐκ Ἰδομενῆα φόβος[30]
λάβε τηλύγετον ὥς,
PARAGONE à Ma l’impulso alla fuga (da φόβος , ὁ) non prese (da
λαμβάνω) Idomeneo come un ragazzo (da τηλύγετος , η, ον, antico epiteto epico
di incerti origine e senso),
471 ἀλλ᾽
ἔμεν᾽ ὡς ὅτε τις σῦς[31]
οὔρεσιν ἀλκὶ πεποιθώς,
ma rimaneva saldo (da μένω)
come quando sui monti un cinghiale che si fida (da πείθω) della (sua)
forza (da ἀλκί , poet. dat. di ἀλκή , ἡ),
472 ὅς τε μένει κολοσυρτὸν ἐπερχόμενον πολὺν ἀνδρῶν
che aspettava la folta
masnada, banda (da κολοσυρτός , ὁ), degli uomini che sopraggiunge,
all’assalto (da ἐπέρχομαι)
473 χώρῳ
ἐν οἰοπόλῳ, φρίσσει δέ τε νῶτον[32]
ὕπερθεν:
in una regione (da χῶρος , ὁ)
deserta, solitaria (da οἰοπόλος , ον, (οἶος, πέλομαι)), (il cinghiale) rizza
il pelo (da φρίσσω) sopra, sulla schiena;
474 ὀφθαλμὼ
δ᾽ ἄρα οἱ πυρὶ λάμπετον: αὐτὰρ ὀδόντας
gli occhi gli lampeggiano
(da λάμπω) di fuoco; e ancora i denti (da ὀδούς , όντος, ὁ)
475 θήγει,
ἀλέξασθαι μεμαὼς κύνας ἠδὲ καὶ ἄνδρας:
affila, arrota (da θήγω),
bramoso di difendersi da, di respingere (da ἀλέξω), i cani e gli uomini;
476 ὣς
μένεν Ἰδομενεὺς δουρικλυτός, οὐδ᾽ ὑπεχώρει[33],
in questo modo Idomeneo
famoso con la lancia attendeva a piè fermo, né arretrava, cedeva terreno (da ὑποχωρέω),
477 Αἰνείαν ἐπιόντα βοηθόον[34]:
αὖε δ᾽ ἑταίρους
Enea bellicoso,
soccorritore (da βοηθόος , ον, (βοή, θέω): lett. “che accorre al grido di
guerra”), che attaccava (da ἔπειμι); chiamava
(da αὔω) invece i compagni
478 Ἀσκάλαφόν
τ᾽ ἐσορῶν Ἀφαρῆά τε Δηΐπυρόν τε
guardando ad (da εἰσοράω)
Ascalafo, ad Afareo e a Deipiro,
479 Μηριόνην
τε καὶ Ἀντίλοχον μήστωρας ἀϋτῆς:
e a Merione ed Antiloco maestri
(da μήστωρ , ωρος , ὁ, (μήδομαι)) di guerra (da ἀϋτή , ῆς , ἡ: “grido di
guerra; tumulto”, ma anche “guerra; battaglia; combattimento”);
480 τοὺς
ὅ γ᾽ ἐποτρύνων ἔπεα πτερόεντα προσηύδα:[35]
ed egli esortandoli (da ἐποτρύνω)
diceva parole che volano
« Venite cari, e me (che sono) solo soccorrete,
aiutate (da ἀμύνω, con il dativo): temo (da δείδω) terribilmente
482 Αἰνείαν ἐπιόντα πόδας
ταχύν, ὅς μοι ἔπεισιν,
Enea veloce di piedi che attacca, (egli) che mi
attacca, che piomba su di me (da ἔπειμι, con il dativo),
483 ὃς
μάλα καρτερός ἐστι μάχῃ ἔνι φῶτας ἐναίρειν:
(egli) che è molto forte in battaglia ad
ammazzare (da ἐναίρω) gli uomini;
484 καὶ
δ᾽ ἔχει ἥβης ἄνθος, ὅ τε κράτος ἐστὶ μέγιστον.
e possiede il fiore della giovinezza, che è
anche la forza più grande.
485 εἰ γὰρ
ὁμηλικίη[38]
γε γενοίμεθα τῷδ᾽ ἐπὶ θυμῷ
Se infatti noi fossimo (da γίγνομαι) anche
della stessa età (da ὁμηλικία , Ion. -ιη, ἡ), oltre a questo stesso coraggio,
subito, al più presto φέρω, qui nel senso di
“riportare; ottenere; ricevere; guadagnare”) (egli) riporterebbe una grande
vittoria (da κράτος , Ion. e Ep. κάρτος , εος, τό, entrambe in Omero; qui nel
senso – frequente nel poeta – di “vittoria; sopravvento”), o (io) la
riporterei ».
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Paragone
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487
|
487 ὣς ἔφαθ᾽,
οἳ δ᾽ ἄρα πάντες[41]
ἕνα φρεσὶ θυμὸν ἔχοντες
Così diceva, e quelli, tutti, avendo un solo cuore nel
petto
488 πλησίοι
ἔστησαν, σάκε᾽ ὤμοισι κλίναντες[42].
stavano vicini, dopo avere inclinato (da κλίνω, con il
dativo) sulle spalle gli scudi.
489 Αἰνείας
δ᾽ ἑτέρωθεν ἐκέκλετο οἷς ἑτάροισι
PARAGONE à
Enea dall’altra parte incita, esorta (da κέλομαι, con il dativo) i suoi
compagni
490 Δηΐφοβόν
τε Πάριν τ᾽ ἐσορῶν καὶ Ἀγήνορα δῖον[43],
guardando a Deifobo, a Paride e al divino Agenore,
491 οἵ οἱ
ἅμ᾽ ἡγεμόνες Τρώων ἔσαν: αὐτὰρ ἔπειτα
che, insieme a lui, erano i comandanti dei Troiani; quindi
di seguito
492 λαοὶ
ἕπονθ᾽, ὡς εἴ τε[44]
μετὰ κτίλον ἕσπετο
μῆλα
seguono gli uomini, come le pecore (da μῆλον , τό) seguono
dietro l’ariete guida (da κτίλος, ὁ)
dal pascolo (da βοτάνη , ἡ (βόσκω))
per bere (da πίνω); ecco che il pastore
gioisce, è felice (da γάνυμαι), nel (suo) cuore;
494 ὣς Αἰνείᾳ
θυμὸς ἐνὶ στήθεσσι γεγήθει
così ad Enea si era rallegrato (da γηθέω) il cuore in
petto
495 ὡς ἴδε
λαῶν ἔθνος ἐπισπόμενον ἑοῖ[47]
αὐτῷ.
quando vide la massa, lo stuolo (da ἔθνος , εος, τό),
degli uomini che veniva dietro (da ἐφέπω, con il dativo) a lui medesimo.
|
Paragone
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496
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496 οἳ δ᾽
ἀμφ᾽ Ἀλκαθόῳ αὐτοσχεδὸν ὁρμήθησαν
Questi dunque sul corpo di (da ἀμφί, ma ha anche senso
causale, “per Alcatoo; per il corpo di Alcatoo”) Alcatoo si avventarono (da ὁρμάω)
nel combattimento corpo a corpo (da αὐτοσχεδόν , avverbio, in Omero sempre
riferito al combattimento ravvicinato),
497 μακροῖσι
ξυστοῖσι[48]:
περὶ στήθεσσι δὲ χαλκὸς
con le grandi, lunghe aste
(da ξυστόν , τό); intorno al corpo il bronzo
498 σμερδαλέον κονάβιζε[49]
τιτυσκομένων καθ᾽ ὅμιλον
risuonava, rimbombava (da
κοναβίζω = κοναβέω) terribilmente, paurosamente, mentre (quelli) prendevano
la mira (da τιτύσκομαι, τινος ad una persona, τινι con una cosa) attraverso
la massa
499 ἀλλήλων[50]:
δύο δ᾽ ἄνδρες ἀρήϊοι ἔξοχον ἄλλων
gli uni contro gli altri;
ma due uomini, combattivi (da Ἄρειος , ον , Ion. Ἀρήιος , η , ον) al di sopra degli altri,
500 Αἰνείας
τε καὶ Ἰδομενεὺς ἀτάλαντοι Ἄρηϊ
Enea ed Idomeneo, simili ad
Ares,
501 ἵεντ᾽
ἀλλήλων ταμέειν χρόα νηλέϊ χαλκῷ.
bramano (da ἵημι, M. tradotto
metaforicamente come “bramare; essere desideroso”) tagliare, perforare, ferire
(da τέμνω) la pelle, la carne l’uno dell’altro con il bronzo crudele,
spietato.
|
|
[1] πούς significa
la gamba insieme al piede, piuttosto che il solo piede, così come χείρ è il
braccio insieme alla mano: in greco antico come in greco moderno.
[2] Asio p
la più importante vittima di Idomeneo, dal momento che è uno dei comandanti
dell’attacco troiano (12.95 sgg.). Nel libro 12 aveva disobbedito al consigli
di Polidamente, secondo il quale i Troiani avrebbero dovuto lasciare i loro
carri dietro la trincea (12.110 sgg.). Il poeta lo disse pazzo per aver fatto
questo, pronosticando in questo modo la sua morte dovuta alla lancia di
Idomeneo. In quell’occasione la sua iniziale velocità gli aveva permesso di
conseguire un iniziale successo: entra in una porta che è ancora aperta, ma
incontra una resistenza compatta all’interno dal momento che i Greci ancora
controllano i bastioni. L’abbiamo visto per l’ultima volta in preda alla
frustrazione mentre accusava Zeus di essere un bugiardo (12.164 sgg.). Come nel
caso di Otrioneo, le pretese causa sono la giusta punizione: gli stessi cavalli
ed il carro dei quali era così orgoglioso (12.96 sg., 114), e che egli aveva
imprudentemente tenuto con lui, fatalmente impediscono i suoi movimenti, e –
quel ch’è peggio – il suo cocchiere è così sorpreso dalla sua improvvisa cadura
che viene anche lui ucciso, ed i Greci catturano i suoi preziosi destrieri.
La scena appartiene ad uno schema tipico che si
estende a 423, ma che è meno tipico di quello che per esempio Fenik ritiene.
(i)
È comune attaccare un guerriero mentre sta
trascinando via un corpo, ma solo qui e in 15.524 sgg. è l’attaccante a venire
ucciso;
(ii)
Viene mostrata in questa scena una eccezionale
ansietà da parte di Asio nell’ordinare al suo scudiero di tenere i suoi cavalli
così prossimi dietro di lui che essi soffiano sulle sue spalle (385);
Automedonte, che ha schiaccianti probabilità di essere ucciso, ordina al suo cocchiere
di fare lo stesso (ἐμπνείοντε μεταφρένῳ), in modo che possano scappare se
necessario (17.501 sg., cfr. 23.380 sg.). I cocchieri devono rimanere
abbastanza vicini, ma non troppo.
(iii)
Asio muore della stessa morte, e accompagnato
dalla stessa similitudine, di un altro importante alleato, Sarpedone.
(iv)
Fenik mette a confronto come, dopo che Menelao
ha ucciso un guerriero, Antiloco uccide il suo cocchiere quando questi cerca di
voltare il carro, e cattura i suoi cavalli (5.578 sgg.); Patroclo uccide un
cocchiere che, in preda al panico, cade dal proprio carro (16.401 sgg.).
Si noti come lo stile incalzante, conciso, con frasi
con enjambement e rapidi cambiamenti di soggetto, sottolinei la rapidità della
sua morte: potremmo dire che siamo sorpresi noi quanto lo è stato lui. È
inoltre particolarmente adatto che uno sbruffone sia colpito alla gola: si veda
5.292 sg. (Pandaro), 17.47 (Euforbo), e Od. 22.15 (Antinoo). È però difficile
vedere il significato di una analoga uccisione in 542.
[3]
Nessun’altra vittima viene lasciata senza un nome (si veda 11.328). ἡνίοχος
θεράπων compare al nominativo solo qui, mentre 3x alla fine del verso
all’accusativo (incluso 12.111, della stessa persona. Forse Ἡνίοχος oppure Θεράπων
era inteso come il nome della persona, in entrambe i casi, un’improvvisazione
basata su una comune formula: cfr. Ἀρηΐθοον θεράποντα, ovvero ἀ. Θ., in
20.487 (ma in 394 ἡνίοχος non è un nome). Così anche Tettone in 5.59 potrebbe essere
il nome di un carpentiere (cfr. Od. 8.114); un altro ἡνίοχος θεράπων è
chiamato Ἠνιοπῆα, “reggitore di redini”, in 8.120, dove Omero sembra aver avuto
qualche problema nell’inventare nomi.
[4] Si veda
la nota a 4.455.
[5] Si veda
8.168 (ἵππους τε στρέψαι).
[6] Si veda
il verso 372: muore allo stesso modo di Otrioneo.
[7] Il verso
399 è quasi coincidente con il verso 5.585 (αὐτὰρ ὅ γ᾽ ἀσθμαίνων εὐεργέος ἔκπεσε
δίφρου), dalla scena della morte di Midone, in cui troviamo ancora Antiloco: lo
iato dopo | αὐτὰρ ὃ compare 15x in Omero, ma qui ci viene espressamento detto
che Aristarco scrisse ὁ, e non ὅ γ᾽. Il verso 401 è uguale al 5.324.
[8] Si veda
5.607 (Τρῶες δὲ μάλα σχεδὸν ἤλυθον αὐτῶν): questo libro condivide varie formule
con il libro dell’aristia di Diomede.
[9] La
stgruttura di base di questo tipo di scudo – pelli di bue adornate o rivestite
di bronzo, viene spesso presupposta (per esempio in 804, 12.295 sgg., 20.275
sg.). Per quanto riguarda δινωτὴν, un letto è δινωτός in 3.391 (δινωτοῖσι
λέχεσσι), ma si veda anche il seggio “intagliato” in Od. 19.56 (δινωτὴν ἐλέφαντι
καὶ ἀργύρῳ). Non è chiaro il significato del termine δινωτός per il poeta, ma
qui forse si intende che era “adornato” o “rivestito” di cuoio e bronzo; oppure
il termine è stato reinterpretato come “decorato con cerchi concentrici”, come
molti scudi rotondi dell’VIII secolo a.C., o “lavorato al tornio” (cfr. il
termine δῖνος).
Invece le due “barre”, “stecche”, differiscono dalle
due ῥάβδοι in oro (“graffe”) intorno al bordo dello scudo circolare di
Sarpedone, che è costruito allo stesso modo (12.294-297). Lo scudo di Nestore
ha dei κανόνες in oro in 8.193, ma questo è tutto quello che ci viene detto di
essi. Lo scholio A ad 8.193 suggerisce barre incrociate ad X, e dall’arte
figurativa conosciamo scudi con due sostegni interni a forma di croce, uno
verticale ed uno orizzontale. Lo scudo a impugnatura unica, comune dal periodo
1200-700 a.C., deve avere avuto questi due sostegni. Lo scudo di Idomeneo è
rotondo e rinforzato con bronzo, quindi dev’essere stato di questo tipo. Altre
forme più tarde sono da escludersi.
Per queste ipotesi relative allo scudo di Idomeneo, si
veda Janko, ad loc. Oppure Leaf.
[10]
Ipsenore ed Ippaso sono sicuramente pure invenzioni, in un contesto di fieri
guerrieri ed aurighi. Un Ipsenore troiano muore in 5.76. Ippaso, il cui nome
compare in iscrizioni, è padre di altre vittime, che potremmo definire carne da
cannone: due Troiani ed un Peonio chiamato Apisaone (11.426 sg., 17.348). Dal
momento che 411 sg. = 17.348 sg. (ma con καὶ βάλεν [...] Ἀπισάονα), e, a
partire da ποιμένα, ricorre a 11.578 sg., di un altro Apisaone,
l’improvvisazione è palpabile.
[11] Si veda
11.579, la morte di Apisaone, uccido da Euripilo.
[12] Il
verso 413 = 445, 14.453, 14.478 (con nomi differenti); questi ultimi casi, dove
versi equivanti a 417 sg. seguono la vanteria, appartengono ancora allo schema
‘A uccide B, C mira ad A ma uccide invece D’.
[13] 420-423
= 8.331-834. Sembra improbabile (Leaf, ad loc.) che i versi siano autentici in
entrambe le scene; e sebbene il generale carattere del libro VIII ci porti
piuttosto a pensare che esse siano colà prese in prestito dal presente libro,
in questo caso la congettura sembra errata. Qui le parole βαρέα στενάχοντα sarebbero
infatti fuori posto, dal momento che Ipsenore è chiaramente immaginato essere
deceduto sul posto. Questo è evidentemente ciò che Deifobo pensa (416), è non
sarebbe secondo lo stile epico lasciare intendere che si sia sbagliato senza
dirlo esplicitamente. È evidentemente per evitare questa difficoltà che Ar.
Legge qui
Στενάχοντε. Ma la frase βαρέα στενάχων nell’Iliade
solo a proposito di guerrieri feriti (538, 14.432). D’altra parte viene
utilizzata 4x nell’Odissea a proposito di sofferenza mentale (Od. 5.420 etc.),
e lo stesso si deve dire nell’Iliade a proposito dell’espressione simile βαρὺ
στενάχων (1.364 etc.). Dunque questa considerazione da sola non è decisiva, dal
momento che non siamo in grado di dire se la lettura di Ar. sia una pura
congettura o meno. Ma dobbiamo anche considerare che non è insolito per gli
eroi omerici distaccare un paio di loro per portare alle navi il corpo di un
compagno ucciso; quando un comandante importante viene ferito, questo è
abbastanza naturale, ma quanto ad un cadavere essi lo si limitano a portarlo al
sicuro dietro le loro linee per evitare che il nemico se ne impadronisca. Anche
i successivi tre versi contengono contengono delle frasi inusuali, in modo che
il bilancio delle probabilità è decisamente a favore del ritenere l’intero
passaggio, forse da 417 fino a 426, una interpolazione molto tarda, più tarda
dell’VIII libro (Leaf).
Fenik ritiene che il poeta si sia lasciato fuorviare
dalla scena tipica che aveva in mente (forse anticipando 538), che però non
corrisponde a questo contesto; questa non sarebbe l’unica resurrezione
dell’Iliade: si vera in 643-659 quella di Pilemene, che segue il corpo del
figlio Arpalione, appena ucciso. Queste incongruenze sono decisamente a
supporto dell’opinione di Lord secondo la quale l’Iliade era un testo orale
dettato; se Omero avesse utilizzato la scrittura per migliorare il suo poema
avrebbe sicuramente eliminato questo errore.
[14] ἐρεβεννῆι
νυκτὶ καλύψαι, espressione unica evidentemente formata per analogia con 5.659 (τὸν
δὲ κατ᾽ ὀφθαλμῶν ἐρεβεννὴ νὺξ ἐκάλυψεν).
[15] È
naturalmente impossibile dire se Esiete sia lo stesso la cui tomba viene
nominata come un punto di riferimento in 2.793. Dal punto di vista grammaticca,
le costruzione di υἱόν viene dimenticata da questo punto in aventi, e viene
solo ripresa con τόν (434).
[16] Il
dativo κῆρι come avverbio, “di cuore”, “con tutto il cuore”, come in ὅν τε Ζεὺς
κῆρι φιλήσῃ (9.117); la forma περὶ κ. φιλεῖν è rafforzativa, da intendesi περί
con avverbio.
[17] Qui ὄσσε
φαεινά è modificato per declinazione e trasposizione rispetto a ὄσσε φαεινώ (6x
in Omero, per esempio 13.7 e 13.3). Si confronti ἄλκιμα δοῦρε in 11.43.
[18] La
morte di Alcatoo, genero di Anchise, corrisponde a quella di Otrioneo, mancato
genero di Priamo, nel dare a Idomeneo l’ultima parola nella serie di vanterie.
Dal momento che Alcatoo ha aiutato a guidare una colonna troiana in 12.93, è
quasi importante come Asio; entrambi vengono paragonati ad un albero (cfr.
388). Il suo necrologio (428 sgg.) ed il vivido resoconto della sua morte (434
sgg.) seguono la struttura tripartita evidenziata da C. R. Beye: (i) breve
presentazione del fatto, con indicazione del nome dell’uccisore e dell’ucciso,
(ii) biografia della vittima, e (iii) resoconto del colpo o della ferita. Ci
possono essere varianti: per esempio in 170-181 – e come spesso accade - il
terzo blocco è preceduto da una similitudine. Qui però i versi 424-426 sostituiscono
l’iniziale enunciazione della morte. La sua ‘biografia’ concerne il suo
matrimonio, come spesso accade. Dopo la caduta di tensione, l’anticlimax della
debâcle
di Otrioneo, la caduta di Alcatoo ripristina questo tema al suo consueto
livello di tragicità; la sua terribile fine aumenta l’impatto emozionale.
[19] Qui οι
deve andare con χιτῶνα, ἀμφί essendo aggiunto avverbialmente, “la sua tunica
intorno a lui”. Questa interpretazione è più omerica rispetto all’alternativa
di interpretare ἀμφί come reggente οἱ, sebbene la differenza sia minima; ἀμφί
molto raramente segue il suo caso.
[20] Ares sembra
essere considerato come uno ‘spirito della guerra’, che presiede su ogni
dettaglio e decide la sorte di ogni arma: è un’idea che si trova anche nell’uso
comune del termine Ἄρης ad indicare il corso della battaglia. Ares in questo
momento si trova però in persona sull’Olimpo, ed è all’oscuro di quanto sta
accadendo (521). Il μένος che Ares porta via non è quello di Alcatoo, ma quello
della stessa lancia: si veda l’azione di Poseidone in 562 sg. Le lancie sono
immaginate dotate di una propria volontà e di essere riluttanti a fermarsi;
esse ‘bramano assaggiare la carne (11.574). Esistono paralleli con testi del
Vicino Oriente (Griffin, Bowra). Certo questo genere di personificazioni è da
ricondurre all’animismo, all’attribuzione di qualità divine o soprannaturali ad
oggetti, luoghi o esseri materiali. Hoekstracorrettamente ritiene che le
formule che implicano queste credenze siano molto antiche. Si veda 27-31,
502-505, 11.574, 14.402-408, 14.454-457, 15.313-317, 15.539-545.
[21] Il
verbo ἐίσκω sembra implicare che Idomeneo, sprezzantemente, rifiuti l’idea che
la ricompensa sia sufficiente, e sfida Deifobo a farsi avanti e ad essere il
quarto. È possibile anche interpretare la frase in modo affermativo, nel senso
che essi pensano davvero che la ricompensa sia giusta: ma il termine τι è in
favore dell’interrogazione. La variante τί σ᾽ - τι σ(οι) ἐΐσκομεν - viene
giustamente (Janko, ad loc.) rifiutata da Aristarco: questa variante rimuove lo
iato davanti a *ϝεϝίκ-σκω (Chantraine, Dict. s.v. ἔοικα); σ᾽ può solo stare per
σοι, e l’elisione sarebbe davvero forte, sebbene possibile. Il significato di ἐίσκω,
“supporre”, si è evoluto da “paragonare, confrontare, ritenere P uguale a Q”:
si veda Od. 11.363 sg.
I tre sono Otrioneo, Asio e Alcatoo, in cambio di
Ipsenore: l’auriga di Asio, ucciso da Antiloco, è convenientemente ignorato.
Deifobo si faccia ora avanti per essere il quarto !
[22] Δαιμόνιος,
“posseduto da un demone”, è espressione così indebolita che verso chiunque
agisca in modo strano ci si rivolge in questo modo, e.g. persino Era in 4.31.
Spesso contiene tracce di ironia, come qui o in 810.
[23] Si veda
8.167 sg. con la relativa nota.
[24] Dopo
aver offerto ad Idomeneo il suo momento di gloria, Omero fa in modo che egli si
ritiri con onore. Egli affronta ora un nemico di pari abilità e valore, che
possiede in più il vantaggio della giovane età; con l’eccezione del solo
Ettore, Enea è il più duro avversario che potrebbe incontrare. Ma anche così,
Deifobo perde le spoglie che cerca di difendere. Il suo tiro con la lancia ad
un Idomeneo che si sta ritirando (516 sg.) chiude la seconda parte dell’aristia
di quest’ultimo, che i Troiani avevano iniziato andando dietro le loro linee
per cercare Enea; e anche così, ferendo Deifobo, Merione conclude il loro non
risolutivo e non chiaro duello (156 sgg.), dopo il quale, andando dietro le
linee, egli mette in moto il rientro del suo comandante nella battaglia. Questo
ferimento completa anche uno schema ad anello tra le vittime dei Cretesi:
Otrioneo (famiglia di Priamo), Asio, Alcatoo (famiglia di Enea), Enomao (al
seguito di Asio), Deifobo (famiglia di Priamo). Il duello di Idomeneo con Enea
apre anche l’indeciso combattimento annunciato in 358-360 e combattuto dai
guerrieri elencati in 478 sg. e 490; questa aristeia è così ben integrata nel
suo contesto che non possiamo dire se termini in 515, 525 o 539.
[25]
L’antico verbo δοάσσατο ricosse al di fuori di questo verso solo in 23.339; si
veda δέατο (Od. 6.242 e dialetto arcadico), δῆλος (Chantraine, Dict. s.v. δέατο). Fäsi ha notato che la
scelta della prima opzione tra due va contro il solito schema secondo il quale
viene sempre scelta la seconda (14.20-4, etc.). Quando le opzioni non vengono
presentate, ma qualcuno decide come procedere, troviamo invecec ἥδε δέ οἱ (μοι)
κατὰ θυμὸν ἀρίστη φαίνετο βουλή (8x nell’epica, per esempio Il. 2.5 e 10.17;
Od. 15.204 rende meno chiara la distinzione).
[26] Si veda
Leaf ad loc. Questa curiosa affermazione è apparentemente connessa con una
leggenda della quale troviamo tracce in 20.178-186 e 306, che fa riferimento ad
una qualche tradizione di rivalità relativamente al regno di Troia tra le due
linee della famiglia reale; una tradizione che potrebbe molto probabilmente
essere basata su fatti storici, con una famiglia che vantava di discendere da
Anchise che aveva in qualche momento deposto un’altra famiglia che vantava di
discendere da Priamo, o più probabilmente che, una volta in possesso del
comando, aveva così giustificato l’inferiorità di un ramo supposto discendente
da Priamo. Che ci fosse una leggenda relativa alla permanenza della casata di
Enea nella Troade sappiamo dai frammenti di Demetrio di Scepsi ed Ellanico. Si
noti anche l’Inno ad Afrodite (5), dove in 196 sg. Afrodite profetizza ad
Anchise σοὶ δ᾽ ἔσται φίλος υἱός, ὃς ἐν Τρώεσσιν ἀνάξει / καὶ παῖδες παίδεσσι
διαμπερὲς ἐκγεγάοντες.
Janko, ad loc., nota che Enea, comandante di una
colonna troiana, in 12.98 sg., non è più comparso da quel momento; ora che
diviene necessario, viene spiegata la sua assenza: era imbronciato perché
Priamo non gli mostrava il dovuto rispetto. Dal momento che noi non siamo a
conoscenza di come Priamo sia in difetto, deve qui trattarsi di una
improvvisazione per spiegare perché Enea si trova nelle retrovie, come il
compagno ferito di Idomeneo in 211 sg. Comunque Omero mescola questo fatto con
una tradizione relativa appunto a due rami rivali della casa reale troiana (si
veda 20.178 sgg., 302 sgg.), ma ritrae la famiglia di Enea sotto una luce
migliore di quella di Priamo. Il contrasto tra Otrioneo e Alcatoo si riflette
appunto su quello tra le due famiglie che li ammettono come membri in virtù di
un matrimonio; Enea e non Deifobo salva i Troiani dalla disgrazia.
[27] γαμβρός
qui e in 5.474 significa “cognato” (v. 429); altrove si trova sempre nel comune
significato di “genero”.
[28] Si veda
11.223: Cisse alleva il piccolo Ifidamente in casa sua.
[29] Si noti
468 = 4.208, 11.804, seguito da |βῆ […] | ἀλλ᾽. Quindi 469 = 297.
[30] In
Omero φόβος non è la paura, ma la fuga, lo scompiglio: più avanti, in 481,
Idomeneo ammette di avere paura.
[31] Si
noti, dal punto di vista metrico, come il monosillabo σῦς, cadendo alla fine
del terzo piede, crei una pausa straordinaria.
[32] Il
termine νῶτον è accusativo, accusativo interno, mentre il soggetto di φρίσσει è
σῦς, come appare anche in Od. 19.446, φρίξας εὖ λοφιήν. Φρίσσει è intransitivo.
[33] Qui οὐδ᾽
ὑπεχώρει deve intendersi parentetico, mentre Αἰνείαν è accusativo retto da μένεν.
[34] Il
termine βοηθόον ricorre in Omero solo in 17.481 (entrambe le volte con la
variante βοῆι θοόν, e nel patronimico Βοηθοΐδης in Od. 4.31, Od. 15.95, 140, che
mostra che la parole era sentita come un reale composto in un periodo
precedente. Derivato da ἐπὶ βοὴν θεῖν (Chantraine, Dict. s.v. βοή), la
sua rarità suggerisce una creazione recente.
[35] Si noti
479-480 = 93-94.
[36] Si veda
11.314, e la nota a 7.350.
[37] Qui μ᾽
= μοι, si veda 1.170, 6.165.
[38] Il
nominativo ὁμηλικίη corrisponde ad ὁμήλικες: questo uso concreto del termine è
comune, e.g. Od. 3.364 (νεώτεροι ἄνδρες, πάντες ὁμηλικίη μεγαθύμου Τηλεμάχοιο),
e di una singola persona, Od. 3.49 (ἀλλὰ νεώτερός ἐστιν, ὁμηλικίη δ᾽ ἐμοὶ αὐτῶι).
Così anche Od. 6.23, ed Od. 22.209. Corrisponde pressappoco all’espressione
inglese “A is ‘the same age’ as B”.
[39] Si veda 18.308 (ἤ κε φέρῃσι μέγα κράτος, ἦ κε
φεροίμην).
[40] Quanto
a paralleli di questa richiesta di aiuto, si veda per esempio 11.461 sgg.,
quando Odisseo αὖε δ᾽ ἑταίρους e viene paragonato ad una belva rimasta isolata,
circondata, o a 17.110-122 quando Menelao, che riceve una simile comparazione,
cerca aiuto per salvare un corpo. Idomeneo è certo realistico relativamente
alla superiorità del suo nemico e sulla ragione di ciò; la fine del suo
discorso ritorna al tema del suo inizio, all’idea di combattere da solo.
[41] La
formula ὣς ἔφαθ᾽, οἳ δ᾽ ἄρα πάντες è molto frequente in Omero, e consente di
introdurre un nuovo sviluppo dell’azione. La seconda parte del verso fonde
insieme ἕνα θυμὸν ἔχοντες (4x) con ἐνὶ φρεσὶ θυμὸς (5x in Omero).
[42] Il
verso 488 è uguale al verso 11.593: si veda anche la nota a 11.594. Qui però il
senso della formula è poco chiaro in relazione al contesto, alla situazione
specifica.
[43] Si noti
la costruzione simmetrica con il verso 478 (Ἀσκάλαφόν τ᾽ ἐσορῶν Ἀφαρῆά τε
Δηΐπυρόν τε).
[44] Enea
guida i suoi uomini come un ariete guida il gregge: κτίλος – originariamente un
aggettivo, “addomesticato; docile”, da κτι- (Chantraine, Dict. s.v.) - indica qui l’ariete guida
che conduce il gregge ad abbeverarsi dopo aver mangiato: si veda l’ariete del
Ciclope Polifemo in Od. 9.449 sgg., il primo a brucare l’erba e il primo a
raggiungere l’acqua del fiume. Poi l’eroe diviene il pastore che gioisce alla
vista: questo cambiamento di prospettiva lo rende una guida dei comandanti, un
‘pastore di popoli’. Questa tranquilla, alma similitudine riflette l’equilibrio
tra i due schieramenti, e in qualche modo è complementare alla precedente
similitudine, violenta, in cui un solo avversario ne affronta molti.
Si tratta di una similitudine ‘bilaterale’ (cfr.
12.151); la gioia del pastore, che è appena accessoria alla similitudine
introdotta prima, diventa a sua volta la base per un’altra comparazione. Friedländer
ha segnalato che questo è il solo caso in cui ὡς εἴ τε in una simillitudine
viene seguito da un indicativo: 11x non ha alcun verbo, 9x è seguito da un
ottativo e in uno (9.481) da un congiuntivo: su questa base – e sulla base di
altre minori obiezioni – Friedländer rigetta l’intera simillitudine come
interpolata: Leaf (ad loc.) non ritiene questo sufficiente. L’aoristo
indicativo dopo ὥς τε è naturalmente familiare (3.23), e l’agiunta di εἰ non ha
un reale impatto sulla questione (Lange): mette semplicemente l’azione in più
stretto rapporto con il narratore, richiamando l’attenzione su di erra come un
esempio messo avanti per essere preso in considerazione. Quindi si può dire che
ὥς τε ed ὡς εἴ τε sono forme utilizzate indifferentemente in similitudini che
non contengono un verbo finito.
[45] Qui
βοτάνης è riferito al luogo dove gli animali si nutrono. In Od. 10.411 (ἐπὴν
βοτάνης κορέσωνται) viene invece utilizzato o per indicare in senso astratto il
nutrirsi, oppure più probabilmente il cibo. Quindi Aristarco ha ritenuto
necessario interpretare qui ἐκ in senso temporale: “dopo essersi nutrite”. Ma
quest’uso della preposizione, sebbene comune nel dialetto attico, è raro in
Omero (si veda comunque 5.865, 16.365, 19.290, Od. 23.224). L’analogia con Od.
10.159 (κατήϊεν ἐκ νομοῦ ὕλης πιόμενος) è veramente decisiva in favore del
significato locale di βοτάνης qui (Leaf, ad loc.).
[46] Per la
parte finale del verso, si veda 8.559 (γέγηθε δέ τε φρένα ποιμήν).
[47] ἑοῖ è
una forma che ricorre solo in Od. 4.38 (ἅμα σπέσθαι ἑοῖ αὐτῶι). Quindi abbiamo ἐέ
(20.171, 24.134 e forse). In tutte le posizioni tranne una il pronome è
strettamente conneso con una forma di αὐτός ed è utilizzato nel senso
riflessivo più stretto. È quindi molto probabille che sia una forma enfatica
del pronome, come ἐμοί di fianco a μοι. Probabile, ma non certo.
[48] Qui ξυστόν,
6x in Omero, è un sinonimo metricamente utile di δόρυ: entrambe i termini si
riferiscono all’asta in legno levigato della lancia.
[49] Il
verbo κονάβιζε (4x), come κονάβησαν, κονάβησε, sono epicismi fossilizzati con σμερδαλέον
(13x nell’epica).
[50] ἀλλ́ηλων
è il genitivo dell’oggetto cui si mira, retto da τιτυσκομένων, precisamente
come in 6.3”, precisely as in 6.3, where see note; and so probably in 501,
though there it may be gen. after “χρόα”.
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