155
|
155 ὣς εἰπὼν
ὄτρυνε μένος καὶ
θυμὸν ἑκάστου.
Così dicendo infiammava, aumentava (da ὀτρύνω), la forza
ed il coraggio di ciascuno.
156
Δηΐφοβος[1]
δ᾽ ἐν τοῖσι μέγα φρονέων ἐβεβήκει
Fra di loro avanzava,
pensando grandi cose, Deifobo,
157 Πριαμίδης, πρόσθεν δ᾽ ἔχεν ἀσπίδα πάντοσ᾽ ἐΐσην
il figlio di Priamo, e
dinanzi teneva lo scudo da tutti lati eguale, ben bilanciato,
158 κοῦφα[2]
ποσὶ προβιβὰς καὶ ὑπασπίδια προποδίζων.
con leggerezza (da κοῦφος ,
η, ον, in Omero solo al neutro plurale come avverbio) avanzando (da προβιβάζω)
e spingendo avanti il piede (da προποδίζω , (πούς)) sotto lo scudo (da ὑπασπίδιος
, ον, (ἀσπίς), qui al neutro pl. come avverbio).
159
Μηριόνης δ᾽ αὐτοῖο τιτύσκετο δουρὶ φαεινῷ
Su di lui Merione
prendeva la mira (da τιτύσκομαι, con τινος della pers. e τινι dell’arma:
questo è il senso più frequente, ma si veda 8.41 e 13.23, ὑπ᾽ ὄχεσφι
τιτύσκετο χαλκόποδ᾽ ἵππω) con la lucida lancia
160 καὶ
βάλεν, οὐδ᾽ ἀφάμαρτε, κατ᾽ ἀσπίδα πάντοσ᾽ ἐΐσην
e lancia, e non fallisce (da ἀφαμαρτάνω), contro lo scudo
ben bilanciato
161
ταυρείην: τῆς δ᾽ οὔ τι διήλασεν, ἀλλὰ πολὺ πρὶν
di pelle di toro (da
ταύρειος , α, ον, ripetuto al verso 163, ἀσπίδα ταυρείην); ma non
passò invero attraverso (da διελαύνω) di esso, ma molto prima
162 ἐν
καυλῷ[3]
ἐάγη δολιχὸν δόρυ: Δηΐφοβος δὲ
si spezza sull’innesto (da καυλός
, ὁ) la lunga lancia; Deifobo però
163 ἀσπίδα
ταυρείην σχέθ᾽ ἀπὸ ἕο, δεῖσε δὲ θυμῷ
teneva lontano da sé lo
scudo in pelle di toro, teme in cuor (suo)
164 ἔγχος Μηριόναο δαΐφρονος: αὐτὰρ ὅ γ᾽ ἥρως
la lancia del bellicoso
Merione; allora l’eore
165 ἂψ ἑτάρων
εἰς ἔθνος ἐχάζετο, χώσατο δ᾽ αἰνῶς
immediatamente
indietreggiava (da χάζομαι) verso il gruppo (da ἔθνος , εος, τό) dei compagni,
ed è terribilmente adirato (da χώομαι, qui con il genitivo della cosa)
166 ἀμφότερον,
νίκης[4]
τε καὶ ἔγχεος ὃ ξυνέαξε.
per due ragioni, per la
vittoria (mancata) e per la lancia che si era spezzata (da συνάγνυμι).
167 βῆ δ᾽
ἰέναι παρά τε κλισίας καὶ νῆας Ἀχαιῶν
Si avvia per andare tra le
tende e le navi degli Achei,
168 οἰσόμενος
δόρυ μακρόν, ὅ οἱ κλισίηφι λέλειπτο.
per prendere (da φέρω,
part. fut. medio) la grande lancia che gli era rimasta dentro le tende.
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Paragone
L’attacco viene respinto
|
Nella sezione 169-205 che segue la sequenza di uccisioni, o androktasia, prepara la sconfitta dinale
di Ettore da parte di Aiace (14.402 sgg.) e ci mostra chi sono i principali
combattenti prima che l’attenzione di sposti ad Idomeneo ed Enea. Come osserva Fenik,
vengono mescolati due insiemi di schemi:
A. P uccide Q e cerca
di spogliarne il cadavere (Teucro uccide Imbrio);
B. R mira a P, ma lo
manca (Ettore manca Teucro);
C. R colpisce invece S
(Ettore colpisce Anfimaco);
D. R cerca di
spogliare il corpo di S (Ettore cerca di spogliare il cadavere di Anfimaco);
E.
l’attacco di R è sventato (Ettore viene respinto da Aiace);
F.
i Greci riescono ad appropriarsi di entrambe i corpi (molto
viene sviluppato qui).
A-C e D-E ricorrono in modo separato (A-B in 361 sgg.), e
l’intero blocco ricorre con varie elaborazioni: in 506-533 F è solo implicito;
D-E è sostituito in 4.473-506, 17.293-318. Queste scene hanno elementi
paralleli: il racconto della vita di Imbrio ricorda quello di Otrineo e
Simoesio (363 sgg. e 4.474 sgg.); tutti e tre i passaggi paragonano il caduto
ad un albero, sevvene in 389 sgg. la similitudine descriva Asio, ucciso in uno
stadio C (qui c’è una seconda similitudine allo stadio F). Come Imbrio,
Otrioneo è giunto a Troia per sposare una figlia di Priamo. Ascalafo, la
vittima greca in 518, è figlio di Ares, proprio come Anfimaco è qui il nipote
di Poseidone: ciascun passaggio fa riferimento al dio che viene a conoscenza
della morte di un suo discendene. Il parallelismo è poi anche verbale: 184 =
404, 503, 17.305; 187 = 17.311; con 207 si confronti 522.
169
|
169 οἳ δ᾽
ἄλλοι μάρναντο, βοὴ δ᾽ ἄσβεστος ὀρώρει.[5]
Gli altri combattevano
(da μάρναμαι), e un grido inestinguibile (da ἄσβεστος , ον, anche η, ον) si
era alzato (da ὄρνυμι).
170 Τεῦκρος
δὲ πρῶτος Τελαμώνιος ἄνδρα κατέκτα
Teucro Telamonio per primo uccide (da κατακτείνω) un uomo,
171 Ἴμβριον
αἰχμητὴν πολυΐππου Μέντορος υἱόν:[6]
il guerriero, il lanciere Imbrio, figlio di Mentore dai
molti cavalli, ricco in cavalli (da πολύϊππος, ον);
172 ναῖε
δὲ Πήδαιον πρὶν ἐλθεῖν υἷας Ἀχαιῶν,
abitava (da ναίω, con acc. del luogo) Pedeo, prima che
arrivassero i figli degli Achei,
173
κούρην δὲ Πριάμοιο νόθην ἔχε, Μηδεσικάστην:
e aveva come moglie (da ἔχω, “avere per moglie/marito”, di
solito senza γυναῖκα, ἄνδρα: cfg. 11.740) una figlia (da κόρη , ἡ, Ion. Κούρη come sempre in Omero: “figlia” se con un gen.
di nome proprio) bastarda (da νόθος , η, ον) di Priamo, Medesicasta;
174 αὐτὰρ
ἐπεὶ Δαναῶν νέες ἤλυθον ἀμφιέλισσαι,
però dopo che giunsero (da ἔρχομαι)
le navi ricurve (da ἀμφιέλισσα (ἐλίσσω), solo in questa forma
femminile: probabilmente “curve ad entrambe le estremità”: si veda 2.166) degli Achei,
175 ἂψ ἐς
Ἴλιον ἦλθε, μετέπρεπε δὲ Τρώεσσι,
ritornò indietro ad Ilio, e
si distingueva, primeggiava (da μεταπρέπω, con il dativo), tra i
Troiani,
176 ναῖε
δὲ πὰρ Πριάμῳ: ὃ δέ μιν τίεν ἶσα τέκεσσι[7].
ed abitava in casa di (da πάρ
, in Omero forma accorciata di παρά: qui col dativo and indicare che abitava
insieme a Priamo, nella sua stessa casa) Priamo: questi lo onorava (da τίω)
come i (suoi) figli (da τέκος , εος, τό, Ep. dat. pl. τέκεσσι).
177 τόν ῥ᾽
υἱὸς Τελαμῶνος ὑπ᾽ οὔατος ἔγχεϊ μακρῷ[8]
PARAGONE à Questo il figlio di Telamone sotto l’orecchio con
la lunga lancia
178 νύξ᾽,
ἐκ δ᾽ ἔσπασεν ἔγχος: ὃ δ᾽ αὖτ᾽ ἔπεσεν μελίη ὣς
trafisse, trapassò (da
νύσσω), e tirò fuori (da ἐκσπάω, cfr. ἐξέσπασε μείλινον ἔγχος in 6.65)
l’asta; quello a sua volta cade come un frassino (da μελία , Ep. μελίη , ἡ)
179 ἥ τ᾽
ὄρεος κορυφῇ ἕκαθεν περιφαινομένοιο
che sulla cima di un monte
da grande distanza visibile da tutti i lati (da περιφαίνομαι)
180 χαλκῷ
ταμνομένη τέρενα χθονὶ φύλλα πελάσσῃ:
tagliato (da τέμνω , Ion.,
Dor. ed Ep. τάμνω) dal bronzo, lasci cadere (da πελάζω) per terra le tenere, delicate (da τέρην ,
εινα, εν, gen. τέρενος, είνης, ενος; poet. femm. gen. τερένης), foglie;
181 ὣς
πέσεν, ἀμφὶ δέ οἱ βράχε τεύχεα ποικίλα χαλκῷ.
così cadde (da πίπτω), e
sopra e sotto di lui risuonarono, rimbombarono (da βραχεῖν , aoristo
senza presente in uso), le armi abilmente lavorate, cesellate (da ποικίλος ,
η, ον), nel bronzo.
182 Τεῦκρος
δ᾽ ὁρμήθη μεμαὼς ἀπὸ
τεύχεα δῦσαι[9]:
Teucro avanzò, si mise in movimento (da ὁρμάω), bramoso di
spogliarlo (da ἀποδύω, in tmesi, con il duplice accusativo della persona e
della cosa) delle armi;
183 Ἕκτωρ
δ᾽ ὁρμηθέντος[10] ἀκόντισε
δουρὶ φαεινῷ.
Ettore prese la mira (da ἀκοντίζω, con il dativo dell’arma
che si lancia: il verbo è specifico dell’asta) con l’asta lucida (da φαεινός
, ή, όν) contro di lui che avanzava.
184 ἀλλ᾽
ὃ μὲν ἄντα ἰδὼν ἠλεύατο χάλκεον ἔγχος
Egli però vedendolo di
fronte, faccia a faccia (da ἄντα , avverbio Ep.: ἄ. ἰδεῖν), scansò (da ἀλέομαι,
con l’accusativo della cosa)
185
τυτθόν: ὃ δ᾽ Ἀμφίμαχον Κτεάτου υἷ᾽ Ἀκτορίωνος
per poco (da τυτθός
, όν); egli però Anfimaco, figlio di Cteato Attoride,
186
νισόμενον πόλεμον δὲ κατὰ στῆθος βάλε δουρί:
mentre stava muovendo (da νίσσομαι, con l’accusativo del
luogo) verso la battaglia, colpì con la lancia al petto;
187
δούπησεν δὲ πεσών, ἀράβησε δὲ τεύχε᾽ ἐπ᾽ αὐτῷ.
cadendo (da πίπτω) fece un gran fragore (da δουπέω),
risuonarono (da ἀραβέω) le armi sopra di lui.
188 Ἕκτωρ
δ᾽ ὁρμήθη κόρυθα
κροτάφοις ἀραρυῖαν
189 κρατὸς ἀφαρπάξαι
μεγαλήτορος Ἀμφιμάχοιο:
Ettore avanzò, per
togliere, per strappare via (da ἀφαρπάζω, in costruzione τί τινος), dalla
testa (da κράς , forma poet. di κάρα, gen. κρατός) del magnanimo Anfimaco
l’elmo adattato, stretto (da ἀραρίσκω, con il dativo), alle tempie (da κρόταφος
, ὁ, per lo più al plurale)
190 Αἴας
δ᾽ ὁρμηθέντος ὀρέξατο δουρὶ φαεινῷ[11]
Aiace, mentre quello sta
avanzando, colpisce (da ὀρέγω, con il genitivo della persona attaccata,
quando il verbo è in senso ostile) con la lucida lancia
191 Ἕκτορος:
ἀλλ᾽ οὔ πῃ χροὸς[12]
εἴσατο, πᾶς δ᾽ ἄρα χαλκῷ
Ettore: ma in nessun punto
(una parte) della (sua) pelle era visibile, tutto invece dal bronzo
192
σμερδαλέῳ κεκάλυφθ᾽: ὃ δ᾽ ἄρ᾽ ἀσπίδος ὀμφαλὸν οὖτα,
terribile, spaventoso (da
σμερδαλέος , α, Ion. η, ον, agg. Epico), era coperto (da καλύπτω); egli
dunque colpisce (da οὐτάω) l’umbone dello scudo,
193 ὦσε
δέ μιν σθένεϊ μεγάλῳ: ὃ δὲ χάσσατ᾽ ὀπίσσω
e lo respinge (da ὠθέω) con
gran forza; quello cade indietro (da χάζω , χάζομαι) dopo, al di là (da ὀπίσω
, Ep. ὀπίσσω , con il genitivo),
194 νεκρῶν
ἀμφοτέρων, τοὺς δ᾽ ἐξείρυσσαν Ἀχαιοί.
di entrambe i cadaveri, gli
Achei li tirarono via (da ἐξερύω).
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Imbrio (T)
Paragone
Anfimaco (A)
Paragone
|
195
|
195 Ἀμφίμαχον
μὲν ἄρα Στιχίος δῖός τε Μενεσθεὺς
Anfimaco, poi, Stichio e il
divino Menesteo,
196 ἀρχοὶ
Ἀθηναίων κόμισαν μετὰ λαὸν Ἀχαιῶν:
comandanti degli Ateniesi,
portarono al sicuro (da κομίζω, il senso è quello di portare via al fine di
proteggere) in mezzo all’esercito degli Achei;
197 Ἴμβριον
αὖτ᾽ Αἴαντε μεμαότε
θούριδος ἀλκῆς
PARAGONE à Imbrio invece gli Aiaci, bramosi della forza (da ἀλκή
, ἡ) impetuosa (da θοῦρις , ιδος, ἡ, femm. di θοῦρος , ον, (θρῴσκω): che
spinge alla battaglia),
198 ὥς
τε δύ᾽ αἶγα λέοντε
κυνῶν ὕπο καρχαροδόντων
199 ἁρπάξαντε φέρητον ἀνὰ ῥωπήϊα
πυκνὰ
come quando due leoni dopo
aver sottratto, portato via (da ἁρπάζω), una capra da sotto cani dai denti
aguzzi (da καρχαρόδους , ὁ, ἡ, gen. -όδοντος, cfr. anche 10.360, sempre
attributo di cani) la portano fin sopra fitti arbusti, cespugli (da ῥωπήιον,
ου, τό),
200 ὑψοῦ
ὑπὲρ γαίης μετὰ γαμφηλῇσιν ἔχοντε,
tenendo(la) in alto sopra
la terra tra le fauci, le mascelle (da γαμφηλαί , ῶν, αἱ),
201 ὥς ῥα
τὸν ὑψοῦ ἔχοντε δύω Αἴαντε
κορυστὰ
così dunque lui,
tenendo(lo) in alto, i due Aiaci protetti dall’elmo (da κορυστής , οῦ, ὁ)
202
τεύχεα συλήτην: κεφαλὴν δ᾽ ἁπαλῆς ἀπὸ δειρῆς
spogliavano (da συλάω,
con il doppio accusativo della persona e della cosa) delle armi; e la testa
via dal tenero (da ἁπαλός , ή, όν) collo (da δειρή , ἡ)
203
κόψεν Ὀϊλιάδης κεχολωμένος Ἀμφιμάχοιο,[13]
mozzò (da κόπτω) il figlio di Oileo, adirato, furioso (da χολόω,
con il genitivo), per Anfimaco,
204 ἧκε
δέ μιν σφαιρηδὸν ἑλιξάμενος δι᾽ ὁμίλου:
e la scagliò, la gettò (da ἵημι),
tra la massa rotolando(la) (da ἑλίσσω oppure ἐλίσσω, la seconda forma più
frequente nei codici omerici) come una palla (da σφαιρηδόν , avverbio);
205 Ἕκτορι
δὲ προπάροιθε ποδῶν πέσεν ἐν κονίῃσι.[14]
venne a cadere ad Ettore
davanti (da προπάροιθε , davanti a vocale πρόπαρθεν: avverbio, oppure
preposizione con il genitivo, come qui) ai piedi, in mezzo alla polvere.
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Paragone
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206
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206 καὶ
τότε δὴ περὶ κῆρι Ποσειδάων ἐχολώθη
E allora nel
profondo del cuore (da κῆρ , τό , il dativo κῆρι come avverbio, “di cuore”,
ma περὶ κ. come forma rafforzata, cfr. 13.430) Poseidone si adirò (da χολόω,
con il genitivo della causa)
207 υἱωνοῖο[15]
πεσόντος ἐν αἰνῇ δηϊοτῆτι,
per il nipote (da υἱωνός , ὁ)
caduto in un terribile, mortale (da αἰνός = δεινός), duello,
combattimento (da δηιοτής , ῆτος , ἡ),
208 βῆ δ᾽
ἰέναι παρά τε κλισίας καὶ νῆας Ἀχαιῶν
e muove per andare tra le
tende e le navi degli Achei,
209 ὀτρυνέων
Δαναούς, Τρώεσσι δὲ κήδεα τεῦχεν.
per incitare (da ὀτρύνω) i
Danai, per i Troiani preparava, costruiva (da τεύχω), invece lutti,
sciagure (da κῆδος , εος, τό, (κήδω)).
210 Ἰδομενεὺς
δ᾽ ἄρα οἱ δουρικλυτὸς ἀντεβόλησεν
Ed ecco che con lui si
incontrò (da ἀντιβολέω , con il dativo: “incontrarsi”, spec. in battaglia)
Idomeneo, celebre con la lancia,
211 ἐρχόμενος
παρ᾽ ἑταίρου[16],
ὅ οἱ νέον ἐκ πολέμοιο
mentre viene avanti da
presso (da παρά, con il genitivo: il senso è che Idomeneo ha appena lasciato
un compagno) un compagno, che a lui appena ora dalla battaglia
212 ἦλθε
κατ᾽ ἰγνύην βεβλημένος ὀξέϊ χαλκῷ.
era giunto, colpito, ferito
al polpaccio (da ἰγνύα , Ion. ἰγνύη , ἡ) dal bronzo affilato.
213 τὸν
μὲν ἑταῖροι ἔνεικαν, ὃ δ᾽ ἰητροῖς ἐπιτείλας
Lo avevano portato (da φέρω,
ἐνεικ-) i compagni, ed egli, date disposizioni (da ἐπιτέλλω) ai medici,
214 ἤϊεν
ἐς κλισίην: ἔτι γὰρ πολέμοιο μενοίνα
215 ἀντιάαν:
se ne andava (da εἶμι) alla
tenda; ancora infatti bramava (da μενοινάω, con l’infinito presente) prendere
parte (da ἀντιάω, con il genitivo della cosa) alla battaglia;
215 τὸν
δὲ προσέφη κρείων ἐνοσίχθων
a lui parlava, si rivolgeva (da πρόσφημι), il signore (da κρείων
, οντος, ὁ) scuotitore della terra
216 εἰσάμενος
φθογγὴν Ἀνδραίμονος υἷϊ Θόαντι[17]
somigliando (da εἴδομαι, con il dativo) nella voce (da φθογγή
, ἡ, forma poet. per φθόγγος) a Toante, figlio di Andremone,
217 ὃς
πάσῃ Πλευρῶνι καὶ αἰπεινῇ Καλυδῶνι[18]
che in tutta Pleurone e a Calidone scoscesa, rocciosa,
218 Αἰτωλοῖσιν
ἄνασσε, θεὸς δ᾽ ὣς τίετο δήμῳ[19]:
regnava (da ἀνάσσω, in Omero per lo più con il dativo, ma
anche col genitivo come in 10.33) sugli Etoli, e come un dio era onorato dal
popolo:
219 ‘ Ἰδομενεῦ
Κρητῶν βουληφόρε ποῦ τοι ἀπειλαὶ
220 οἴχονται,
« O Idomeneo, consigliere dei Cretesi, dove ti
sono andate a finire (da οἴχομαι) le minacce, le vanterie (da ἀπειλή , ἡ, per
lo più al pl.),
220 τὰς
Τρωσὶν ἀπείλεον υἷες
Ἀχαιῶν; ’.
che contro i Troiani lanciavano (da ἀπειλέω,
con il dativo della persona) i figli degli Achei ? ».
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221
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221 τὸν
δ᾽ αὖτ᾽ Ἰδομενεὺς Κρητῶν ἀγὸς ἀντίον ηὔδα:[20]
A lui poi Idomeneo, capo (da ἀγός , οῦ, ὁ) dei Cretesi,
diceva (da αὐδάω) in risposta:
222 ‘ ὦ
Θόαν οὔ τις ἀνὴρ νῦν γ᾽ αἴτιος, ὅσσον ἔγωγε
« O Toante, in questo
momento non sono in alcun modo un uomo responsabile (di qualche cosa),
colpevole (da αἴτιος , α, ον), per quanto (da ὅσος , Ep. ὅσσος , η, ον, entrambe
le forme in Omero ed Esiodo: uso avverbiale ὅσον e ὅσα, qui con l’indicativo)
io stesso
223 γιγνώσκω:
πάντες γὰρ ἐπιστάμεθα πτολεμίζειν.
sappia: tutti infatti
sappiamo (da ἐπίσταμαι) combattere.
224 οὔτέ τινα δέος ἴσχει ἀκήριον[21]
οὔτέ τις ὄκνῳ
né (da οὔτε (οὐ, τε), congiunzione di frasi negative, come
τε congiunge frasi positive: raro al tempo presente) una vile (da ἀκήριος ,
ον, (κῆρ)) paura trattiene (da ἴσχω) alcuno, nè questi all’esitazione, alla
paura (da ὄκνος , ὁ)
225 εἴκων
ἀνδύεται πόλεμον κακόν: ἀλλά που οὕτω
cedendo (da εἴκω, con il dativo) si ritira (da ἀναδύνω, ἀναδύομαι,
“ritirarsi da”, con l’accusativo) dalla guerra terribile, malvagia; ma in
qualche modo così
226 μέλλει
δὴ φίλον εἶναι ὑπερμενέϊ Κρονίωνι
è destino che sia caro al Cronide potentissimo,
227 νωνύμνους
ἀπολέσθαι ἀπ᾽ Ἄργεος ἐνθάδ᾽ Ἀχαιούς[22].
che qui, lontano da Argo, ingloriosi, senza gloria, senza
nome (da νώνυμνος, ον, epico per νώνυμος, utilizzato quando la penultima
sillaba deve essere breve), periscano gli Achei.
228 ἀλλὰ
Θόαν, καὶ γὰρ τὸ πάρος μενεδήϊος ἦσθα,
Ma, o Toante, dal momento che anche prima eri impavido,
saldo (da μενεδήιος, ον),
229 ὀτρύνεις
δὲ καὶ ἄλλον ὅθι μεθιέντα ἴδηαι:
e inciti, sproni anche un
altro quando dovessi vederlo (da εἶδον) mentre cede, rinuncia (da μεθίημι):
230 τὼ νῦν
μήτ᾽ ἀπόληγε κέλευέ τε φωτὶ ἑκάστῳ ’.
per questo (da τῷ, τῶ : dat. di τό) ora non rinunciare,
non desistere, (da ἀπολήγω) e da’ ordini a ciascun uomo, a tutti ».
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231
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231 τὸν
δ᾽ ἠμείβετ᾽ ἔπειτα Ποσειδάων ἐνοσίχθων:[23]
A lui allora rispondeva Poseidone, scuotitore della terra:
232 ‘ Ἰδομενεῦ
μὴ κεῖνος ἀνὴρ ἔτι
νοστήσειεν
« O Idomeneo, quell’uomo
non possa più fare ritorno (da νοστέω)
233 ἐκ
Τροίης, ἀλλ᾽ αὖθι κυνῶν μέλπηθρα γένοιτο,
da Troia, ma qui divenga
gioco, divertimento, passatempo, preda (da μέλπηθρον, ου, τό / μέλπηθρα , τά,
(μέλπω), in Omero solo nell’Iliade e sempre al plurale, riferito a corpi
insepolti), per i cani,
234 ὅς τις ἐπ᾽ ἤματι τῷδε ἑκὼν
μεθίῃσι μάχεσθαι.
colui che volendo, di
proposito, in questo stesso giorno rinunciasse (da μεθίημι) a combattere.
235 ἀλλ᾽
ἄγε τεύχεα δεῦρο λαβὼν
ἴθι: ταῦτα δ᾽ ἅμα χρὴ
Ma suvvia dopo aver qui
ripreso le (tue) armi, vai, muoviti; per questo (da οὗτος , αὕτη, τοῦτο, gen.
τούτου, ταύτης, τούτου; ταῦτα utilizzato avverbialmente, “quindi, per questo,
...”) immediatamente è necessario
236
σπεύδειν, αἴ κ᾽ ὄφελός[24]
τι γενώμεθα καὶ δύ᾽ ἐόντε.
muoversi, sbrigarsi, far
presto (da σπεύδω), se forse, in qualche modo, possiamo essere utili, pur
essendo in due.
237 συμφερτὴ
δ᾽ ἀρετὴ πέλει ἀνδρῶν καὶ μάλα λυγρῶν,
C’è del valore (da ἀρετή , ἡ)
congiunto, che deriva dall’unione (da συμφερτός , ή, όν), degli uomini, anche
degli (uomini) molto vili,
238 νῶϊ
δὲ καί κ᾽ ἀγαθοῖσιν ἐπισταίμεσθα μάχεσθαι ’.
ma noi due anche contro i
migliori sapremmo, saremmo capaci di (da ἐπίσταμαι), fare battaglia ».
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Il dialogo tra Idomeneo e Merione
Ritornando al campo di battaglia Idomeneo incontra il suo
subordinato Merione, che spiega che in quel momento si trova nelle retroguardie
per procurarsi una nuova lancia. Idomeneo gliene offre una ed entrambe, sulla
difensiva, riaffermano il proprio coraggio. Alla fine decidono di combattere
sulla sinistra, e rientrano in battaglia insieme. I due fronti sono poi
impegnati in furiosi e ravvicinati combattimenti dal momento che gli obiettivi
di Zeus e di Poseidone sono opposti, e in conflitto.
Il dialogo in 246-297 è stato accusato di essere irrilevante
e noioso: critoco il giudizio di Fenik, mentre Shipp nota e sottolinea elementi
linguistici ‘tardi’. Willcock segnala correttamente quanto la situazione sia
comica: ciascuno dei due guerrieri, sorpreso inaspettatamente nelle retrovie in
una crisi come quella che l’esercito greco sta vivendo, è consapevole di quello
che l’altro deve senz’altro pensare, e quindi, senza alcuna palese scusa o
accusa, riafferma le sue credenziali di eroismo. Idomeneo allora allevia il
loro mutuo imbarazzo con una battuta diremmo ‘da caserma’ su Merione e la sua
lancia (290 sg.), che egli ha rotto in 156 sgg. Il loro incontro ricorda in
modo divertente quello di ‘Toante’ (Poseidone) ed Idomeneo. Questa scena
introduce anche la loro aristia congiunta, e il poeta accresce le nostre
aspettative nel loro coraggio, cosicchè attendiamo con crescente suspense il loro ritorno in battaglia.
Abbiamo quindi una serie di cinque discorsi, che sono meno
strani di quanto si possa pensare, e sviluppano un limitato numero di temi (in
caratteri italici nello schema che
segue) con variatio e cambi di
prospettiva, una comune tecnica omerica:
1.
Idomeneo: l’assenza dalla battaglia di Merione
(249 sg,)
[da cui un tacito
interrogativo relativamente al coraggio
di Merione]
possibili ragioni per la sua assenza (251 sg.)
[da cui un tacito
interrogativo in merito alla assenza
di Idomeneo]
il coraggio di Idomeneo (252 sg.)
2.
Merione: le
vere ragioni per la sua assenza – la
sua lancia (255-258)
3.
Idomeneo: Merione
può prendere una lancia tra i trofei di Idomeneo (260-262),
che sono il
risultato del suo coraggio (262 sg.),
che dà luogo a trofei (264 sg.)
4.
Merione: Merione
ha ugualmente dei trofei (267 sg.)
che derivano dal suo coraggio, come sa bene Idomeneo (269-273)
5.
Idomeneo: Sì,
il coraggio di Merione è eccezionale
(275-291).
Ma essi dovrebbero ritornare alla battaglia: Merione vada
dunque a prendersi una lancia
(292-294).
Il tema dei discorsi 1-2 viene riassunto in 5, e ciascuno
viene trattato dal punto di vista di entrambe gli uomini. Lo schema viene
completato quando Idomeneo con cortesia riconosce il coraggio di Merione, e quindi
trasforma le due domande di apertura in un invito all’azione.
Questi versi sono una divertente eco di 210 e 214 sg. Merione
si trova ora nella stessa imbarazzante posizione nei confronti di Idomeneo,
nella quale Idomeneo si era trovato nei contronti di ‘Toante’ (Poseidone).
Idomeneo è ancora nei pressi della sua tenda, mentre Merione ne è
sorprendentemente molto lontano: si tratta sicuramente di una improvvisazione,
così Idomeneo può offrirgli la sua lancia. Ricordiamo che Merione non è solo un
servitore, un attendente di Idomeneo (θεράπων), ma il suo secondo in comando
(cfr. 2.650 sg. e 4.253 sg.), come Patroclo o Stenelo (2.563 sg. e 4.365-367).
239
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239 ὣς εἰπὼν
ὃ μὲν αὖτις ἔβη
θεὸς ἂμ πόνον ἀνδρῶν:
Così avendo parlato, quello, il dio, ritornò indietro tra
la sofferenza, la fatica, la guerra (da πόνος , ὁ: con ἀνά - ἄμ davanti a
labiale – e l’accusativo), degli uomini;
240 Ἰδομενεὺς
δ᾽ ὅτε δὴ κλισίην
εὔτυκτον ἵκανε
Paragone à
Idomeneo invece quando raggiungeva la tenda ben costruita
241
δύσετο τεύχεα καλὰ[25]
περὶ χροΐ, γέντο δὲ δοῦρε,
indossò le belle armi intorno al corpo, prese (da γέντο ,
= ἔλαβεν; verbo in 3° persona che si trova solo in questa forma) due lance,
242 βῆ δ᾽
ἴμεν ἀστεροπῇ ἐναλίγκιος, ἥν τε Κρονίων
e si avviò dunque per andare simile alla folgore (da ἀστεροπή
, ἡ), che il Cronide
243 χειρὶ
λαβὼν ἐτίναξεν ἀπ᾽ αἰγλήεντος Ὀλύμπου
tenendo, brandendo con la mano scuote (da τινάσσω)
dall’Olimpo luminoso (da αἰγλήεις , εσσα, εν),
244
δεικνὺς σῆμα βροτοῖσιν: ἀρίζηλοι δέ οἱ αὐγαί:
segno manifesto, evidente (da δείκνυμι), ai mortali:
chiari, lampanti (da ἀρίζηλος , ον), (sono) i suoi raggi (da αὐγή , ἡ);
245 ὣς
τοῦ χαλκὸς ἔλαμπε περὶ στήθεσσι θέοντος.
così il bronzo brillava, lampeggiava (da λάμπω) sul petto,
intorno al petto di lui che correva.
246
Μηριόνης δ᾽ ἄρα οἱ θεράπων ἐῢς ἀντεβόλησεν
Ed ecco che a lui Merione, il valoroso, coraggioso
attendente, scudiero, veniva incontro (da ἀντιβολέω , con il dativo:
“incontrarsi con”, spec. in battaglia),
247 ἐγγὺς
ἔτι κλισίης: μετὰ γὰρ δόρυ χάλκεον ᾔει
ancora nei pressi della tenda: andava infatti alla ricerca
(da μέτειμι , con tmesi: regge l’accusativo della cosa) di una lancia di
bronzo,
248 οἰσόμενος:
τὸν δὲ προσέφη σθένος Ἰδομενῆος[26]:
per prender(la) (da φέρω, part. fut. medio); a lui
parlava, si rivolgeva (da πρόσφημι), la forza di Idomeneo:
249 ‘ Μηριόνη
Μόλου[27]
υἱὲ πόδας ταχὺ φίλταθ᾽ ἑταίρων
« Merione, figlio di Molo,
veloce di piedi, carissimo tra i compagni,
250 τίπτ᾽
ἦλθες πόλεμόν τε λιπὼν καὶ δηϊοτῆτα[28];
perchè sei venuto,
abbandonando il compattimento e la lotta, le ostilità, la lotta ?
251 ἠέ
τι βέβληαι, βέλεος δέ σε τείρει ἀκωκή,
Forse qualcosa (ti) ha
colpito, ferito (da βάλλω), la punta di una freccia ti opprime, ti affligge
(da τείρω),
252 ἦέ
τευ ἀγγελίης[29]
μετ᾽ ἔμ᾽ ἤλυθες; οὐδέ τοι αὐτὸς
oppure vieni (da ἔρχομαι)
da me come messaggero (da ἀγγελίης , ου , ὁ) di qualcosa ? Ti
dico che, veramente, io non
253 ἧσθαι
ἐνὶ κλισίῃσι λιλαίομαι, ἀλλὰ μάχεσθαι ’.
desidero, voglio (da λιλαίομαι,
con l’infinito) restarmene seduto (da ἧμαι) nella tenda, ma (voglio)
combattere ».
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Paragone
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254
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254 τὸν
δ᾽ αὖ Μηριόνης πεπνυμένος ἀντίον ηὔδα:
A lui di ritorno il saggio
(da πέπνυμαι) Merione diceva in risposta:
255 ‘ Ἰδομενεῦ,
Κρητῶν βουληφόρε χαλκοχιτώνων,
« O
Idomeneo, consigliere dei Cretesi vestiti di bronzo,
256 ἔρχομαι
εἴ τί τοι[30]
ἔγχος ἐνὶ κλισίῃσι λέλειπται
vengo, se a te una lancia è
rimasta nella tenda,
257 οἰσόμενος:
τό νυ γὰρ κατεάξαμεν ὃ πρὶν ἔχεσκον
a prenderla: ora infatti
quella, che prima avevo (da ἔχω), abbiamo fracassato (da κατάγνυμι)
258 ἀσπίδα
Δηϊφόβοιο βαλὼν ὑπερηνορέοντος ’.
scagliando(la) (da βάλλω,
con l’accusativo della persona o della cosa contro cui si lancia) contro lo
scudo del superbo (da ὑπερηνορέων , οντος, ὁ: nonostante derivi da ἠνορέη = ἀνδρεία,
il termine ha sempre senso negativo) Deifobo ».
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259
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259 τὸν
δ᾽ αὖτ᾽ Ἰδομενεὺς Κρητῶν ἀγὸς ἀντίον ηὔδα:
A lui poi Idomeneo, capo (da ἀγός , οῦ, ὁ) dei Cretesi,
diceva (da αὐδάω) in risposta:
260 ‘ δούρατα
δ᾽ αἴ κ᾽ ἐθέλῃσθα καὶ ἓν καὶ εἴκοσι δήεις
« Lance, se (ne) desideri
(da ἐθέλω), sia una che venti
261 ἑσταότ᾽
ἐν κλισίῃ πρὸς ἐνώπια παμφανόωντα
appoggiate, in piedi (da ἵστημι),
nella tenda contro le pareti (da ἐνώπια , τά: vedi 8.435, e in effetti le
tendenell’accampamento greco sono di solito immaginate negli stessi termini
di abitazioni solide) tutte scintillanti, splendenti,
262
Τρώϊα, τὰ κταμένων ἀποαίνυμαι: οὐ γὰρ ὀΐω[31]
(lance) troiane, che io
strappo via, tolgo (da ἀπαίνυμαι , = ἀποαίνυμαι , in costruzione τί τινος), ai caduti (da κτείνω):
io infatti non credo
263 ἀνδρῶν
δυσμενέων ἑκὰς ἱστάμενος πολεμίζειν.
di combattere stando lontano
(da ἑκάς , preposizione con il genitivo) dai guerrieri nemici, ostili (da
δυσμενής , ές, (μένος)).
264 τώ μοι δούρατά τ᾽ ἔστι καὶ ἀσπίδες ὀμφαλόεσσαι
Per questo posseggo lance, scudi ombelicati,
265 καὶ
κόρυθες καὶ θώρηκες[32]
λαμπρὸν γανόωντες ’.
elmi e corazze che scintillano
(da γανάω, in Omero sempre in part. epico) in modo brillante ».
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266
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266 τὸν
δ᾽ αὖ Μηριόνης πεπνυμένος ἀντίον ηὔδα:
A lui di rimando il saggio
(da πέπνυμαι) Merione diceva in risposta:
267 ‘ καί
τοι ἐμοὶ παρά τε κλισίῃ καὶ νηῒ μελαίνῃ
« Anch’io, ti dico, presso
la tenda e la nera nave
268 πόλλ᾽
ἔναρα Τρώων: ἀλλ᾽ οὐ σχεδόν ἐστιν ἑλέσθαι.
(ho) molti trofei, armi,
spoglie (da ἔναρα , ων, τά, (ἐναίρω), solo al plurale), di Troiani: ma
non è vicino per andar(le) a prendere (da αἱρέω).
269 οὐδὲ
γὰρ οὐδ᾽[33]
ἐμέ φημι λελασμένον ἔμμεναι ἀλκῆς,
Neanche (io) infatti, ti
dico che io non dimentico (da λανθάνω, con il genitivo della cosa: lett. “non
me ne sto dimentico di”) il coraggio, del valore,
270 ἀλλὰ
μετὰ πρώτοισι μάχην ἀνὰ κυδιάνειραν
ma in mezzo ai primi
durante il combattimento glorioso, che onora gli uomini (da κυδιάνειρα
, ἡ, (κῦδος)),
271 ἵσταμαι,
ὁππότε νεῖκος ὀρώρηται πολέμοιο.
me ne sto, allorquando si
levi (da ὄρνυμι) la furia della battaglia.
272 ἄλλόν
πού τινα μᾶλλον Ἀχαιῶν χαλκοχιτώνων
273 λήθω[34]
μαρνάμενος, σὲ δὲ ἴδμεναι αὐτὸν ὀΐω ’.
Mentre sto combattendo (da μάρναμαι)
in qualche modo potrei sfuggire (da λανθάνω) piuttosto a qualcun altro tra
gli Achei dai chitoni di bronzo, ma credo che tu stesso mi veda ».
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274
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274 τὸν
δ᾽ αὖτ᾽ Ἰδομενεὺς Κρητῶν ἀγὸς ἀντίον ηὔδα:[35]
A lui poi Idomeneo, capo (da ἀγός , οῦ, ὁ) dei Cretesi,
diceva (da αὐδάω) in risposta:
275 ‘ οἶδ᾽ ἀρετὴν οἷός ἐσσι: τί σε χρὴ[36]
ταῦτα λέγεσθαι;
« Conosco
chi sei, quanto a valore: quale bisogno c’è che tu dica queste cose ?
276 εἰ γὰρ
νῦν παρὰ νηυσὶ λεγοίμεθα πάντες ἄριστοι
Se infatto ora presso le
navi fossimo radunati (da λέγω) tutti i migliori
277 ἐς
λόχον, ἔνθα μάλιστ᾽ ἀρετὴ διαείδεται ἀνδρῶν,[37]
per un agguato, dove
maggiormente, soprattutto emerge, è evidente (da διαείδω), il coraggio
degli uomini,
278 ἔνθ᾽
ὅ τε δειλὸς ἀνὴρ ὅς τ᾽ ἄλκιμος ἐξεφαάνθη:
qui si vede (da ἐκφαίνω) l’uomo che è abbietto, miserabile
e (l’uomo) che è coraggioso;
279 τοῦ μὲν γάρ τε κακοῦ
τρέπεται χρὼς ἄλλυδις ἄλλῃ,
di quello (che è) vile
infatti la pelle sbianca, cambia colore (da τρέπω, verbo usato per lo
sbiancarsi dalla paura, cfr. 284, 17.733, Od. 21.412 sg.), ora in un modo ora
in un altro,
280 οὐδέ
οἱ ἀτρέμας ἧσθαι ἐρητύετ᾽ ἐν φρεσὶ θυμός,
nè a lui regge, rimane
saldo (da ἐρητύω), il cuore nel petto,
così da rimanere fermo, saldo (da ἧμαι), senza tremare (da ἄτρεμας,
avverbio),
281 ἀλλὰ
μετοκλάζει[38]
καὶ ἐπ᾽ ἀμφοτέρους πόδας ἵζει,
ma si agita di continuo (da
μετοκλάζω), e si appoggia (da ἵζω) ora su una gamba ora sull’altra,
282 ἐν
δέ τέ οἱ κραδίη μεγάλα στέρνοισι πατάσσει
e nel petto (da στέρνον ,
τό, in Omero sia al singolare che al plurale, solo per gli uomini: στῆθος è
utilizzato per uomini e donne) il cuore grandemente, fortemente batte (da
πατάσσω), a lui
283 κῆρας
ὀϊομένῳ, πάταγος δέ τε γίγνετ᾽ ὀδόντων:
che pensa a, che presagisce
(da οἴομαι, in Omero quasi sempre non contratto, ὀΐομαι), le Chere, la morte,
e c’è, si sente lo stridore, il battere (da πάταγος , ὁ), dei denti;
284 τοῦ δ᾽ ἀγαθοῦ οὔτ᾽ ἂρ
τρέπεται χρὼς οὔτέ τι λίην
di quello (che è) valoroso,
la pelle non cambia colore, né troppo, più di tanto,
285
ταρβεῖ, ἐπειδὰν πρῶτον ἐσίζηται λόχον ἀνδρῶν,
si spaventa (da ταρβέω),
quando (da ἐπειδάν , i.e. ἐπειδὴ ἄν, con il congiuntivo) dal primo momento
prenda posto (da εἰσίζομαι, “prendo posto in”, con l’accusativo) nell’agguato
degli uomini,
286 ἀρᾶται
δὲ τάχιστα μιγήμεναι ἐν δαῒ λυγρῇ:
ma spera, si augura, prega
(da ἀράομαι , si veda 9.240), immediatamente di unirsi, di mescolarsi
(da μίγνυμι , altrove in contesto amoroso, siveda 6.161 e 6.165), nella
funesta, luttuosa, mortale (da λυγρός , ά, όν), battaglia (da δάϊς ἡ);
287 οὐδέ
κεν ἔνθα τεόν γε μένος καὶ χεῖρας ὄνοιτο.
né qui (alcuno) biasimerebbe (da ὄνομαι , sc. τις, ma
l’omissione del termine è curiosa) la tua (da τεός , ή, όν, Ep. per σός)
forza e le (tue) mani.
288 εἴ
περ γάρ κε βλεῖο πονεύμενος ἠὲ τυπείης
Se mai infatti, mentre combatti duramente (da πονέω,
“soffrire” durante il combattimento, per esempio πονέοντο κατὰ κρατερὴν ὑσμίνην
in 5.84, quindi πονεῖσθαι da solo = μάχεσθαι), fossi ferito (da βάλλω) o
colpito (da τύπτω),
289 οὐκ ἂν ἐν αὐχέν᾽ ὄπισθε πέσοι βέλος οὐδ᾽ ἐνὶ νώτῳ,
la freccia non cadrebbe (da πίπτω , aor. ottativo
correlato con ἀντιάσειε di 290) né dietro nel collo (da αὐχήν , ένος, ὁ) né
nella schiena (da νῶτον , τό, oppure νῶτος , ὁ),
290 ἀλλά
κεν ἢ στέρνων ἢ νηδύος ἀντιάσειε
ma colpirebbe (da ἀντιάω, ἀντιάζω, aor. ottativo correlato
con πέσοι di 289: con il genitivo della cosa: solo qui Omero utilizza il
verbo per un oggetto inanimato, l’arma viene personificata) il petto o il
ventro (da νηδύς , ύος, ἡ)
291
πρόσσω ἱεμένοιο μετὰ προμάχων ὀαριστύν.
mentre ti getti, ti slanci (da ἵημι, o “(di te) che ti
getti, ti slanci”), in avanti nel mezzo della battaglia (da ὀαριστύς , ύος, ἡ,
Ep.,= ὀαρισμός: usato metaforicamente, in quanto originariamente si riferisce
all’incontro amoroso) di coloro che combattono davanti.
292 ἀλλ᾽
ἄγε μηκέτι ταῦτα λεγώμεθα νηπύτιοι ὣς
293 ἑσταότες,
Ma, suvvia, non più diciamo questa cose standocene qui
come bambini (da νηπύτιος , ὁ, Ep. diminutivo per νήπιος),
293 μή
πού τις ὑπερφιάλως νεμεσήσῃ:
affinchè qualcuno non debba mai rimproverarci (da νεμεσάω)
eccessivamente, oltre misura (da ὑπερφίαλος , ον);
294 ἀλλὰ
σύ γε κλισίην δὲ κιὼν ἕλευ ὄβριμον ἔγχος ’.
ma tu invece, andando alla tenda, prendi (da αἱρέω) la
pesante, possente lancia ».
|
|
[1] IlLibro
XIII è l’unico nel quale Deifobo, uno dei figli di Priamo, gioca un ruolo di
primo piano. Probabilmente Deifobo doveva avere maggiore spazio nei poemi del
Ciclo Epico, visto che dopo la morte dei fratelli Ettore e Paride è lui a
ricoprire il ruolo di comandante dell’esercito troiano, e a divenire marito di
Elena.
[2] κοῦφα sembra
indicare l’eroe ben addestrato che può procedere con facilità e agilità anche
sotto il peso del suo pesante scudo. Per quanto riguarda ὑπασπίδια, = “ὑπὸ τῆι ἀσπίδι”,
anche in 807 e 16.609: il termine esprime il caratteristico atteggiamento
miceneo di protezione contro l’attacco.
[3] Questa
espressione, ἐν καυλῷ, può indicare sia una lingua in metallo che forma parte
della punta e penetra nel legno dell’asta, sia la parte terminale del fusto in
legno della lancia fissato in un elemento cavo alla base della punta della
lancia: non c’è ragione di ritenere che entrambe le tecniche siano state
contemporaneamente utilizzate il armi di diversa fattura. La prima tecnica
sembra essere implicita nell’uso di una ghiera, o πόρκης, in 6.320; la secondo
dall’uso di un αὐλός, un incavo, in 17.297. Qui probabilmente di deve intendere
la prima interpretazione. Così per esempio il καυλός di una spada (16.338) è la
lingua in metallo che parte dal termine della lama e si trova tra i due pezzi
di legno che formano l’impugnatura.
[4] Si
tratta della mancata vittoria, del mancato successo: res pro rei defectu.
[5] Questo
verso di transizione ci ricorda i combattimento che stanno avendo luogo tutto
intorno: lo stesso verso segna il cambiamento di scena anche al verso 540,
invece di ὣς οἳ μὲν μάρναντο δέμας πυρὸς αἰθομένοιο (11.596).
[6] La prima
uccisione di questa sezione di combattimenti viene descritta in modo esteso nel
mogliore stile omerico. Come al solito la descrizione ha tre parti: vengono
nominati l’uccisore e la vittima (170 sg.); segue la biografia di quest’ultimo
(172-176); infine c’è il resoconto del colpo mortale (177 sg.), qui seguito da
una similitudine, come stesso accade.
[7] Si noti
come lo stesso concetto vienga espresso in 5.535-536 (Τρῶες ὁμῶς Πριάμοιο
τέκεσσι / τῖον), e in 5.71 (ἶσα φίλοισι τέκεσσι).
[8] Teucro
viene qui rappresentato come un guerriero pesantemente armato, mentre altrove è
un arciere, si veda 12.372, 15.440, cf. 472, 8.266, etc. Viene però lodato in
entrambe le tecniche al verso 314. Si tratta di piccole inconsistenze, che
hanno un effetto solo sul quadro che il poeta ha di fronte agli occhi, e non
sono certo sufficienti a giustificare più profonde analisi.
[9] Si veda
come questa formula è stata adattata in 5.435 (Αἰνείαν κτεῖναι καὶ ἀπὸ κλυτὰ
τεύχεα δῦσαι).
[10] Qui ὁρμηθέντος
è il solito genitivo dopo i verbi di mira, di puntamento.
[11] Si noti il gran numero di
ripetizioni di singoli verbi o formule. Qui ὀρέξατο δουρὶ φαεινῷ è una variante
unica di ἀκόντισε δ. φ. del verso 183. Qui però ὀρέξατο (ὀρέγω) è corretto, dal
momento che Aiace giunge così vicino da colpire lo scudo di Ettore e da
respingerlo fisicamente (ai versi 192 sg., dove ὃ δ᾽ ἄρ᾽ è Aiace, ὃ δὲ è
Ettore). Il poeta non può spingere oltre la simmetria, dal momento che il tiro
di una lancia, anche se formidabile come quello di Meriore, non sarebbe
sufficiente a respingere Ettore. Aiace ricaccia indietro Sarpedone allo stesso
modo in 12.404-406. Non rilevante la cosiderazione che nel senso di ἐφάνη sarebbe piuttosto richiesto un imperfetto,
come φαίνετο di 22.324, non un aoristo.
[12] Qui χροὸς
è un genitivo partitivo, il che implica un proprio nominativo come soggetto di εἴσατο,
“non (un centimetro) di pelle si vedeva”. Zenodoto ed Aristarco fanno
correttamente derivare εἴσατο da εἴδομαι, non da ἵεμαι, e interpretando “la sua
pelle non era in alcun punto visibile”, sebbene un nominativo sia richiesto. Il
primo allora leggeva χρώς, mentre il secondo, più vicino alla paradosi,
alterava l’accento in χρόος, che supponeva stare per χρώς per diectasi, ma un
nominativo di questo tipo non ha analogie (Leaf). Se non si interpreta come il
verbo εἴσατο come ἐφάνη (Aristarco), allora dobbiamo interpretarlo con un verbo
di raggiungere, mirare a, come τυχεῖν, che reggono un genitivo.
[13]
Tagliare la testa del nemico è un’azione rara. Agamennone e Peneleo fanno ciò
in circostanze inusuali (11.146, 11.261, 14.496 sg., e si veda anche
14.465-468, 20.481 sg.); Ettorre vorrebbe decapitare il cadavere di Patroclo
(17.126, 18.176 sg.) ed Achille pensa di fare lo stesso con Ettore (18.334
sg.). Come notato in bT, questa atrocità viene attribuita all’Aiace locride,
non al suo omonimo, e la ragione – la rabbia per la morte di Anfimaco – viene
aggiunta per mitigare questo, proprio come la rabbia di Achille a causa di
Patroclo allevia il suo trattamento di Ettore.
[14] Il
termine σφαιρηδὸν, unico, evoca il molto diverso mondo dei giochi di palla
(cfr. Od. 6.100 etc.). Il paragone è altrettanto grottesco come quando
Agamennone fa rotolare un tronco senza testa giù per il campo di battaglia come
se fosse un cilindro, Aiace manda Ettore a gambe all’aria o Peneleo infilza e
tiene alta una testa sulla punta della lancia come fosse un papavero (11.147,
14.413, 14.499). ἑλιξάμενος significa che Aiace si volge indietro, ruotando il
busto, in modo da dare più forza al suo lancio. Altri intendono che fa rotolare
la testa in tondo.
[15] [15]
I Molioni sono i mitici fratelli gemelli elei,
di nome Eurito e Cteato. Figli di Posidone e di Molione, il loro padre umano fu
Attore, fratello di Augia re di Elide. Secondo la più antica leggenda erano un
solo essere mostruoso con due teste; poi furono considerati due uomini
separati. Sposarono Teronice e Terefone, figlie di Dessameno, da cui ebbero i
figli Anfimaco e Talpio, che furono i capi degli Epei alla guerra di Troia. I Molioni
aiutarono validamente il loro zio Augia nella lotta contro Eracle, ma poi
furono uccisi dall’eroe mentre si recavano ai giochi istmici. Anfímaco è
dunque, in quanto figlio di Cteato, nipote di Poseidone. Per Poseidone
l’uccisione per vendetta di Imbrio non è però abbastanza: la sua propria
vendetta consiste nel risvegliare Idomeneo in una aristia che causerà cospicue perdite ai Troiani. Il dialogo con
Merione ritarda però questa aristia
fino a 361 sgg.
[16] La
menzione di un ‘compagno’ in termini generici è inusuale: secondo la consueta
prassi omerica ci saremmo aspettati di conoscere il suo nome. bT ritiene che
compagno di Idomeneo rimanga anonimo per rendere il racconto più realistico:
questi rari casi di anonimato suggeriscono piuttosto improvvisazione. Sorprende
anche trovare Idomeneo, che in 11.501 era tra quelli che compattevano in prima
fila, e in 12.117 stava difenrendo il muro, ora disarmato; e anche se in questo
momento egli potrebbe essere giustificato per il fatto di essersi ritirato dal
combattimento per soccorrere un compagno ferito, è difficile immaginare che
egli possa aver lasciato da parte l’armatura.
[17] Cfr.
2.791.
[18] Vedi
2.638 sgg.
[19] θεὸς δ᾽
ὣς τίετο δήμῳ è formulare: e.g. 10.33, 5.78.
[20] Il
verso 221 è formulare: uguale in 4.265, con i necessari adattamenti in 11.822 e
5.217. La replica di Idomeneo (222-230) consta di due parti, delle quali la
seconda è un richiamo all’azione introdotto come al solito da | ἀλλὰ (228).
Come nella sua replica ad Agamennone in 4.266 sgg, Idomeneo devia le critiche
invitando l’interlocutore ad esortare altri, mostrando così la sua natura di
‘consigliere’.
[21] Si veda 5.817, e anche 5.812.
[22] Verso
formulare, si veda 12.70. Riecheggiano le minacce per esempio di 9.245-246 e di
12.70.
[23] La
risposta di Poseidone in 333-338 è ancora una volta composto di due parti
distinte, separate da | ἀλλ᾽ (235); i primi tre versi rispondono alle ultime
tre linee dell’intervento di Idomeneo, mentre le ultime quattro rispondono alla
prima parte del suo discorso. Il chiasmo viene messo il evidenza dall’uso
parallelo degli stessi verbi. Poseidone replica ai timori di Idomeneo che i
Greci possano perire in modo inglorioso: sono gli imboscati ed i fannulloni che
meritano questa fine. Simile minacce contro coloro che non hanno volontà di
combattere le troviamo in 2.391-393 (Nestore), 12.248-250 e 15.348-351
(Ettore), 16.721-723 (Apollo). Menelao ed Iris esortano gli altri affermando
che Patroclo possa divenire un giocattolo per i cani (17.255, 18.179).
[24] Il
termine ὄφελός sia in Omero che in attico può essere tradotto con il nostro
idiomati “bene”, e si trova quasi invariabilmente in combinazione con un
pronome neutro, raramente con un aggettivo neutro. Quindi ὄφελός τι, in questo
contesto, con il verbo alla 1° pers. pl. potrebbe tradursi “se in qualche modo,
forse, possiamo essere di qualche aiuto”. Da 17.152 (ὅς τοι πόλλ᾽ ὄφελος γένετο)
vediamo che l’aggettivo o il pronome aggiunto era originariamente un accusativo
di relazione, sebbene nel greco più tardo sia stato evidentemente interpretato
come concordato con il sostantivo. Si noti anche 8.282 (αἴ κέν τι φόως Δαναοῖσι
γένηαι), dove il τι è probabilmente un accusativo, “in qualche modo”.
[25] Si noti
4.328 (αὐτὰρ ὅ γ᾽ ἀμφ᾽ ὤμοισιν ἐδύσετο τεύχεα καλὰ), dove la formula δύσετο
τεύχεα καλὰ è presente in una diversa posizione nell’esametro.
[26]
Naturalmente l’espressione – perifrasi comunissima nei poemi omerici, e spesso
realizzata anche con altri sostantivi sinonimi di σθένος, come βίη, μένος, ἴς -
sta per “il forte Idomeneo”: si veda 5.781. Ma si veda anche βίη Ἡρακληείη, in
5.638, 11.690, 2.666 e 658. L’espressione è anche utilizzata con Eteocle
(4.386) e Priamo (3.105), per esempio.
[27] Secondo
la leggenda Molo era figlio di Deucalione, quindi Idomeneo era zio di Merione.
Di questo rapporto di parantela non vi è però traccia in Omero. Molo viene
citato ancora solo in 10.269.
[28] I due
termini πόλεμος e δηιοτής sono altrove associati in modo formulare come πόλεμον
καὶ δηϊοτῆτα: per esempio in 12.244 e 181 e in 7.29.
[29] Per
quanto riguarda il termine ἀγγελίης, una discussione in merito al fatto se sia
un nominativo o un genitivo (ἀγγελίη) si trova in Leaf relativamente a 3.206 (σεῦ
ἕνεκ᾽ ἀγγελίης σὺν ἀρηϊφίλῳ Μενελάῳ). Il passo è di difficile interpretazione:
le lettura di Bentley (τιν᾽ ἀγγελίην), non supportata, o quella di Buttmann (τευ
ἀγγελίην) rendono il passo più lineare. Probabilmente la lettura più facile è
considerare ἀγγελίης come nominativo (“come messaggero”, e τευ come genitivo di
τις che può essere interpretato come neutro o maschile, “di qualcosa” o “di
qualcuno”.
[30] Dal τοι
si evince che Merione viene a cercare la lancia proprio nella tenda di
Idomeneo. Al verso 168 vediamo Merione οἰσόμενος δόρυ μακρόν, ὅ οἱ κλισίηφι
λέλειπτο. Ora egli vuole una lancia di Idomeneo (τοι), se ne ha una. Questo
cambiamento di intenzione è naturale: non si aspettava di incontrare Idomeneo,
e la sua tenda è parecchio più lontana, come spiegherà (268). Idomeneo coglie
l’occasione che gli offre il compagno per ricordare a Merione i suoi propri
trofei e quindi aggirare il suo stesso imbarazzo. Lo strano passaggio dal
singolare al plurale (κατεάξαμεν) e poi ancora al singolare deve essere
accettato e spiegato: i tentativi proposti di spiegare diversamente il termine
(per esempio κατέαξά μοι di Bentley, o κατέαξ᾽ ἐμόν di Naber o ancora altre
spiegazioni) non hanno avuto seguito. Non si tratta della finta modestia del
comandante che associa a se stesso i suoi uomini, ma il plurale si riferisce a
Merione a Deifobo: la spiegazione in Eustrazio (930.4), che spiega che entrambe
hanno concorso alla rottura dell’arma, Merione ce ha scagliato la lancia e
Deifono che reggeva lo scudo nel quale la lancia si è rotta. Quindi il verso
258 è necessario per spiegare questo plurale.
[31] Qui οὐ
γὰρ ὀΐω, ma il conceto è ripreso in modo ancora più forte da Merione in 269 (οὐδ᾽
ἐμέ φημι). Idomeneo non ama colpire da lontano, ma combatte da vicino: in
questo modo può strappare per intero le armi a coloro che uccide.
[32] Con 264
sg. si confronti 19.359-361: non c’è in generale un ordine fisso nel quale
elencare i trofei, mentre esiste un ordine fisso, obbligato, relativamente alla
vestizione delle armi.
[33] La
forma rafforzata οὐδὲ γὰρ οὐδέ si trova anche in 5.23. In questa forma
rafforzata il primo οὐδέ riprende la negazione di Idomeneo al verso 262, mentre
il secondo rafforza ἐμέ. Si veda Denniston, Particles
197. In questo stesso verso, per la forma perifrastica λελασμένον ἔμμεναι si
veda in 5.22 (μοῖραν δ᾽ οὔ τινά φημι πεφυγμένον ἔμμεναι ἀνδρῶν): si tratta di
una forma rara, ma tipica della dizione epica.
[34] Il
soggetto è Merione, mentre il verbo principale λανθάνω con l’accusativo della
persona significa “ sfuggo all’attenzione di”. Di solito viene accompagnato da
un participio, come qui: μαρνάμενος, “mentre sto combattendo”. Quindi
l’attenzione di qualcun altro mentre sto combattendo”. LSJ suggerisce la
traduzione del participio con il verbo principale, esprimendo λανθάνω con un
avverbio, “senza essere visto”, “inosservato”.
[35] Il
discorso che segue (375-394) è il climax dell’intero scambio. La sua prima
sezione, laddove Idomeneo conferma il valore di Merione, e con il suo tono
rivela la fiducia e l’affetto per il suo subordinato, è incorniciata da 275 (τί
σε χρὴ ταῦτα λέγεσθαι) e 292 (μηκέτι ταῦτα λεγώμεθα); questo richiama
l’attenzione sulla lunghezza del dialogo, proprio quello che i commentatori non
hanno amato. Ma certo il poeta non deve averlo considerato tale, e anzi il
discorso deve avere un suo scopo dal punto di vista letterario, e questo scopo
non può che essere lo humour. In effetti questa sezione culmina in un
leggermente sguaiato double entendre
ai danni di Merione, che ha perso la sua lancia (290 sg.). La seconda sezione,
un richiamo all’azione introdotto come al solito da ἀλλά (292), è opportunamente breve.
[36]
L’espressione τί σε χρὴ compare principalmente con la negazione: οὐδέ τί σε χρὴ.
Si veda per esempio 10.479, 9.613 e 497, dov’è sempre seguita da un infinito,
oppure 7.109, dov’è seguita dal genitivo della cosa.
[37] Per λόχον si veda la nota a
1.227. Sul valore che diviene evidente, appariscente, si veda 8.535 (αὔριον ἣν ἀρετὴν διαείσεται). Il verso 278 è
apparentemente un aglossa – ‘terribly flat’ (Leaf) – di 277, ma è necessario
per introdurre l’antitesi tra valore e mancanza di coraggio. Sempre al verso 278, δειλός significa « miserabile, abbietto »
in Omero, non vile : questo significato compare in ionico, da Archiloco in
poi (da δέος, “paura”). Poi
δειλός è accompagnato da ὅ che non è un articolo, ma un pronome
relativo, accanto ad ὅς. L’apodosi
a 276 (εἰ γὰρ νῦν) viene
rimandata fino al verso 287 da una parentesi insolitamente lunga (279-286). Si noti che l’Iliade non considera poco onorevole l’attacco
a tradimento (vedi anche 1.227; 4.391-392; 21.35-39). Non sono però mai
descritti agguati in atto, con la sola eccezione di quello a Dolone.
[38] Μετοκλάζω, “mi agito di continuo, non smetto di
muovermi”, quasi un h.l. in greco, è basato sul verbo ὀκλάζω, “mi rannicchio,
mi accuccio”, ed è un termine che doveva risultare già abbastanza oscuro al
poeta dell’Iliade da obbligarlo a inserire una glossa, una spiegazione, con ἐπ᾽
ἀμφοτέρους πόδας ἵζει. Qui ἀμφοτέρους nel senso di “prima uno poi l’altro”.
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