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Wednesday, May 10, 2017

Iliade - Libro Tredicesimo - vv. 155-294 - Dall'intervento di Deifobo alla fine del dialogo tra Idomeneo e Merione.


155
155       ὣς εἰπὼν ὄτρυνε μένος καὶ θυμὸν ἑκάστου.
Così dicendo infiammava, aumentava (da ὀτρύνω), la forza ed il coraggio di ciascuno.
156       Δηΐφοβος[1] δ᾽ ἐν τοῖσι μέγα φρονέων ἐβεβήκει
Fra di loro avanzava, pensando grandi cose, Deifobo,
157       Πριαμίδης, πρόσθεν δ᾽ ἔχεν ἀσπίδα πάντοσ᾽ ἐΐσην
il figlio di Priamo, e dinanzi teneva lo scudo da tutti lati eguale, ben bilanciato,
158       κοῦφα[2] ποσὶ προβιβὰς καὶ ὑπασπίδια προποδίζων.
con leggerezza (da κοῦφος , η, ον, in Omero solo al neutro plurale come avverbio) avanzando (da προβιβάζω) e spingendo avanti il piede (da προποδίζω , (πούς)) sotto lo scudo (da ὑπασπίδιος , ον, (ἀσπίς), qui al neutro pl. come avverbio).
159       Μηριόνης δ᾽ αὐτοῖο τιτύσκετο δουρὶ φαεινῷ
Su di lui Merione prendeva la mira (da τιτύσκομαι, con τινος della pers. e τινι dell’arma: questo è il senso più frequente, ma si veda 8.41 e 13.23, ὑπ᾽ ὄχεσφι τιτύσκετο χαλκόποδ᾽ ἵππω) con la lucida lancia
160       καὶ βάλεν, οὐδ᾽ ἀφάμαρτε, κατ᾽ ἀσπίδα πάντοσ᾽ ἐΐσην
e lancia, e non fallisce (da ἀφαμαρτάνω), contro lo scudo ben bilanciato
161       ταυρείην: τῆς δ᾽ οὔ τι διήλασεν, ἀλλὰ πολὺ πρὶν
di pelle di toro (da ταύρειος , α, ον, ripetuto al verso 163, ἀσπίδα ταυρείην); ma non passò invero attraverso (da διελαύνω) di esso, ma molto prima
162       ἐν καυλῷ[3] ἐάγη δολιχὸν δόρυ: Δηΐφοβος δὲ
si spezza sull’innesto (da καυλός , ὁ) la lunga lancia; Deifobo però
163       ἀσπίδα ταυρείην σχέθ᾽ ἀπὸ ἕο, δεῖσε δὲ θυμῷ
teneva lontano da sé lo scudo in pelle di toro, teme in cuor (suo)
164       ἔγχος Μηριόναο δαΐφρονος: αὐτὰρ ὅ γ᾽ ἥρως
la lancia del bellicoso Merione; allora l’eore
165       ἂψ ἑτάρων εἰς ἔθνος ἐχάζετο, χώσατο δ᾽ αἰνῶς
immediatamente indietreggiava (da χάζομαι) verso il gruppo (da ἔθνος , εος, τό) dei compagni, ed è terribilmente adirato (da χώομαι, qui con il genitivo della cosa)
166       ἀμφότερον, νίκης[4] τε καὶ ἔγχεος ὃ ξυνέαξε.
per due ragioni, per la vittoria (mancata) e per la lancia che si era spezzata (da συνάγνυμι).
167       βῆ δ᾽ ἰέναι παρά τε κλισίας καὶ νῆας Ἀχαιῶν
Si avvia per andare tra le tende e le navi degli Achei,
168       οἰσόμενος δόρυ μακρόν, ὅ οἱ κλισίηφι λέλειπτο.
per prendere (da φέρω, part. fut. medio) la grande lancia che gli era rimasta dentro le tende.
Paragone

L’attacco viene respinto


Nella sezione 169-205 che segue la sequenza di uccisioni, o androktasia, prepara la sconfitta dinale di Ettore da parte di Aiace (14.402 sgg.) e ci mostra chi sono i principali combattenti prima che l’attenzione di sposti ad Idomeneo ed Enea. Come osserva Fenik, vengono mescolati due insiemi di schemi:
A.       P uccide Q e cerca di spogliarne il cadavere (Teucro uccide Imbrio);
B.       R mira a P, ma lo manca (Ettore manca Teucro);
C.       R colpisce invece S (Ettore colpisce Anfimaco);
D.       R cerca di spogliare il corpo di S (Ettore cerca di spogliare il cadavere di Anfimaco);
E.        l’attacco di R è sventato (Ettore viene respinto da Aiace);
F.        i Greci riescono ad appropriarsi di entrambe i corpi (molto viene sviluppato qui).
A-C e D-E ricorrono in modo separato (A-B in 361 sgg.), e l’intero blocco ricorre con varie elaborazioni: in 506-533 F è solo implicito; D-E è sostituito in 4.473-506, 17.293-318. Queste scene hanno elementi paralleli: il racconto della vita di Imbrio ricorda quello di Otrineo e Simoesio (363 sgg. e 4.474 sgg.); tutti e tre i passaggi paragonano il caduto ad un albero, sevvene in 389 sgg. la similitudine descriva Asio, ucciso in uno stadio C (qui c’è una seconda similitudine allo stadio F). Come Imbrio, Otrioneo è giunto a Troia per sposare una figlia di Priamo. Ascalafo, la vittima greca in 518, è figlio di Ares, proprio come Anfimaco è qui il nipote di Poseidone: ciascun passaggio fa riferimento al dio che viene a conoscenza della morte di un suo discendene. Il parallelismo è poi anche verbale: 184 = 404, 503, 17.305; 187 = 17.311; con 207 si confronti 522.

169
169       οἳ δ᾽ ἄλλοι μάρναντο, βοὴ δ᾽ ἄσβεστος ὀρώρει.[5]
Gli altri combattevano (da μάρναμαι), e un grido inestinguibile (da ἄσβεστος , ον, anche η, ον) si era alzato (da ὄρνυμι).
170       Τεῦκρος δὲ πρῶτος Τελαμώνιος ἄνδρα κατέκτα
Teucro Telamonio per primo uccide (da κατακτείνω) un uomo,
171       Ἴμβριον αἰχμητὴν πολυΐππου Μέντορος υἱόν:[6]
il guerriero, il lanciere Imbrio, figlio di Mentore dai molti cavalli, ricco in cavalli (da πολύϊππος, ον);
172       ναῖε δὲ Πήδαιον πρὶν ἐλθεῖν υἷας Ἀχαιῶν,
abitava (da ναίω, con acc. del luogo) Pedeo, prima che arrivassero i figli degli Achei,
173       κούρην δὲ Πριάμοιο νόθην ἔχε, Μηδεσικάστην:
e aveva come moglie (da ἔχω, “avere per moglie/marito”, di solito senza γυναῖκα, ἄνδρα: cfg. 11.740) una figlia (da κόρη , ἡ, Ion. Κούρη come sempre in Omero: “figlia” se con un gen. di nome proprio) bastarda (da νόθος , η, ον) di Priamo, Medesicasta;
174       αὐτὰρ ἐπεὶ Δαναῶν νέες ἤλυθον ἀμφιέλισσαι,
però dopo che giunsero (da ἔρχομαι) le navi ricurve (da ἀμφιέλισσα (ἐλίσσω), solo in questa forma femminile: probabilmente “curve ad entrambe le estremità”: si veda 2.166) degli Achei,
175       ἂψ ἐς Ἴλιον ἦλθε, μετέπρεπε δὲ Τρώεσσι,
ritornò indietro ad Ilio, e si distingueva, primeggiava (da μεταπρέπω, con il dativo), tra i Troiani,
176       ναῖε δὲ πὰρ Πριάμῳ: ὃ δέ μιν τίεν ἶσα τέκεσσι[7].
ed abitava in casa di (da πάρ , in Omero forma accorciata di παρά: qui col dativo and indicare che abitava insieme a Priamo, nella sua stessa casa) Priamo: questi lo onorava (da τίω) come i (suoi) figli (da τέκος , εος, τό, Ep. dat. pl. τέκεσσι).
177       τόν ῥ᾽ υἱὸς Τελαμῶνος ὑπ᾽ οὔατος ἔγχεϊ μακρῷ[8]
PARAGONE à Questo il figlio di Telamone sotto l’orecchio con la lunga lancia
178       νύξ᾽, ἐκ δ᾽ ἔσπασεν ἔγχος: ὃ δ᾽ αὖτ᾽ ἔπεσεν μελίη ὣς
trafisse, trapassò (da νύσσω), e tirò fuori (da ἐκσπάω, cfr. ἐξέσπασε μείλινον ἔγχος in 6.65) l’asta; quello a sua volta cade come un frassino (da μελία , Ep. μελίη , ἡ)
179       ἥ τ᾽ ὄρεος κορυφῇ ἕκαθεν περιφαινομένοιο
che sulla cima di un monte da grande distanza visibile da tutti i lati (da περιφαίνομαι)
180       χαλκῷ ταμνομένη τέρενα χθονὶ φύλλα πελάσσῃ:
tagliato (da τέμνω , Ion., Dor. ed Ep. τάμνω) dal bronzo, lasci cadere (da πελάζω) per terra le tenere, delicate (da τέρην , εινα, εν, gen. τέρενος, είνης, ενος; poet. femm. gen. τερένης), foglie;
181       ὣς πέσεν, ἀμφὶ δέ οἱ βράχε τεύχεα ποικίλα χαλκῷ.
così cadde (da πίπτω), e sopra e sotto di lui risuonarono, rimbombarono (da βραχεῖν , aoristo senza presente in uso), le armi abilmente lavorate, cesellate (da ποικίλος , η, ον), nel bronzo.
182       Τεῦκρος δ᾽ ὁρμήθη μεμαὼς ἀπὸ τεύχεα δῦσαι[9]:
Teucro avanzò, si mise in movimento (da ὁρμάω), bramoso di spogliarlo (da ἀποδύω, in tmesi, con il duplice accusativo della persona e della cosa) delle armi;
183       Ἕκτωρ δ᾽ ὁρμηθέντος[10] ἀκόντισε δουρὶ φαεινῷ.
Ettore prese la mira (da ἀκοντίζω, con il dativo dell’arma che si lancia: il verbo è specifico dell’asta) con l’asta lucida (da φαεινός , ή, όν) contro di lui che avanzava.
184       ἀλλ᾽ ὃ μὲν ἄντα ἰδὼν ἠλεύατο χάλκεον ἔγχος
Egli però vedendolo di fronte, faccia a faccia (da ἄντα , avverbio Ep.: ἄ. ἰδεῖν), scansò (da ἀλέομαι, con l’accusativo della cosa)
185       τυτθόν: ὃ δ᾽ Ἀμφίμαχον Κτεάτου υἷ᾽ Ἀκτορίωνος
per poco (da τυτθός , όν); egli però Anfimaco, figlio di Cteato Attoride,
186       νισόμενον πόλεμον δὲ κατὰ στῆθος βάλε δουρί:
mentre stava muovendo (da νίσσομαι, con l’accusativo del luogo) verso la battaglia, colpì con la lancia al petto;
187       δούπησεν δὲ πεσών, ἀράβησε δὲ τεύχε᾽ ἐπ᾽ αὐτῷ.
cadendo (da πίπτω) fece un gran fragore (da δουπέω), risuonarono (da ἀραβέω) le armi sopra di lui.
188       Ἕκτωρ δ᾽ ὁρμήθη κόρυθα κροτάφοις ἀραρυῖαν
189       κρατὸς ἀφαρπάξαι μεγαλήτορος Ἀμφιμάχοιο:
Ettore avanzò, per togliere, per strappare via (da ἀφαρπάζω, in costruzione τί τινος), dalla testa (da κράς , forma poet. di κάρα, gen. κρατός) del magnanimo Anfimaco l’elmo adattato, stretto (da ἀραρίσκω, con il dativo), alle tempie (da κρόταφος , ὁ, per lo più al plurale)
190       Αἴας δ᾽ ὁρμηθέντος ὀρέξατο δουρὶ φαεινῷ[11]
Aiace, mentre quello sta avanzando, colpisce (da ὀρέγω, con il genitivo della persona attaccata, quando il verbo è in senso ostile) con la lucida lancia
191       Ἕκτορος: ἀλλ᾽ οὔ πῃ χροὸς[12] εἴσατο, πᾶς δ᾽ ἄρα χαλκῷ
Ettore: ma in nessun punto (una parte) della (sua) pelle era visibile, tutto invece dal bronzo
192       σμερδαλέῳ κεκάλυφθ᾽: ὃ δ᾽ ἄρ᾽ ἀσπίδος ὀμφαλὸν οὖτα,
terribile, spaventoso (da σμερδαλέος , α, Ion. η, ον, agg. Epico), era coperto (da καλύπτω); egli dunque colpisce (da οὐτάω) l’umbone dello scudo,
193       ὦσε δέ μιν σθένεϊ μεγάλῳ: ὃ δὲ χάσσατ᾽ ὀπίσσω
e lo respinge (da ὠθέω) con gran forza; quello cade indietro (da χάζω , χάζομαι) dopo, al di là (da ὀπίσω , Ep. ὀπίσσω , con il genitivo),
194       νεκρῶν ἀμφοτέρων, τοὺς δ᾽ ἐξείρυσσαν Ἀχαιοί.
di entrambe i cadaveri, gli Achei li tirarono via (da ἐξερύω).
Imbrio (T)

Paragone

Anfimaco (A)

Paragone

195
195       Ἀμφίμαχον μὲν ἄρα Στιχίος δῖός τε Μενεσθεὺς
Anfimaco, poi, Stichio e il divino Menesteo,
196       ἀρχοὶ Ἀθηναίων κόμισαν μετὰ λαὸν Ἀχαιῶν:
comandanti degli Ateniesi, portarono al sicuro (da κομίζω, il senso è quello di portare via al fine di proteggere) in mezzo all’esercito degli Achei;
197       Ἴμβριον αὖτ᾽ Αἴαντε μεμαότε θούριδος ἀλκῆς
PARAGONE à Imbrio invece gli Aiaci, bramosi della forza (da ἀλκή , ἡ) impetuosa (da θοῦρις , ιδος, ἡ, femm. di θοῦρος , ον, (θρῴσκω): che spinge alla battaglia),
198       ὥς τε δύ᾽ αἶγα λέοντε κυνῶν ὕπο καρχαροδόντων
199       ἁρπάξαντε φέρητον ἀνὰ ῥωπήϊα πυκνὰ
come quando due leoni dopo aver sottratto, portato via (da ἁρπάζω), una capra da sotto cani dai denti aguzzi (da καρχαρόδους , ὁ, ἡ, gen. -όδοντος, cfr. anche 10.360, sempre attributo di cani) la portano fin sopra fitti arbusti, cespugli (da ῥωπήιον, ου, τό),
200       ὑψοῦ ὑπὲρ γαίης μετὰ γαμφηλῇσιν ἔχοντε,
tenendo(la) in alto sopra la terra tra le fauci, le mascelle (da γαμφηλαί , ῶν, αἱ),
201       ὥς ῥα τὸν ὑψοῦ ἔχοντε δύω Αἴαντε κορυστὰ
così dunque lui, tenendo(lo) in alto, i due Aiaci protetti dall’elmo (da κορυστής , οῦ, ὁ)
202       τεύχεα συλήτην: κεφαλὴν δ᾽ ἁπαλῆς ἀπὸ δειρῆς
spogliavano (da συλάω, con il doppio accusativo della persona e della cosa) delle armi; e la testa via dal tenero (da ἁπαλός , ή, όν) collo (da δειρή , ἡ)
203       κόψεν Ὀϊλιάδης κεχολωμένος Ἀμφιμάχοιο,[13]
mozzò (da κόπτω) il figlio di Oileo, adirato, furioso (da χολόω, con il genitivo), per Anfimaco,
204       ἧκε δέ μιν σφαιρηδὸν ἑλιξάμενος δι᾽ ὁμίλου:
e la scagliò, la gettò (da ἵημι), tra la massa rotolando(la) (da ἑλίσσω oppure ἐλίσσω, la seconda forma più frequente nei codici omerici) come una palla (da σφαιρηδόν , avverbio);
205       Ἕκτορι δὲ προπάροιθε ποδῶν πέσεν ἐν κονίῃσι.[14]
venne a cadere ad Ettore davanti (da προπάροιθε , davanti a vocale πρόπαρθεν: avverbio, oppure preposizione con il genitivo, come qui) ai piedi, in mezzo alla polvere.
Paragone
206
206       καὶ τότε δὴ περὶ κῆρι Ποσειδάων ἐχολώθη
E allora nel profondo del cuore (da κῆρ , τό , il dativo κῆρι come avverbio, “di cuore”, ma περὶ κ. come forma rafforzata, cfr. 13.430) Poseidone si adirò (da χολόω, con il genitivo della causa)
207       υἱωνοῖο[15] πεσόντος ἐν αἰνῇ δηϊοτῆτι,
per il nipote (da υἱωνός , ὁ) caduto in un terribile, mortale (da αἰνός = δεινός), duello, combattimento (da δηιοτής , ῆτος , ἡ),
208       βῆ δ᾽ ἰέναι παρά τε κλισίας καὶ νῆας Ἀχαιῶν
e muove per andare tra le tende e le navi degli Achei,
209       ὀτρυνέων Δαναούς, Τρώεσσι δὲ κήδεα τεῦχεν.
per incitare (da ὀτρύνω) i Danai, per i Troiani preparava, costruiva (da τεύχω), invece lutti, sciagure (da κῆδος , εος, τό, (κήδω)).
210       Ἰδομενεὺς δ᾽ ἄρα οἱ δουρικλυτὸς ἀντεβόλησεν
Ed ecco che con lui si incontrò (da ἀντιβολέω , con il dativo: “incontrarsi”, spec. in battaglia) Idomeneo, celebre con la lancia,
211       ἐρχόμενος παρ᾽ ἑταίρου[16], ὅ οἱ νέον ἐκ πολέμοιο
mentre viene avanti da presso (da παρά, con il genitivo: il senso è che Idomeneo ha appena lasciato un compagno) un compagno, che a lui appena ora dalla battaglia
212       ἦλθε κατ᾽ ἰγνύην βεβλημένος ὀξέϊ χαλκῷ.
era giunto, colpito, ferito al polpaccio (da ἰγνύα , Ion. ἰγνύη , ἡ) dal bronzo affilato.
213       τὸν μὲν ἑταῖροι ἔνεικαν, ὃ δ᾽ ἰητροῖς ἐπιτείλας
Lo avevano portato (da φέρω, ἐνεικ-) i compagni, ed egli, date disposizioni (da ἐπιτέλλω) ai medici,
214       ἤϊεν ἐς κλισίην: ἔτι γὰρ πολέμοιο μενοίνα
215       ἀντιάαν:
se ne andava (da εἶμι) alla tenda; ancora infatti bramava (da μενοινάω, con l’infinito presente) prendere parte (da ἀντιάω, con il genitivo della cosa) alla battaglia;
215       τὸν δὲ προσέφη κρείων ἐνοσίχθων
a lui parlava, si rivolgeva (da πρόσφημι), il signore (da κρείων , οντος, ὁ) scuotitore della terra
216       εἰσάμενος φθογγὴν Ἀνδραίμονος υἷϊ Θόαντι[17]
somigliando (da εἴδομαι, con il dativo) nella voce (da φθογγή , ἡ, forma poet. per φθόγγος) a Toante, figlio di Andremone,
217       ὃς πάσῃ Πλευρῶνι καὶ αἰπεινῇ Καλυδῶνι[18]
che in tutta Pleurone e a Calidone scoscesa, rocciosa,
218       Αἰτωλοῖσιν ἄνασσε, θεὸς δ᾽ ὣς τίετο δήμῳ[19]:
regnava (da ἀνάσσω, in Omero per lo più con il dativo, ma anche col genitivo come in 10.33) sugli Etoli, e come un dio era onorato dal popolo:
219       ‘ Ἰδομενεῦ Κρητῶν βουληφόρε ποῦ τοι ἀπειλαὶ
220       οἴχονται,
« O Idomeneo, consigliere dei Cretesi, dove ti sono andate a finire (da οἴχομαι) le minacce, le vanterie (da ἀπειλή , ἡ, per lo più al pl.),
220       τὰς Τρωσὶν ἀπείλεον υἷες Ἀχαιῶν; ’.
che contro i Troiani lanciavano (da ἀπειλέω, con il dativo della persona) i figli degli Achei ? ».

221
221       τὸν δ᾽ αὖτ᾽ Ἰδομενεὺς Κρητῶν ἀγὸς ἀντίον ηὔδα:[20]
A lui poi Idomeneo, capo (da ἀγός , οῦ, ὁ) dei Cretesi, diceva (da αὐδάω) in risposta:
222       ‘ ὦ Θόαν οὔ τις ἀνὴρ νῦν γ᾽ αἴτιος, ὅσσον ἔγωγε
« O Toante, in questo momento non sono in alcun modo un uomo responsabile (di qualche cosa), colpevole (da αἴτιος , α, ον), per quanto (da ὅσος , Ep. ὅσσος , η, ον, entrambe le forme in Omero ed Esiodo: uso avverbiale ὅσον e ὅσα, qui con l’indicativo) io stesso
223       γιγνώσκω: πάντες γὰρ ἐπιστάμεθα πτολεμίζειν.
sappia: tutti infatti sappiamo (da ἐπίσταμαι) combattere.
224       οὔτέ τινα δέος ἴσχει ἀκήριον[21] οὔτέ τις ὄκνῳ
né (da οὔτε (οὐ, τε), congiunzione di frasi negative, come τε congiunge frasi positive: raro al tempo presente) una vile (da ἀκήριος , ον, (κῆρ)) paura trattiene (da ἴσχω) alcuno, nè questi all’esitazione, alla paura (da ὄκνος , ὁ)
225       εἴκων ἀνδύεται πόλεμον κακόν: ἀλλά που οὕτω
cedendo (da εἴκω, con il dativo) si ritira (da ἀναδύνω, ἀναδύομαι, “ritirarsi da”, con l’accusativo) dalla guerra terribile, malvagia; ma in qualche modo così
226       μέλλει δὴ φίλον εἶναι ὑπερμενέϊ Κρονίωνι
è destino che sia caro al Cronide potentissimo,
227       νωνύμνους ἀπολέσθαι ἀπ᾽ Ἄργεος ἐνθάδ᾽ Ἀχαιούς[22].
che qui, lontano da Argo, ingloriosi, senza gloria, senza nome (da νώνυμνος, ον, epico per νώνυμος, utilizzato quando la penultima sillaba deve essere breve), periscano gli Achei.
228       ἀλλὰ Θόαν, καὶ γὰρ τὸ πάρος μενεδήϊος ἦσθα,
Ma, o Toante, dal momento che anche prima eri impavido, saldo (da μενεδήιος, ον),
229       ὀτρύνεις δὲ καὶ ἄλλον ὅθι μεθιέντα ἴδηαι:
e inciti, sproni anche un altro quando dovessi vederlo (da εἶδον) mentre cede, rinuncia (da μεθίημι):
230       τὼ νῦν μήτ᾽ ἀπόληγε κέλευέ τε φωτὶ ἑκάστῳ ’.
per questo (da τῷ, τῶ : dat. di τό) ora non rinunciare, non desistere, (da ἀπολήγω) e da’ ordini a ciascun uomo, a tutti ».

231
231       τὸν δ᾽ ἠμείβετ᾽ ἔπειτα Ποσειδάων ἐνοσίχθων:[23]
A lui allora rispondeva Poseidone, scuotitore della terra:
232       ‘ Ἰδομενεῦ μὴ κεῖνος ἀνὴρ ἔτι νοστήσειεν
« O Idomeneo, quell’uomo non possa più fare ritorno (da νοστέω)
233       ἐκ Τροίης, ἀλλ᾽ αὖθι κυνῶν μέλπηθρα γένοιτο,
da Troia, ma qui divenga gioco, divertimento, passatempo, preda (da μέλπηθρον, ου, τό / μέλπηθρα , τά, (μέλπω), in Omero solo nell’Iliade e sempre al plurale, riferito a corpi insepolti), per i cani,
234       ὅς τις ἐπ᾽ ἤματι τῷδε ἑκὼν μεθίῃσι μάχεσθαι.
colui che volendo, di proposito, in questo stesso giorno rinunciasse (da μεθίημι) a combattere.
235       ἀλλ᾽ ἄγε τεύχεα δεῦρο λαβὼν ἴθι: ταῦτα δ᾽ ἅμα χρὴ
Ma suvvia dopo aver qui ripreso le (tue) armi, vai, muoviti; per questo (da οὗτος , αὕτη, τοῦτο, gen. τούτου, ταύτης, τούτου; ταῦτα utilizzato avverbialmente, “quindi, per questo, ...”) immediatamente è necessario
236       σπεύδειν, αἴ κ᾽ ὄφελός[24] τι γενώμεθα καὶ δύ᾽ ἐόντε.
muoversi, sbrigarsi, far presto (da σπεύδω), se forse, in qualche modo, possiamo essere utili, pur essendo in due.
237       συμφερτὴ δ᾽ ἀρετὴ πέλει ἀνδρῶν καὶ μάλα λυγρῶν,
C’è del valore (da ἀρετή , ἡ) congiunto, che deriva dall’unione (da συμφερτός , ή, όν), degli uomini, anche degli (uomini) molto vili,
238       νῶϊ δὲ καί κ᾽ ἀγαθοῖσιν ἐπισταίμεσθα μάχεσθαι ’.
ma noi due anche contro i migliori sapremmo, saremmo capaci di (da ἐπίσταμαι), fare battaglia ».


Il dialogo tra Idomeneo e Merione

Ritornando al campo di battaglia Idomeneo incontra il suo subordinato Merione, che spiega che in quel momento si trova nelle retroguardie per procurarsi una nuova lancia. Idomeneo gliene offre una ed entrambe, sulla difensiva, riaffermano il proprio coraggio. Alla fine decidono di combattere sulla sinistra, e rientrano in battaglia insieme. I due fronti sono poi impegnati in furiosi e ravvicinati combattimenti dal momento che gli obiettivi di Zeus e di Poseidone sono opposti, e in conflitto.
Il dialogo in 246-297 è stato accusato di essere irrilevante e noioso: critoco il giudizio di Fenik, mentre Shipp nota e sottolinea elementi linguistici ‘tardi’. Willcock segnala correttamente quanto la situazione sia comica: ciascuno dei due guerrieri, sorpreso inaspettatamente nelle retrovie in una crisi come quella che l’esercito greco sta vivendo, è consapevole di quello che l’altro deve senz’altro pensare, e quindi, senza alcuna palese scusa o accusa, riafferma le sue credenziali di eroismo. Idomeneo allora allevia il loro mutuo imbarazzo con una battuta diremmo ‘da caserma’ su Merione e la sua lancia (290 sg.), che egli ha rotto in 156 sgg. Il loro incontro ricorda in modo divertente quello di ‘Toante’ (Poseidone) ed Idomeneo. Questa scena introduce anche la loro aristia congiunta, e il poeta accresce le nostre aspettative nel loro coraggio, cosicchè attendiamo con crescente suspense il loro ritorno in battaglia.


Abbiamo quindi una serie di cinque discorsi, che sono meno strani di quanto si possa pensare, e sviluppano un limitato numero di temi (in caratteri italici nello schema che segue) con variatio e cambi di prospettiva, una comune tecnica omerica:
1.        Idomeneo:              l’assenza dalla battaglia di Merione (249 sg,)
[da cui un tacito interrogativo relativamente al coraggio di Merione]
possibili ragioni per la sua assenza (251 sg.)
[da cui un tacito interrogativo in merito alla assenza di Idomeneo]
il coraggio di Idomeneo (252 sg.)
2.        Merione:                le vere ragioni per la sua assenza – la sua lancia (255-258)
3.        Idomeneo:              Merione può prendere una lancia tra i trofei di Idomeneo (260-262),
che sono il risultato del suo coraggio (262 sg.),
che dà luogo a trofei (264 sg.)
4.        Merione:                Merione ha ugualmente dei trofei (267 sg.)
che derivano dal suo coraggio, come sa bene Idomeneo (269-273)
5.        Idomeneo:              Sì, il coraggio di Merione è eccezionale (275-291).
Ma essi dovrebbero ritornare alla battaglia: Merione vada dunque a prendersi una lancia (292-294).
Il tema dei discorsi 1-2 viene riassunto in 5, e ciascuno viene trattato dal punto di vista di entrambe gli uomini. Lo schema viene completato quando Idomeneo con cortesia riconosce il coraggio di Merione, e quindi trasforma le due domande di apertura in un invito all’azione.

Questi versi sono una divertente eco di 210 e 214 sg. Merione si trova ora nella stessa imbarazzante posizione nei confronti di Idomeneo, nella quale Idomeneo si era trovato nei contronti di ‘Toante’ (Poseidone). Idomeneo è ancora nei pressi della sua tenda, mentre Merione ne è sorprendentemente molto lontano: si tratta sicuramente di una improvvisazione, così Idomeneo può offrirgli la sua lancia. Ricordiamo che Merione non è solo un servitore, un attendente di Idomeneo (θεράπων), ma il suo secondo in comando (cfr. 2.650 sg. e 4.253 sg.), come Patroclo o Stenelo (2.563 sg. e 4.365-367).

239
239       ὣς εἰπὼν ὃ μὲν αὖτις ἔβη θεὸς ἂμ πόνον ἀνδρῶν:
Così avendo parlato, quello, il dio, ritornò indietro tra la sofferenza, la fatica, la guerra (da πόνος , ὁ: con ἀνά - ἄμ davanti a labiale – e l’accusativo), degli uomini;
240       Ἰδομενεὺς δ᾽ ὅτε δὴ κλισίην εὔτυκτον ἵκανε
Paragone à Idomeneo invece quando raggiungeva la tenda ben costruita
241       δύσετο τεύχεα καλὰ[25] περὶ χροΐ, γέντο δὲ δοῦρε,
indossò le belle armi intorno al corpo, prese (da γέντο , = ἔλαβεν; verbo in 3° persona che si trova solo in questa forma) due lance,
242       βῆ δ᾽ ἴμεν ἀστεροπῇ ἐναλίγκιος, ἥν τε Κρονίων
e si avviò dunque per andare simile alla folgore (da ἀστεροπή , ἡ), che il Cronide
243       χειρὶ λαβὼν ἐτίναξεν ἀπ᾽ αἰγλήεντος Ὀλύμπου
tenendo, brandendo con la mano scuote (da τινάσσω) dall’Olimpo luminoso (da αἰγλήεις , εσσα, εν),
244       δεικνὺς σῆμα βροτοῖσιν: ἀρίζηλοι δέ οἱ αὐγαί:
segno manifesto, evidente (da δείκνυμι), ai mortali: chiari, lampanti (da ἀρίζηλος , ον), (sono) i suoi raggi (da αὐγή , ἡ);
245       ὣς τοῦ χαλκὸς ἔλαμπε περὶ στήθεσσι θέοντος.
così il bronzo brillava, lampeggiava (da λάμπω) sul petto, intorno al petto di lui che correva.
246       Μηριόνης δ᾽ ἄρα οἱ θεράπων ἐῢς ἀντεβόλησεν
Ed ecco che a lui Merione, il valoroso, coraggioso attendente, scudiero, veniva incontro (da ἀντιβολέω , con il dativo: “incontrarsi con”, spec. in battaglia),
247       ἐγγὺς ἔτι κλισίης: μετὰ γὰρ δόρυ χάλκεον ᾔει
ancora nei pressi della tenda: andava infatti alla ricerca (da μέτειμι , con tmesi: regge l’accusativo della cosa) di una lancia di bronzo,
248       οἰσόμενος: τὸν δὲ προσέφη σθένος Ἰδομενῆος[26]:
per prender(la) (da φέρω, part. fut. medio); a lui parlava, si rivolgeva (da πρόσφημι), la forza di Idomeneo:
249       ‘ Μηριόνη Μόλου[27] υἱὲ πόδας ταχὺ φίλταθ᾽ ἑταίρων
« Merione, figlio di Molo, veloce di piedi, carissimo tra i compagni,
250       τίπτ᾽ ἦλθες πόλεμόν τε λιπὼν καὶ δηϊοτῆτα[28];
perchè sei venuto, abbandonando il compattimento e la lotta, le ostilità, la lotta ?
251       ἠέ τι βέβληαι, βέλεος δέ σε τείρει ἀκωκή,
Forse qualcosa (ti) ha colpito, ferito (da βάλλω), la punta di una freccia ti opprime, ti affligge (da τείρω),
252       ἦέ τευ ἀγγελίης[29] μετ᾽ ἔμ᾽ ἤλυθες; οὐδέ τοι αὐτὸς
oppure vieni (da ἔρχομαι) da me come messaggero (da ἀγγελίης , ου , ὁ) di qualcosa ? Ti dico che, veramente, io non
253       ἧσθαι ἐνὶ κλισίῃσι λιλαίομαι, ἀλλὰ μάχεσθαι ’.
desidero, voglio (da λιλαίομαι, con l’infinito) restarmene seduto (da ἧμαι) nella tenda, ma (voglio) combattere ».
Paragone
254
254       τὸν δ᾽ αὖ Μηριόνης πεπνυμένος ἀντίον ηὔδα:
A lui di ritorno il saggio (da πέπνυμαι) Merione diceva in risposta:
255       ‘ Ἰδομενεῦ, Κρητῶν βουληφόρε χαλκοχιτώνων,
« O Idomeneo, consigliere dei Cretesi vestiti di bronzo,
256       ἔρχομαι εἴ τί τοι[30] ἔγχος ἐνὶ κλισίῃσι λέλειπται
vengo, se a te una lancia è rimasta nella tenda,
257       οἰσόμενος: τό νυ γὰρ κατεάξαμεν ὃ πρὶν ἔχεσκον
a prenderla: ora infatti quella, che prima avevo (da ἔχω), abbiamo fracassato (da κατάγνυμι)
258       ἀσπίδα Δηϊφόβοιο βαλὼν ὑπερηνορέοντος ’.
scagliando(la) (da βάλλω, con l’accusativo della persona o della cosa contro cui si lancia) contro lo scudo del superbo (da ὑπερηνορέων , οντος, ὁ: nonostante derivi da ἠνορέη = ἀνδρεία, il termine ha sempre senso negativo) Deifobo ».

259
259       τὸν δ᾽ αὖτ᾽ Ἰδομενεὺς Κρητῶν ἀγὸς ἀντίον ηὔδα:
A lui poi Idomeneo, capo (da ἀγός , οῦ, ὁ) dei Cretesi, diceva (da αὐδάω) in risposta:
260       ‘ δούρατα δ᾽ αἴ κ᾽ ἐθέλῃσθα καὶ ἓν καὶ εἴκοσι δήεις
« Lance, se (ne) desideri (da ἐθέλω), sia una che venti
261       ἑσταότ᾽ ἐν κλισίῃ πρὸς ἐνώπια παμφανόωντα
appoggiate, in piedi (da ἵστημι), nella tenda contro le pareti (da ἐνώπια , τά: vedi 8.435, e in effetti le tendenell’accampamento greco sono di solito immaginate negli stessi termini di abitazioni solide) tutte scintillanti, splendenti,
262       Τρώϊα, τὰ κταμένων ἀποαίνυμαι: οὐ γὰρ ὀΐω[31]
(lance) troiane, che io strappo via, tolgo (da ἀπαίνυμαι , = ἀποαίνυμαι , in costruzione τί τινος), ai caduti (da κτείνω): io infatti non credo
263       ἀνδρῶν δυσμενέων ἑκὰς ἱστάμενος πολεμίζειν.
di combattere stando lontano (da ἑκάς , preposizione con il genitivo) dai guerrieri nemici, ostili (da δυσμενής , ές, (μένος)).
264       τώ μοι δούρατά τ᾽ ἔστι καὶ ἀσπίδες ὀμφαλόεσσαι
Per questo posseggo lance, scudi ombelicati,
265       καὶ κόρυθες καὶ θώρηκες[32] λαμπρὸν γανόωντες ’.
elmi e corazze che scintillano (da γανάω, in Omero sempre in part. epico) in modo brillante ».

266
266       τὸν δ᾽ αὖ Μηριόνης πεπνυμένος ἀντίον ηὔδα:
A lui di rimando il saggio (da πέπνυμαι) Merione diceva in risposta:
267       ‘ καί τοι ἐμοὶ παρά τε κλισίῃ καὶ νηῒ μελαίνῃ
« Anch’io, ti dico, presso la tenda e la nera nave
268       πόλλ᾽ ἔναρα Τρώων: ἀλλ᾽ οὐ σχεδόν ἐστιν ἑλέσθαι.
(ho) molti trofei, armi, spoglie (da ἔναρα , ων, τά, (ἐναίρω), solo al plurale), di Troiani: ma non è vicino per andar(le) a prendere (da αἱρέω).
269       οὐδὲ γὰρ οὐδ᾽[33] ἐμέ φημι λελασμένον ἔμμεναι ἀλκῆς,
Neanche (io) infatti, ti dico che io non dimentico (da λανθάνω, con il genitivo della cosa: lett. “non me ne sto dimentico di”) il coraggio, del valore,
270       ἀλλὰ μετὰ πρώτοισι μάχην ἀνὰ κυδιάνειραν
ma in mezzo ai primi durante il combattimento glorioso, che onora gli uomini (da κυδιάνειρα , ἡ, (κῦδος)),
271       ἵσταμαι, ὁππότε νεῖκος ὀρώρηται πολέμοιο.
me ne sto, allorquando si levi (da ὄρνυμι) la furia della battaglia.
272       ἄλλόν πού τινα μᾶλλον Ἀχαιῶν χαλκοχιτώνων
273       λήθω[34] μαρνάμενος, σὲ δὲ ἴδμεναι αὐτὸν ὀΐω ’.
Mentre sto combattendo (da μάρναμαι) in qualche modo potrei sfuggire (da λανθάνω) piuttosto a qualcun altro tra gli Achei dai chitoni di bronzo, ma credo che tu stesso mi veda ».

274
274       τὸν δ᾽ αὖτ᾽ Ἰδομενεὺς Κρητῶν ἀγὸς ἀντίον ηὔδα:[35]
A lui poi Idomeneo, capo (da ἀγός , οῦ, ὁ) dei Cretesi, diceva (da αὐδάω) in risposta:
275       ‘ οἶδ᾽ ἀρετὴν οἷός ἐσσι: τί σε χρὴ[36] ταῦτα λέγεσθαι;
« Conosco chi sei, quanto a valore: quale bisogno c’è che tu dica queste cose ?
276       εἰ γὰρ νῦν παρὰ νηυσὶ λεγοίμεθα πάντες ἄριστοι
Se infatto ora presso le navi fossimo radunati (da λέγω) tutti i migliori
277       ἐς λόχον, ἔνθα μάλιστ᾽ ἀρετὴ διαείδεται ἀνδρῶν,[37]
per un agguato, dove maggiormente, soprattutto emerge, è evidente (da διαείδω), il coraggio degli uomini,
278       ἔνθ᾽ ὅ τε δειλὸς ἀνὴρ ὅς τ᾽ ἄλκιμος ἐξεφαάνθη:
qui si vede (da ἐκφαίνω) l’uomo che è abbietto, miserabile e (l’uomo) che è coraggioso;
279       τοῦ μὲν γάρ τε κακοῦ τρέπεται χρὼς ἄλλυδις ἄλλῃ,
di quello (che è) vile infatti la pelle sbianca, cambia colore (da τρέπω, verbo usato per lo sbiancarsi dalla paura, cfr. 284, 17.733, Od. 21.412 sg.), ora in un modo ora in un altro,
280       οὐδέ οἱ ἀτρέμας ἧσθαι ἐρητύετ᾽ ἐν φρεσὶ θυμός,
nè a lui regge, rimane saldo (da ἐρητύω), il cuore nel petto, così da rimanere fermo, saldo (da ἧμαι), senza tremare (da ἄτρεμας, avverbio),
281       ἀλλὰ μετοκλάζει[38] καὶ ἐπ᾽ ἀμφοτέρους πόδας ἵζει,
ma si agita di continuo (da μετοκλάζω), e si appoggia (da ἵζω) ora su una gamba ora sull’altra,
282       ἐν δέ τέ οἱ κραδίη μεγάλα στέρνοισι πατάσσει
e nel petto (da στέρνον , τό, in Omero sia al singolare che al plurale, solo per gli uomini: στῆθος è utilizzato per uomini e donne) il cuore grandemente, fortemente batte (da πατάσσω), a lui
283       κῆρας ὀϊομένῳ, πάταγος δέ τε γίγνετ᾽ ὀδόντων:
che pensa a, che presagisce (da οἴομαι, in Omero quasi sempre non contratto, ὀΐομαι), le Chere, la morte, e c’è, si sente lo stridore, il battere (da πάταγος , ὁ), dei denti;
284       τοῦ δ᾽ ἀγαθοῦ οὔτ᾽ ἂρ τρέπεται χρὼς οὔτέ τι λίην
di quello (che è) valoroso, la pelle non cambia colore, né troppo, più di tanto,
285       ταρβεῖ, ἐπειδὰν πρῶτον ἐσίζηται λόχον ἀνδρῶν,
si spaventa (da ταρβέω), quando (da ἐπειδάν , i.e. ἐπειδὴ ἄν, con il congiuntivo) dal primo momento prenda posto (da εἰσίζομαι, “prendo posto in”, con l’accusativo) nell’agguato degli uomini,
286       ἀρᾶται δὲ τάχιστα μιγήμεναι ἐν δαῒ λυγρῇ:
ma spera, si augura, prega (da ἀράομαι , si veda 9.240), immediatamente di unirsi, di mescolarsi (da μίγνυμι , altrove in contesto amoroso, siveda 6.161 e 6.165), nella funesta, luttuosa, mortale (da λυγρός , ά, όν), battaglia (da δάϊς ἡ);
287       οὐδέ κεν ἔνθα τεόν γε μένος καὶ χεῖρας ὄνοιτο.
né qui (alcuno) biasimerebbe (da ὄνομαι , sc. τις, ma l’omissione del termine è curiosa) la tua (da τεός , ή, όν, Ep. per σός) forza e le (tue) mani.
288       εἴ περ γάρ κε βλεῖο πονεύμενος ἠὲ τυπείης
Se mai infatti, mentre combatti duramente (da πονέω, “soffrire” durante il combattimento, per esempio πονέοντο κατὰ κρατερὴν ὑσμίνην in 5.84, quindi πονεῖσθαι da solo = μάχεσθαι), fossi ferito (da βάλλω) o colpito (da τύπτω),
289       οὐκ ἂν ἐν αὐχέν᾽ ὄπισθε πέσοι βέλος οὐδ᾽ ἐνὶ νώτῳ,
la freccia non cadrebbe (da πίπτω , aor. ottativo correlato con ἀντιάσειε di 290) né dietro nel collo (da αὐχήν , ένος, ὁ) né nella schiena (da νῶτον , τό, oppure νῶτος , ὁ),
290       ἀλλά κεν ἢ στέρνων ἢ νηδύος ἀντιάσειε
ma colpirebbe (da ἀντιάω, ἀντιάζω, aor. ottativo correlato con πέσοι di 289: con il genitivo della cosa: solo qui Omero utilizza il verbo per un oggetto inanimato, l’arma viene personificata) il petto o il ventro (da νηδύς , ύος, ἡ)
291       πρόσσω ἱεμένοιο μετὰ προμάχων ὀαριστύν.
mentre ti getti, ti slanci (da ἵημι, o “(di te) che ti getti, ti slanci”), in avanti nel mezzo della battaglia (da ὀαριστύς , ύος, ἡ, Ep.,= ὀαρισμός: usato metaforicamente, in quanto originariamente si riferisce all’incontro amoroso) di coloro che combattono davanti.
292       ἀλλ᾽ ἄγε μηκέτι ταῦτα λεγώμεθα νηπύτιοι ὣς
293       ἑσταότες,
Ma, suvvia, non più diciamo questa cose standocene qui come bambini (da νηπύτιος , ὁ, Ep. diminutivo per νήπιος),
293       μή πού τις ὑπερφιάλως νεμεσήσῃ:
affinchè qualcuno non debba mai rimproverarci (da νεμεσάω) eccessivamente, oltre misura (da ὑπερφίαλος , ον);
294       ἀλλὰ σύ γε κλισίην δὲ κιὼν ἕλευ ὄβριμον ἔγχος ’.
ma tu invece, andando alla tenda, prendi (da αἱρέω) la pesante, possente lancia ».






[1] IlLibro XIII è l’unico nel quale Deifobo, uno dei figli di Priamo, gioca un ruolo di primo piano. Probabilmente Deifobo doveva avere maggiore spazio nei poemi del Ciclo Epico, visto che dopo la morte dei fratelli Ettore e Paride è lui a ricoprire il ruolo di comandante dell’esercito troiano, e a divenire marito di Elena.
[2] κοῦφα sembra indicare l’eroe ben addestrato che può procedere con facilità e agilità anche sotto il peso del suo pesante scudo. Per quanto riguarda ὑπασπίδια, = “ὑπὸ τῆι ἀσπίδι”, anche in 807 e 16.609: il termine esprime il caratteristico atteggiamento miceneo di protezione contro l’attacco.
[3] Questa espressione, ἐν καυλῷ, può indicare sia una lingua in metallo che forma parte della punta e penetra nel legno dell’asta, sia la parte terminale del fusto in legno della lancia fissato in un elemento cavo alla base della punta della lancia: non c’è ragione di ritenere che entrambe le tecniche siano state contemporaneamente utilizzate il armi di diversa fattura. La prima tecnica sembra essere implicita nell’uso di una ghiera, o πόρκης, in 6.320; la secondo dall’uso di un αὐλός, un incavo, in 17.297. Qui probabilmente di deve intendere la prima interpretazione. Così per esempio il καυλός di una spada (16.338) è la lingua in metallo che parte dal termine della lama e si trova tra i due pezzi di legno che formano l’impugnatura.
[4] Si tratta della mancata vittoria, del mancato successo: res pro rei defectu.
[5] Questo verso di transizione ci ricorda i combattimento che stanno avendo luogo tutto intorno: lo stesso verso segna il cambiamento di scena anche al verso 540, invece di ὣς οἳ μὲν μάρναντο δέμας πυρὸς αἰθομένοιο (11.596).
[6] La prima uccisione di questa sezione di combattimenti viene descritta in modo esteso nel mogliore stile omerico. Come al solito la descrizione ha tre parti: vengono nominati l’uccisore e la vittima (170 sg.); segue la biografia di quest’ultimo (172-176); infine c’è il resoconto del colpo mortale (177 sg.), qui seguito da una similitudine, come stesso accade.
[7] Si noti come lo stesso concetto vienga espresso in 5.535-536 (Τρῶες ὁμῶς Πριάμοιο τέκεσσι / τῖον), e in 5.71 (ἶσα φίλοισι τέκεσσι).
[8] Teucro viene qui rappresentato come un guerriero pesantemente armato, mentre altrove è un arciere, si veda 12.372, 15.440, cf. 472, 8.266, etc. Viene però lodato in entrambe le tecniche al verso 314. Si tratta di piccole inconsistenze, che hanno un effetto solo sul quadro che il poeta ha di fronte agli occhi, e non sono certo sufficienti a giustificare più profonde analisi.
[9] Si veda come questa formula è stata adattata in 5.435 (Αἰνείαν κτεῖναι καὶ ἀπὸ κλυτὰ τεύχεα δῦσαι).
[10] Qui ὁρμηθέντος è il solito genitivo dopo i verbi di mira, di puntamento.
[11] Si noti il gran numero di ripetizioni di singoli verbi o formule. Qui ὀρέξατο δουρὶ φαεινῷ è una variante unica di ἀκόντισε δ. φ. del verso 183. Qui però ὀρέξατο (ὀρέγω) è corretto, dal momento che Aiace giunge così vicino da colpire lo scudo di Ettore e da respingerlo fisicamente (ai versi 192 sg., dove ὃ δ᾽ ἄρ᾽ è Aiace, ὃ δὲ è Ettore). Il poeta non può spingere oltre la simmetria, dal momento che il tiro di una lancia, anche se formidabile come quello di Meriore, non sarebbe sufficiente a respingere Ettore. Aiace ricaccia indietro Sarpedone allo stesso modo in 12.404-406. Non rilevante la cosiderazione che nel senso di ἐφάνη sarebbe piuttosto richiesto un imperfetto, come φαίνετο di 22.324, non un aoristo.
[12] Qui χροὸς è un genitivo partitivo, il che implica un proprio nominativo come soggetto di εἴσατο, “non (un centimetro) di pelle si vedeva”. Zenodoto ed Aristarco fanno correttamente derivare εἴσατο da εἴδομαι, non da ἵεμαι, e interpretando “la sua pelle non era in alcun punto visibile”, sebbene un nominativo sia richiesto. Il primo allora leggeva χρώς, mentre il secondo, più vicino alla paradosi, alterava l’accento in χρόος, che supponeva stare per χρώς per diectasi, ma un nominativo di questo tipo non ha analogie (Leaf). Se non si interpreta come il verbo εἴσατο come ἐφάνη (Aristarco), allora dobbiamo interpretarlo con un verbo di raggiungere, mirare a, come τυχεῖν, che reggono un genitivo.
[13] Tagliare la testa del nemico è un’azione rara. Agamennone e Peneleo fanno ciò in circostanze inusuali (11.146, 11.261, 14.496 sg., e si veda anche 14.465-468, 20.481 sg.); Ettorre vorrebbe decapitare il cadavere di Patroclo (17.126, 18.176 sg.) ed Achille pensa di fare lo stesso con Ettore (18.334 sg.). Come notato in bT, questa atrocità viene attribuita all’Aiace locride, non al suo omonimo, e la ragione – la rabbia per la morte di Anfimaco – viene aggiunta per mitigare questo, proprio come la rabbia di Achille a causa di Patroclo allevia il suo trattamento di Ettore.
[14] Il termine σφαιρηδὸν, unico, evoca il molto diverso mondo dei giochi di palla (cfr. Od. 6.100 etc.). Il paragone è altrettanto grottesco come quando Agamennone fa rotolare un tronco senza testa giù per il campo di battaglia come se fosse un cilindro, Aiace manda Ettore a gambe all’aria o Peneleo infilza e tiene alta una testa sulla punta della lancia come fosse un papavero (11.147, 14.413, 14.499). ἑλιξάμενος significa che Aiace si volge indietro, ruotando il busto, in modo da dare più forza al suo lancio. Altri intendono che fa rotolare la testa in tondo.
[15] [15] I Molioni sono i mitici fratelli gemelli elei, di nome Eurito e Cteato. Figli di Posidone e di Molione, il loro padre umano fu Attore, fratello di Augia re di Elide. Secondo la più antica leggenda erano un solo essere mostruoso con due teste; poi furono considerati due uomini separati. Sposarono Teronice e Terefone, figlie di Dessameno, da cui ebbero i figli Anfimaco e Talpio, che furono i capi degli Epei alla guerra di Troia. I Molioni aiutarono validamente il loro zio Augia nella lotta contro Eracle, ma poi furono uccisi dall’eroe mentre si recavano ai giochi istmici. Anfímaco è dunque, in quanto figlio di Cteato, nipote di Poseidone. Per Poseidone l’uccisione per vendetta di Imbrio non è però abbastanza: la sua propria vendetta consiste nel risvegliare Idomeneo in una aristia che causerà cospicue perdite ai Troiani. Il dialogo con Merione ritarda però questa aristia fino a 361 sgg.
[16] La menzione di un ‘compagno’ in termini generici è inusuale: secondo la consueta prassi omerica ci saremmo aspettati di conoscere il suo nome. bT ritiene che compagno di Idomeneo rimanga anonimo per rendere il racconto più realistico: questi rari casi di anonimato suggeriscono piuttosto improvvisazione. Sorprende anche trovare Idomeneo, che in 11.501 era tra quelli che compattevano in prima fila, e in 12.117 stava difenrendo il muro, ora disarmato; e anche se in questo momento egli potrebbe essere giustificato per il fatto di essersi ritirato dal combattimento per soccorrere un compagno ferito, è difficile immaginare che egli possa aver lasciato da parte l’armatura.
[17] Cfr. 2.791.
[18] Vedi 2.638 sgg.
[19] θεὸς δ᾽ ὣς τίετο δήμῳ è formulare: e.g. 10.33, 5.78.
[20] Il verso 221 è formulare: uguale in 4.265, con i necessari adattamenti in 11.822 e 5.217. La replica di Idomeneo (222-230) consta di due parti, delle quali la seconda è un richiamo all’azione introdotto come al solito da | ἀλλὰ (228). Come nella sua replica ad Agamennone in 4.266 sgg, Idomeneo devia le critiche invitando l’interlocutore ad esortare altri, mostrando così la sua natura di ‘consigliere’.
[21] Si veda 5.817, e anche 5.812.
[22] Verso formulare, si veda 12.70. Riecheggiano le minacce per esempio di 9.245-246 e di 12.70.
[23] La risposta di Poseidone in 333-338 è ancora una volta composto di due parti distinte, separate da | ἀλλ᾽ (235); i primi tre versi rispondono alle ultime tre linee dell’intervento di Idomeneo, mentre le ultime quattro rispondono alla prima parte del suo discorso. Il chiasmo viene messo il evidenza dall’uso parallelo degli stessi verbi. Poseidone replica ai timori di Idomeneo che i Greci possano perire in modo inglorioso: sono gli imboscati ed i fannulloni che meritano questa fine. Simile minacce contro coloro che non hanno volontà di combattere le troviamo in 2.391-393 (Nestore), 12.248-250 e 15.348-351 (Ettore), 16.721-723 (Apollo). Menelao ed Iris esortano gli altri affermando che Patroclo possa divenire un giocattolo per i cani (17.255, 18.179).
[24] Il termine ὄφελός sia in Omero che in attico può essere tradotto con il nostro idiomati “bene”, e si trova quasi invariabilmente in combinazione con un pronome neutro, raramente con un aggettivo neutro. Quindi ὄφελός τι, in questo contesto, con il verbo alla 1° pers. pl. potrebbe tradursi “se in qualche modo, forse, possiamo essere di qualche aiuto”. Da 17.152 (ὅς τοι πόλλ᾽ ὄφελος γένετο) vediamo che l’aggettivo o il pronome aggiunto era originariamente un accusativo di relazione, sebbene nel greco più tardo sia stato evidentemente interpretato come concordato con il sostantivo. Si noti anche 8.282 (αἴ κέν τι φόως Δαναοῖσι γένηαι), dove il τι è probabilmente un accusativo, “in qualche modo”.
[25] Si noti 4.328 (αὐτὰρ ὅ γ᾽ ἀμφ᾽ ὤμοισιν ἐδύσετο τεύχεα καλὰ), dove la formula δύσετο τεύχεα καλὰ è presente in una diversa posizione nell’esametro.
[26] Naturalmente l’espressione – perifrasi comunissima nei poemi omerici, e spesso realizzata anche con altri sostantivi sinonimi di σθένος, come βίη, μένος, ἴς - sta per “il forte Idomeneo”: si veda 5.781. Ma si veda anche βίη Ἡρακληείη, in 5.638, 11.690, 2.666 e 658. L’espressione è anche utilizzata con Eteocle (4.386) e Priamo (3.105), per esempio.
[27] Secondo la leggenda Molo era figlio di Deucalione, quindi Idomeneo era zio di Merione. Di questo rapporto di parantela non vi è però traccia in Omero. Molo viene citato ancora solo in 10.269.
[28] I due termini πόλεμος e δηιοτής sono altrove associati in modo formulare come πόλεμον καὶ δηϊοτῆτα: per esempio in 12.244 e 181 e in 7.29.
[29] Per quanto riguarda il termine ἀγγελίης, una discussione in merito al fatto se sia un nominativo o un genitivo (ἀγγελίη) si trova in Leaf relativamente a 3.206 (σεῦ ἕνεκ᾽ ἀγγελίης σὺν ἀρηϊφίλῳ Μενελάῳ). Il passo è di difficile interpretazione: le lettura di Bentley (τιν᾽ ἀγγελίην), non supportata, o quella di Buttmann (τευ ἀγγελίην) rendono il passo più lineare. Probabilmente la lettura più facile è considerare ἀγγελίης come nominativo (“come messaggero”, e τευ come genitivo di τις che può essere interpretato come neutro o maschile, “di qualcosa” o “di qualcuno”.
[30] Dal τοι si evince che Merione viene a cercare la lancia proprio nella tenda di Idomeneo. Al verso 168 vediamo Merione οἰσόμενος δόρυ μακρόν, ὅ οἱ κλισίηφι λέλειπτο. Ora egli vuole una lancia di Idomeneo (τοι), se ne ha una. Questo cambiamento di intenzione è naturale: non si aspettava di incontrare Idomeneo, e la sua tenda è parecchio più lontana, come spiegherà (268). Idomeneo coglie l’occasione che gli offre il compagno per ricordare a Merione i suoi propri trofei e quindi aggirare il suo stesso imbarazzo. Lo strano passaggio dal singolare al plurale (κατεάξαμεν) e poi ancora al singolare deve essere accettato e spiegato: i tentativi proposti di spiegare diversamente il termine (per esempio κατέαξά μοι di Bentley, o κατέαξ᾽ ἐμόν di Naber o ancora altre spiegazioni) non hanno avuto seguito. Non si tratta della finta modestia del comandante che associa a se stesso i suoi uomini, ma il plurale si riferisce a Merione a Deifobo: la spiegazione in Eustrazio (930.4), che spiega che entrambe hanno concorso alla rottura dell’arma, Merione ce ha scagliato la lancia e Deifono che reggeva lo scudo nel quale la lancia si è rotta. Quindi il verso 258 è necessario per spiegare questo plurale.
[31] Qui οὐ γὰρ ὀΐω, ma il conceto è ripreso in modo ancora più forte da Merione in 269 (οὐδ᾽ ἐμέ φημι). Idomeneo non ama colpire da lontano, ma combatte da vicino: in questo modo può strappare per intero le armi a coloro che uccide.
[32] Con 264 sg. si confronti 19.359-361: non c’è in generale un ordine fisso nel quale elencare i trofei, mentre esiste un ordine fisso, obbligato, relativamente alla vestizione delle armi.
[33] La forma rafforzata οὐδὲ γὰρ οὐδέ si trova anche in 5.23. In questa forma rafforzata il primo οὐδέ riprende la negazione di Idomeneo al verso 262, mentre il secondo rafforza ἐμέ. Si veda Denniston, Particles 197. In questo stesso verso, per la forma perifrastica λελασμένον ἔμμεναι si veda in 5.22 (μοῖραν δ᾽ οὔ τινά φημι πεφυγμένον ἔμμεναι ἀνδρῶν): si tratta di una forma rara, ma tipica della dizione epica.
[34] Il soggetto è Merione, mentre il verbo principale λανθάνω con l’accusativo della persona significa “ sfuggo all’attenzione di”. Di solito viene accompagnato da un participio, come qui: μαρνάμενος, “mentre sto combattendo”. Quindi l’attenzione di qualcun altro mentre sto combattendo”. LSJ suggerisce la traduzione del participio con il verbo principale, esprimendo λανθάνω con un avverbio, “senza essere visto”, “inosservato”.
[35] Il discorso che segue (375-394) è il climax dell’intero scambio. La sua prima sezione, laddove Idomeneo conferma il valore di Merione, e con il suo tono rivela la fiducia e l’affetto per il suo subordinato, è incorniciata da 275 (τί σε χρὴ ταῦτα λέγεσθαι) e 292 (μηκέτι ταῦτα λεγώμεθα); questo richiama l’attenzione sulla lunghezza del dialogo, proprio quello che i commentatori non hanno amato. Ma certo il poeta non deve averlo considerato tale, e anzi il discorso deve avere un suo scopo dal punto di vista letterario, e questo scopo non può che essere lo humour. In effetti questa sezione culmina in un leggermente sguaiato double entendre ai danni di Merione, che ha perso la sua lancia (290 sg.). La seconda sezione, un richiamo all’azione introdotto come al solito da ἀλλά (292), è opportunamente breve.
[36] L’espressione τί σε χρὴ compare principalmente con la negazione: οὐδέ τί σε χρὴ. Si veda per esempio 10.479, 9.613 e 497, dov’è sempre seguita da un infinito, oppure 7.109, dov’è seguita dal genitivo della cosa.
[37] Per λόχον si veda la nota a 1.227. Sul valore che diviene evidente, appariscente, si veda 8.535 (αὔριον ἣν ἀρετὴν διαείσεται). Il verso 278 è apparentemente un aglossa – ‘terribly flat’ (Leaf) – di 277, ma è necessario per introdurre l’antitesi tra valore e mancanza di coraggio. Sempre al verso 278, δειλός significa « miserabile, abbietto » in Omero, non vile : questo significato compare in ionico, da Archiloco in poi (da δέος, “paura”). Poi δειλός è accompagnato da che non è un articolo, ma un pronome relativo, accanto ad ὅς. L’apodosi a 276 (εἰ γὰρ νῦν) viene rimandata fino al verso 287 da una parentesi insolitamente lunga (279-286). Si noti che l’Iliade non considera poco onorevole l’attacco a tradimento (vedi anche 1.227; 4.391-392; 21.35-39). Non sono però mai descritti agguati in atto, con la sola eccezione di quello a Dolone.
[38] Μετοκλάζω, “mi agito di continuo, non smetto di muovermi”, quasi un h.l. in greco, è basato sul verbo ὀκλάζω, “mi rannicchio, mi accuccio”, ed è un termine che doveva risultare già abbastanza oscuro al poeta dell’Iliade da obbligarlo a inserire una glossa, una spiegazione, con ἐπ᾽ ἀμφοτέρους πόδας ἵζει. Qui ἀμφοτέρους nel senso di “prima uno poi l’altro”.

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