Antefatti all’aristia di Diomede
295
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295 ὣς
φάτο, Μηριόνης δὲ θοῷ ἀτάλαντος Ἄρηϊ[1]
Così diceva, e Merione simile al rapido Ares
296 καρπαλίμως
κλισίηθεν ἀνείλετο χάλκεον ἔγχος,
rapidamente dalla tenda
prende su (da ἀναιρέω) l’asta di bronzo,
297 βῆ δὲ
μετ᾽ Ἰδομενῆα μέγα πτολέμοιο μεμηλώς.
e andò con Idomeneo molto
ansioso, desideroso (da μέλω, con il genitivo della cosa) di battaglia.
298 οἷος δὲ βροτολοιγὸς Ἄρης
πόλεμον δὲ μέτεισι,
PARAGONE à Come Ares, massacratore di uomini, muove (da μέτειμι,
con l’accusativo) alla guerra,
299 τῷ δὲ Φόβος[2]
φίλος υἱὸς ἅμα
κρατερὸς καὶ ἀταρβὴς
e
insieme a lui suo figlio Disfatta, Rotta (da Φόβος), forte e
intrepido, senza paura (da ἀταρβής , ές),
300 ἕσπετο,
ὅς τ᾽ ἐφόβησε ταλάφρονά περ πολεμιστήν:
segue, (lui) che terrorizza,
mette in fuga (da φοβέω), persino un guerriero intrepido, costante, fermo (da
ταλάφρων , ονος, ὁ, ἡ, = ταλασίφρων);
301 τὼ μὲν
ἄρ᾽ ἐκ Θρῄκης Ἐφύρους μέτα θωρήσσεσθον,
loro due invero dalla Tracia
si armano (da θωρήσσω) insieme agli Efiri
302 ἠὲ
μετὰ Φλεγύας μεγαλήτορας[3]:
οὐδ᾽ ἄρα τώ γε
o insieme ai magnanimi
Flegi; né certamente loro due
303 ἔκλυον
ἀμφοτέρων, ἑτέροισι δὲ κῦδος ἔδωκαν:
prestano ascolto (da κλύω,
col genitivo della persona) ad entrambe, ma assegnano, danno (da δίδωμι), la
gloria, la fama (da κῦδος , εος, τό), ora all’uno ora all’altro (da ἕτερος ,
α, ον, uno o l’altro di due);
304 τοῖοι Μηριόνης τε καὶ Ἰδομενεὺς
ἀγοὶ ἀνδρῶν
così Merione e Idomeneo,
condottieri di uomini,
305 ἤϊσαν
ἐς πόλεμον κεκορυθμένοι αἴθοπι χαλκῷ.
andavano (da εἶμι) alla
guerra vestiti, coperti (da κορύσσω), di bronzo splendente.
306 τὸν
καὶ Μηριόνης πρότερος πρὸς μῦθον ἔειπε:
Ed ecco a lui per primo
Merione rivolge la parola, il discorso:
307 ‘ Δευκαλίδη
πῇ τὰρ μέμονας καταδῦναι ὅμιλον;
« O Deucalide, figlio di
Deucalione, dove, in quale punto, intendi (da μέμονα , perfetto raddoppiato,
e con senso di presente, della radice μεν-) dunque immergenrti, penetrare (da
καταδύω , o καταδύνω), tra la folla, la massa ?
308 ἢ ἐπὶ
δεξιόφιν παντὸς στρατοῦ, ἦ ἀνὰ μέσσους,
Sulla destra dell’intero
esercito, oppure nel mezzo,
309 ἦ ἐπ᾽
ἀριστερόφιν[4];
ἐπεὶ οὔ ποθι ἔλπομαι οὕτω
o a sinistra ? Dal momento
che credo che in nessun altro punto allo stesso modo
310 δεύεσθαι
πολέμοιο κάρη κομόωντας Ἀχαιούς ’.
siano così impari, così non
all’altezza (da δεύομαι , Ep. per δέομαι, con il genitivo della cosa), gli
Achei dalle chiome fluenti ».
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Paragone
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311
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311 τὸν
δ᾽ αὖτ᾽ Ἰδομενεὺς Κρητῶν ἀγὸς ἀντίον ηὔδα:
A lui poi Idomeneo, capo (da ἀγός , οῦ, ὁ) dei Cretesi,
diceva (da αὐδάω) in risposta:
312 ‘ νηυσὶ
μὲν ἐν μέσσῃσιν ἀμύνειν εἰσὶ καὶ ἄλλοι
« Al centro delle navi ci
sono anche altri per resistere, per allontanare (il pericolo) (da ἀμύνω)
313 Αἴαντές
τε δύω Τεῦκρός θ᾽[5],
ὃς ἄριστος Ἀχαιῶν
i due Aiaci e Teucro, che è
il migliore tra gli Achei
314 τοξοσύνῃ,
ἀγαθὸς δὲ καὶ ἐν σταδίῃ ὑσμίνῃ:
nel tiro con l’arco (da
τοξοσύνη , ἡ), e abile anche nel combattimento (ὑσμίνη , ἡ) corpo a corpo (da
στάδιος , α, ον);
315 οἵ
μιν ἅδην ἐλόωσι καὶ ἐσσύμενον πολέμοιο[6]
questi lo condurrano (da ἐλαύνω)
a sazietà (da ἅδην , Ep. e Ion. ἄδην) della guerra, per quando impetuoso (da ἐσσύμενος
, η, ον, Ep. part. pass. di σεύω),
316 Ἕκτορα Πριαμίδην, καὶ εἰ μάλα καρτερός ἐστιν.
Ettore figlio di Priamo,
anche se è molto forte.
317 αἰπύ
οἱ ἐσσεῖται μάλα περ μεμαῶτι μάχεσθαι
Sarà difficile (da αἰπύς ,
εῖα, ύ, solo qui nel senso metaforico di “difficile) a lui, per quanto molto bramoso
(da μέμαα) di combattere,
318 κείνων
νικήσαντι μένος καὶ χεῖρας ἀάπτους
domando di quelli la forza
e le mani invincibili (da ἄαπτος , ον, (ἅπτομαι))
319 νῆας
ἐνιπρῆσαι, ὅτε μὴ αὐτός γε Κρονίων
dar fuoco (da ἐμπίμπρημι, con l’accusativo) alle navi, a
meno che lo stesso Cronide
320 ἐμβάλοι
αἰθόμενον δαλὸν νήεσσι θοῇσιν.
non getti sulle, contro le (da ἐμβάλλω, “getto dentro”,
con il dativo), navi veloci un tizzone (da δαλός , ὁ, (δαίω)) acceso, in
fiamme (da αἴθω, pass. αἴθομαι , in Omero sempre al participio).
321 ἀνδρὶ
δέ κ᾽ οὐκ εἴξειε μέγας Τελαμώνιος Αἴας,
Il grande Aiace Telamonio non ceda (da εἴκω, con il dativo
della persona) ad un uomo
322 ὃς
θνητός τ᾽ εἴη καὶ
ἔδοι Δημήτερος ἀκτὴν[7]
che sia mortale (da θνητός , ή, όν) e che si nutra di,
mangi (da ἔδω), il grano (da ἀκτή , ἡ) di Demetra,
323 χαλκῷ
τε ῥηκτὸς μεγάλοισί τε χερμαδίοισιν.
e che possa essere spezzato (da ῥηκτός , ή, όν) dal bronzo
o da enormi pietroni.
324 οὐδ᾽
ἂν Ἀχιλλῆϊ ῥηξήνορι χωρήσειεν
Non cederebbe il passo (da χωρέω) neppure ad Achille che
spezza le schiere (da ῥηξήνωρ , ορος, ὁ, (ϝρήγνυμι, ἀνήρ))
325 ἔν γ᾽
αὐτοσταδίῃ: ποσὶ δ᾽ οὔ πως ἔστιν ἐρίζειν.
nel combattimento corpo a corpo (da αὐτοσταδίη (sc. μάχη),
ἡ, termine epico utilizzaro solo al dativo): coi piedi in nessun modo è
possibile competere (da ἐρίζω).
326 νῶϊν[8]
δ᾽ ὧδ᾽ ἐπ᾽ ἀριστέρ᾽ ἔχε στρατοῦ, ὄφρα τάχιστα
Quanto a noi, dirigiti, guida per di qui sulla sinistra
dell’esercito, affinchè al più presto
327 εἴδομεν
ἠέ τῳ εὖχος ὀρέξομεν, ἦέ τις ἡμῖν[9]
’.
vediamo se a qualcuno daremo (da ὀρέγω) vanto, o qualcuno
(lo darà) a noi ».
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328
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328 ὣς
φάτο, Μηριόνης δὲ θοῷ ἀτάλαντος Ἄρηϊ[10]
Così diceva, e Merione simile al rapido Ares
329 ἦρχ᾽
ἴμεν, ὄφρ᾽ ἀφίκοντο κατὰ στρατὸν ᾗ μιν ἀνώγει.
si avviava per andare,
finchè non giunsero (da ἀφικνέομαι) all’esercito, nel punto in cui gli aveva
ordinato (da ἄνωγα).
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330
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330 οἳ δ᾽
ὡς Ἰδομενῆα ἴδον φλογὶ εἴκελον ἀλκὴν
Quelli come videro Idomeneo
simile (da εἴκελος , η, ον, (εἰκός)) al fuoco per la forza, l’impeto (da ἀλκή
, ἡ),
331 αὐτὸν
καὶ θεράποντα σὺν ἔντεσι δαιδαλέοισι,
lui e il (suo) scudiero con
le armi (da ἔντεα , τά) abilmente lavorate (da δαιδάλεος , α, ον: (
δαιδάλλω)),
332 κεκλόμενοι
καθ᾽ ὅμιλον ἐπ᾽ αὐτῷ πάντες ἔβησαν:[11]
esortandosi,
incitandosi, chiamandosi (da κέλομαι), attraverso la folla tutti si gettano
su di lui;
333 τῶν
δ᾽ ὁμὸν ἵστατο νεῖκος [12]
ἐπὶ πρυμνῇσι νέεσσιν.
di questi il combattimento,
la lotta, la mischia (da νεῖκος , εος, τό), era pari, allo stesso livello
davanti alle poppe delle navi.
334 ὡς δ᾽
ὅθ᾽ ὑπὸ λιγέων ἀνέμων σπέρχωσιν ἄελλαι
PARAGONE à Come quando sotto i venti che fischiano, sibilanti
(da λιγύς , λίγεια , λιγύ), le tempeste si sollevano, si mettono in movimento
(da σπέρχω),
335 ἤματι
τῷ ὅτε τε πλείστη κόνις ἀμφὶ κελεύθους,
in quel giorno quando la
polvere (è) più fitta (da πλεῖστος , η, ον, Sup. di πολύς) sopra, ai lati
delle strade,
336 οἵ τ᾽
ἄμυδις κονίης μεγάλην ἱστᾶσιν ὀμίχλην,
e questi sollevano, alzano,
mettono in sospensione una grande nuvola (da ὁμίχλη, ἡ) di polvere tutta
insieme (da ἄμυδις , = ἅμα),
337 ὣς ἄρα
τῶν ὁμόσ᾽ ἦλθε μάχη, μέμασαν δ᾽ ἐνὶ θυμῷ
così davvero di questi lo
scontro, il combattimento scoppiava, si manifestava in uno stesso luogo (da ὁμόσε,
avverbio., (ὁμός)), ed erano desiderosi nel cuore
338 ἀλλήλους
καθ᾽ ὅμιλον ἐναιρέμεν ὀξέϊ χαλκῷ.
di uccidere (da ἐναίρω) gli uni gli altri nel mucchio con
il bronzo acuto, affilato.
339 ἔφριξεν
δὲ μάχη φθισίμβροτος ἐγχείῃσι
La battaglia che fa strage di uomini (da φθισίμβροτος ,
ον, (φθίω, βροτός)) brulica, è irta (da φρίσσω), di lance
340 μακρῇς,
ἃς εἶχον ταμεσίχροας: ὄσσε δ᾽ ἄμερδεν
lunghe, che essi tenevano, reggevano affilate, pronte a
tagliare la carne (da ταμεσίχρως , οος, ὁ, ἡ, (τάμνω)); accecava, abbagliava
(da ἀμέρδω), gli occhi
341 αὐγὴ
χαλκείη κορύθων ἄπο
λαμπομενάων
il bagliore (da αὐγή , ἡ) bronzeo dagli elmi che
lampeggiano (da λάμπω),
342 θωρήκων τε νεοσμήκτων σακέων τε φαεινῶν
dalle corazze appena lucidate (da νεόσμηκτος , ον, (σμήχω))
e dagli scudi splendenti
343 ἐρχομένων
ἄμυδις: μάλα κεν θρασυκάρδιος εἴη
di coloro che andavano allo scontro: molto intrepido di
cuore (da θρασυκάρδιος , ον) sarebbe stato
344 ὃς
τότε γηθήσειεν ἰδὼν πόνον οὐδ᾽ ἀκάχοιτο.
colui che allora avesse gioito (da γηθέω) vedendo la
fatica, la sofferenza e non avesse sofferto, provato dolore (da ἀχεύω).
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Paragone
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Il passaggio che segue, fino al verso 360, è chiaramente
fuori posto: non sembra in effetti esserci in Omero alcun altro caso di una
lunga e superflua ricapitolazione come questa. Potrebbe forse aver costituito
in origine il proemio a questo libro, ed essere stato successivamente
rimpiazzato dal più elaborato passaggio che ora che costituisce l’inizio. D’altra
parte l’imperfetto ἐτεύχετον implica una relazione con quello che è avvenuto in
precedenza: quindi si è anche suggerito che abbiamo qui l’introduzione
originale alla Διὸς ἀπάτη – l’inganno di Zeus – del prossimo libro. Questo il
giudizio di Leaf: Janko considera invece questa ricapitolazione tipida e adatta
al contesto, richiamandosi ad altri analoghi riassunti, dal più breve in
5.508-511 al più lungo in 15.592 sgg. Il riassunto più simile, in 11.73-83,
segna anche una transizione da un combattimento di massa ad una aristia greca.
Janko concorda con Shipp nel definire lo stile ‘tardo’, segno della creatività
del poeta.
La struttura di questa ricapitolazione è ben analizzata da
Heubeck:
·
345-346 : Sommario: i due
figli di Crono sono in disaccordo, il che causa sofferenze agli eroi.
·
347-350 : Il volere di Zeus: aiutare I
Troiani; le sue motivazioni: onorare Achille; il suo
limite: egli non desidera la totale rovina
dei Greci, ma onora Teti e suo figlio.
·
351-357 : Il volere di
Poseidone: aiutare segretamente i Greci; le sue
motivazioni: dolore per le loro sofferenze e
rabbia contro Zeus; il suo limite: dal
momento che Zeus è più Vecchio, egli non può portare aiuto in modo aperto, ma
risveglierà l’esercito di nascosto.
·
358-360 : Sommario: le due divinità tirano con forza la corda delle
Guerra, e molti guerrieri cadono.
Potremmo anche
interpretare il passo come una divagazione di carattere teologizzante che vuole
spiegare come mai Poseidone possa aiutare gli Achei nonostante il divieto di
Zeus: la spiegazione è che il dio aveva assunto aspetto umano, e Zeus non lo
riconosce. Spiegazione debole e non convincente, perché gli dei normalmente si
trasformano in uomini quando intervengono nelle vicende umane, e perché ora
Zeus dovrebbe avere l’attenzione rivolta altrove, come si vede dai versi 1-9.
345
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345 τὼ δ᾽
ἀμφὶς φρονέοντε δύω Κρόνου υἷε κραταιὼ
Questi, divisi tra di loro
(da φρονέω , ἀμφὶς φ. “pensare in modo diverso”), i due potenti figli di
Crono
346 ἀνδράσιν
ἡρώεσσιν ἐτεύχετον ἄλγεα λυγρά.
preparavano, mettevano in
atto (da τεύχω), sofferenze (da ἄλγος , εος, τό) luttuose, dolorose (da
λυγρός , ά, όν), per gli uomini eroi.
347 Ζεὺς
μέν ῥα Τρώεσσι καὶ Ἕκτορι βούλετο νίκην
Zeus invero voleva la
vittoria per i Troiani e per Ettore
348 κυδαίνων Ἀχιλῆα πόδας ταχύν:
οὐδέ τι πάμπαν[13]
349 ἤθελε
λαὸν ὀλέσθαι Ἀχαιϊκὸν Ἰλιόθι πρό[14],
onorando (da κυδαίνω)
Achille veloce di piede; né in alcun modo voleva che fosse distrutto, che
perisse (da ὄλλυμι), completamente (da πάμπαν , avverbio , (πᾶς)) l’esercito
acheo di fronte ad Ilio,
350 ἀλλὰ
Θέτιν κύδαινε καὶ υἱέα
καρτερόθυμον.
ma onorava Teti e il figlio dall’animo forte, bellicoso
(da καρτερόθυμος , ον).
351 Ἀργείους
δὲ Ποσειδάων ὀρόθυνε μετελθὼν
Poseidone, andando tra (di
essi) (da μετέρχομαι , con l’accusativo) esortava, incitava, sollevava (da ὀροθύνω),
gli Achei
352 λάθρῃ
ὑπεξαναδὺς πολιῆς ἁλός: ἤχθετο γάρ ῥα
di nascosto (da λάθρῃ, altrove con il genitivo della
persona all’oscuro) riemerso (da ὑπεξαναδύομαι , con il genitivo πολιῆς ἁλός:
il senso è quello di “venire fuori da sotto”) dal grigio mare: era infatti
davvero contrariato, addolorato (da ἄχθομαι, seguito dal particopio
all’accusativo: ἄχθομαι regge l’acc.; il verbo può poi essere accompagnato da
un participio o riferito al soggetto, o come oggetto)
353 Τρωσὶν
δαμναμένους, Διὶ δὲ κρατερῶς ἐνεμέσσα.
per il loro essere domati, schiacciati (da δάμνημι =
δαμάζω) dai Troiani, ed era fortemente adirato, provava forte rancore (da νεμεσάω,
con il dativo della persona), verso Zeus.
354 ἦ μὰν
ἀμφοτέροισιν ὁμὸν γένος ἠδ᾽ ἴα πάτρη[15],
Certo in verità per
entrambe uguale era la discendenza, ed una la nascita (da πάτρα , Ion. ed Ep.
πάτρη , ἡ),
355 ἀλλὰ
Ζεὺς πρότερος γεγόνει καὶ πλείονα ᾔδη.
ma Zeus era nato (da γίγνομαι)
per primo ed aveva conosciuto (da οἶδα) più cose.
356 τώ ῥα
καὶ ἀμφαδίην μὲν ἀλεξέμεναι ἀλέεινε,
Dunque anche pubblicamente
(da ἀμφάδιος , α, ον, dove l’accusativo femminile ἀμφαδίην , = ἀμφαδόν,
è usato come avverbio) evitava (da ἀλεείνω) di portare aiuto (da ἀλέξω),
357 λάθρῃ
δ᾽ αἰὲν ἔγειρε κατὰ στρατὸν ἀνδρὶ ἐοικώς.
ma sempre di nascosto in mezzo all’esercito incitava (da ἐγείρω)
somigliando ad un uomo.
358 τοὶ
δ᾽ ἔριδος κρατερῆς
καὶ ὁμοιΐου πτολέμοιο
Questi dunque della dura contesa e della guerra alla pari,
imparziale (da ὁμοίιος , ον),
359 πεῖραρ[16]
ἐπαλλάξαντες ἐπ᾽ ἀμφοτέροισι τάνυσσαν
tirano (da τανύω), alternando (da ἐπαλλάσσω), sopra l’uno
e sopra l’altro (dei due eserciti) la fune (da πεῖραρ (anche πεῖρας) , ατος,
τό, forma Ep. e Ion. per πέρας)
360 ἄρρηκτόν
τ᾽ ἄλυτόν τε, τὸ πολλῶν γούνατ᾽ ἔλυσεν.
che non si spezza (da ἄρρηκτος , ον, (ῥήγνυμι)) e non si
scioglie (da ἄλυτος , ον , poetico), che di
molti sciolse le ginocchia.
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Aristia di Diomede
361
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361 ἔνθα
μεσαιπόλιός[17] περ ἐὼν
Δαναοῖσι κελεύσας
E qui, pur essendo
brizzolato, con i capelli grigi (da μεσαιπόλιος , ον), esortando, incitando
(da κελεύω) i Danai
362 Ἰδομενεὺς
Τρώεσσι μετάλμενος ἐν φόβον ὦρσε.
Idomeneo, assaltando (da μεθάλλομαι,
usato da Omero solo al participio aoristo, con il dativo della persona) i
Troiani (li) spinge (da ὄρνυμι) alla fuga in preda al panico.
363 πέφνε
γὰρ Ὀθρυονῆα[18]
Καβησόθεν ἔνδον ἐόντα,
Infatti uccide Otroneo, che
si trovava dentro (da ἔνδον: si trovava in città, a Troia) (provenendo da)
Cabeso,
364 ὅς ῥα
νέον πολέμοιο μετὰ κλέος εἰληλούθει,
lui che da poco era giunto
(da ἔρχομαι) alla notizia della guerra,
365 ᾔτεε
δὲ Πριάμοιο θυγατρῶν εἶδος ἀρίστην[19]
e domandava (da αἰτέω) la
prima per bellezza tra le figlie di Priamo,
366 Κασσάνδρην[20]
ἀνάεδνον, ὑπέσχετο δὲ μέγα ἔργον,
Cassandra, senza doni nuziali (da ἀνάεδνος , ἡ,
avverbiale), promise (da ὑπισχνέομαι, transitivo) però una grande impresa,
367 ἐκ
Τροίης ἀέκοντας ἀπωσέμεν υἷας Ἀχαιῶν.
che avrebbe respinto,
ricacciato indietro (da ἀπωθέω), contro la loro volontà da Troia i figli
degli Achei.
368 τῷ δ᾽
ὁ γέρων Πρίαμος ὑπό τ᾽ ἔσχετο καὶ κατένευσε[21]
A lui il vecchio Priamo
promise (da ὑπισχνέομαι, transitivo) e confermò con un cenno del capo.
369 δωσέμεναι: ὃ δὲ μάρναθ᾽ ὑποσχεσίῃσι
πιθήσας.
che (gliela) avrebbe data
(da δίδωμι); e lui combatteva (da μάρναμαι) fidando (da πείθω, con il
dativo) nella promessa (da ὑποσχεσίη , ἡ, Ep. per ὑπόσχεσις).
370 Ἰδομενεὺς
δ᾽ αὐτοῖο τιτύσκετο
δουρὶ φαεινῷ,
Su di lui Idomeneo prendeva la mira (da τιτύσκομαι, con τινος della
pers. e τινι dell’arma: questo è il senso più frequente, ma si veda 8.41 e
13.23, ὑπ᾽ ὄχεσφι τιτύσκετο χαλκόποδ᾽ ἵππω) con la lucida lancia,
371 καὶ βάλεν ὕψι βιβάντα[22]
τυχών: οὐδ᾽ ἤρκεσε θώρηξ
e lo colpisce, mentre va camminando (da βίβημι, utilizzato
da Omero solo al participio) a testa alta, cogliendolo; né fu sufficiente,
resistette (da ἀρκέω, qui assoluto: altrove con l’accusativo, come in 6.16 o
in 13.330), la corazza, l’armatura
372 χάλκεος,
ὃν φορέεσκε, μέσῃ δ᾽ ἐν γαστέρι πῆξε.
di bronzo, che portava, portava costantemente (da φορέω),
e lo trafisse (da πήγνυμι) in pieno ventre (da γαστήρ , ἡ, gen. έρος,
γαστρός).
373 δούπησεν
δὲ πεσών: ὃ δ᾽ ἐπεύξατο φώνησέν τε:
cadendo (da πίπτω) fece un gran fragore (da δουπέω); egli
si vanta (da ἐπεύχομαι) e dice:
374 ‘ Ὀθρυονεῦ
περὶ δή σε βροτῶν αἰνίζομ᾽ ἁπάντων[23]
« Otrioneo, al di sopra di tutti i mortali io ti ammiro, ti lodo
(da αἰνίζομαι , = αἰνέω),
375 εἰ ἐτεὸν
δὴ πάντα τελευτήσεις ὅσ᾽ ὑπέστης
se davvero, veramente (da ἐτεός , ά, όν, qui avverbio),
porterai a termine (da τελευτάω) tutte le cose che promettesti, sulle quali
ti impegnasti (da ὑφίστημι , col dativo della persona verso la quale ci si
impegna),
376 Δαρδανίδῃ
Πριάμῳ: ὃ δ᾽ ὑπέσχετο θυγατέρα ἥν.
con il Dardanide Priamo: questi ti promise sua figlia.
377 καί
κέ τοι ἡμεῖς ταῦτά γ᾽ ὑποσχόμενοι τελέσαιμεν,
Anche noi, promettendo a te queste cose, potremmo
mantenerle,
378 δοῖμεν
δ᾽ Ἀτρεΐδαο θυγατρῶν εἶδος ἀρίστην
e potremmo darti la prima per bellezza tra le figlie
dell’Atride
379 Ἄργεος
ἐξαγαγόντες ὀπυιέμεν[24],
εἴ κε σὺν ἄμμιν
portandola via (da ἐξάγω , con il genitivo del luogo) da
Argo perché sia presa in sposa (da ὀπυίω), qualora insieme a noi
380 Ἰλίου
ἐκπέρσῃς εὖ ναιόμενον πτολίεθρον[25].
di Ilio (tu) distrugga (da ἐκπέρθω) la città (da
πτολίεθρον , τό, Ep. forma allungata di πόλις (πτόλις))
ben popolata, ben abitata (da ναίω).
381 ἀλλ᾽
ἕπε᾽, ὄφρ᾽ ἐπὶ νηυσὶ συνώμεθα ποντοπόροισιν
Ma segui(ci) (da ἕπομαι), affinche sulle navi che solcano
il mare si mettiamo d’accordo (da συνίημι)
382 ἀμφὶ
γάμῳ, ἐπεὶ οὔ τοι ἐεδνωταὶ[26]
κακοί εἰμεν ’.
circa il matrimonio (da γάμος , ὁ), dal momento che – te
lo assicuro – non siamo cattivi mediatori di nozze (da ἑδνωτής , Ep. ἐεδν- ,
οῦ, ὁ ; hapax in Omero) ».
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Otrioneo (T)
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[1] L’antica
formula ἀτάλαντος Ἐνυαλίῳ ἀνδρειφόντῃ - cfr. 2.651, 7.166, 8.264 – è riservata
a Merione, mentre θοῷ ἀτάλαντος Ἄρηϊ descrive anche Ettore, Patroclo ed
Automedonte. Un eroe che inizia la sua aristia viene spesso brevemente
paragonato ad Ares: si veda per esempio in 20.46, 22.132. E dopo una tale
similitudine ci aspettiamo che l’azione abbia inizio. Ma il poeta è un maestro
nel creare suspence sulla base di quello che ci si aspetta. Utilizzando una
tecnica comune, il poeta amplifica il paragone del verso 295 in un’immagine che
occupa sei veri. Similitudini dirette tra uomini e dei sono del tipo più raro
in Omero: si veda 2.478 sg. dove Agamennone è paragonato a Zeus, Ares e
Poseidone; in 7.208-210 Aiace entra in battaglia come Ares quando va a
combattere tra gli uomini; e vi veda anche Od. 6.102-8.
[2] Phobos,
“Rotta”, con Deimos, “Terrore”, è figlio di Ares e di Afrodite: si veda Teog.
934. Egli compare con il fratello in 4.440 e 15.119, dove si comporta come
servitore di Ares. Per terrorizzare il nemico compare sull’armatura a fianco
della Gorgone in 5.739 e 11.37. Aveva un culto a Selinunte (apparentemente al
posto di Ares) e a Sparta.
L’origine tracia di Ares appartiene alla tradizione:
in Od. 8.361 il dio fugge in Tracia dopo essere stato colto insieme ad
Afrodite. Ma questo non implica che, come la dea di Pafo, egli sia realmente un
dio straniero. I Greci spesso percepivano le emozioni più forti come originate
all’esterno di se stessi, e le divinità che personificavano tali forze, e.g.
Dioniso, come esterne alla loro società: da cui la loro prontezza nell’adottare
divinità aliene come Adone e Sabazio. Il nome di Ares può effettivamente essere
greco, e – come Enialio e Dioniso – egli è già attestato in miceneo come A-re (KN Fp 14).
[3] La
transizione dalla similitude al passaggio descrittivo, che non ha nulla a che
fare con la comparazione, produce un effetto piuttosto stridente, specialmente
laddove il presente θωρ́ησσεσθον – non può trattarsi di un imperfetto - lascia
di nuovo il posto all’aoristo della similitudine in 303. Gli aoristi sono
gnomici, dal momento che il presente indica un evento ripetuto trattandosi si
nemici tradizionali. Sembra dunque non vi sia alcun riferimento ad un
particolare evento mitologico, come si dovrebbe invece supporre: l’idea
dev’essere che nelle continue guerre tra le due tribù confinanti, ai confini
della Tracia, Ares va spesso allo scontro parteggiando ora per l’uno ora per
l’altro. La preposizione μετά non sembra implicare ostilità, ma lascia solo
intendere che Ares si unisce a una delle due parti. Ma non si può escludere
l’ipotesi che Ares vada all’inseguimento di una delle due parti, nel qual caso
si deve intendere che Ares accompagna i propri Traci in razzie ai danni dei
loro vicini a sud.
Secondo Strabone, IX.442, gli Efiri abitavano la più
tarda Crannone in Tessaglia, mentre i Flegi, o Flegei, venivano da Girtone
(l’omerica Girtone, 2.738). Questi ultimi erano un’orda di briganti che
catturano Tebe, e furono alla fine distrutti da Apollo a causa del loro
sacrilego assalto a Delfi. I Flegi erano in effetti dei Lapiti: il loro eponimo
Flegia generò il Lapita Issione, ed ha molti legami con la Tessaglia. La
Tessaglia viene ritenuta in effetti la loro prima sede, dalla quale muovono poi
verso la Focide quando i Beoti muovono verso sud. Omero - come fa spesso -
attinge alla saga tessala.
[4] La
sinistra rispetto ai Greci è sempre rappresentata cone la scena del conflitto
più acceso: si veda 11.498. Non c’è alcun caso nell’Iliade nel quale si
menzioni il combattimento sulla destra.Si noti che Omero dice di preferenza ἐπ᾽
ἀριστερά – da ἀριστερός , ά, όν – e , ἐπὶ δεξιά – da δεξιός , ά, όν – come in
5.355, 12.239. Questa finale in –οφι è una innovazione basata su antiche finali
strumentali. Per δεύεσθαι πολέμοιο, si veda μάχης ἐδεύεο (17.142). Ma anche
23.670 e Od. 21.185.
[5] La
descrizione del combattimento richiama la scena 170-194, laddove Teucro ed
Aiace respingono Ettore. La versatilità di Teucro nel combattimento è nota.
Idomeneo lo definisce il migliore arciere, ma Merione lo batte nei giochi in
onore di Patroclo (23.859 sgg.). Così allo stesso modo Toante definito il
migliore tra gli Etoli, abile con il giavellotto e valido nello σταδίη, nel
combattimento ravvicinato (15.282 sg.). Il contrasto tra lo σταδίη e
l’inseguimento in una rotta (325) compare anche in 7.240. Idomeneo si riferisce
ai tre stadi del combattimento omerico: il combattimento a distanza con
proiettili di vario tipo, lo σταδίη e la fuga, la rotta. Egli stesso è migliore
nello σταδίη, ma meno abile sulla distanza (ἀποσταδόν) e nella rotta. Al
contrario gli arcieri della locride evitano il combattimento ravvicinato e sono
efficaci sul lungo raggio (713-718). 22.116.
[6] L’idioma
οἵ μιν ἅδην ἐλόωσι […] πολέμοιο, “lo condurranno a stancarsi della guerra”,
ricorre anche in 19.423 e Od. 5.290. Il termine ἅδην è un accusativo fossile di
*ἅδη, e qui si deve (Leaf) interpretare come un avverbio sostantivale che regge
πολέμοιο. Non è ἐσσύμενον a reggerlo, anche se quest’ultimo può reggerlo, come
documentato in 24.404 o al verso 787 in questo libro; si veda anche 11.717.
[7] Il
termine ἀκτή, “cibo”, è fossilizzato nelle formule ἀλφίτου (ἱεροῦ) ἀκτήν
(11.631, cfr. Od. 2.355) e Δημήτερος (ἱερὸν)
ἀκτὴν (anche in 211.76 e 5x in Esiodo). Gli ei possono assumere le sembianze
dei mortali, ma non mangiano mai cibo mortale, da cui l’aggiunta.
[8] νῶϊν è
una strana espressione: deve trattarsi di un dativo etico (Leaf), ma questo uso
del dativo non ha paralleli evidenti. In Janko è ritenuto un accusativo duale,
e per Aristarco di tratta di un genitivo, “sulla nostra sinistra”. Ed ἔχε deve
significare “guida, dirigiti”, dal momento che ἔχειν senza un oggetto significa
appunto “guidare, dirigersi, andare” (cfr. 16.378, 23.422 etc.), ma con un
carro. Non c’è alcun chiato esempio di utilizzo nel senso di andare (a piedi),
a meno che questo significato possa essere dedotto dall’uso intransitivo di ἔσχεν
(520). Quindi improvvisamente Merione e Idomeneo sono immaginati a bordo di un
carro, del quale non abbiamo prima avuto alcuna informazione. ὧδε potrebbe
essere di luogo (si veda 10.537), “di qui, per questa via”, ma il significato
abituale, “così, come stiamo facendo”, può essere ugualmente appropriato.
[9] Si vada
12.328.
[10] Si veda
il verso 295.
[11] 332 =
11.460.
[12] Come νεῖκος
ὁμοίϊον (4.444), ὁμὸν ἵστατο νεῖκος è una delle molte espressioni relative allo
scontrarsi e al mescolarsi delle prime linee avversarie indicato da ὁμόσ᾽ ἦλθε
μάχη (337) e ἐρχομένων ἄμυδις (343).
[13] Si noti
in 9.435 la dislocazione della formula οὐδέ τι πάμπαν.
[14] Si noti
la formula Ἰλιόθι πρό (3x in Omero) che stranamente combina un locativo con πρό.
Si veda per esempio 8.561. Forme simili ἠῶθι πρό e οὐρανόθι πρό: si veda anche
11.50 con la nota.
[15] πάτρη altrove
viene sempre utilizzato in un senso puramente locale, come dimora o luogo di
nascita. Ma gli dei in Omero sono eccezionalmente liberi da ogni collegamento
con una località; non possiamo dire dove sia il loro luogo di nascita, mentre
per quanto riguarda la loro dimora quella di Poseidone era il mare, piuttosto
che l’Olimpo, dimora di Zeus. La parola quindi sembra avere qui il il
significato più astratto di origine, discendenza, paternità, una
specializzazione del più vago γένος.
[16] Il
significato originale di πεῖραρ, come rivelano termini affini in sanscrito ed
avestico, doveva essere “il punto dove qualcosa termina (e qualcos’altro
inizia)”, “limite”, “fattore decisivo”, o “legame” dal momento che la fine di
una cosa e l’inizio della successiva può essere visto come un collegamento, un
legame tra esse. Come in Od. 12.51, 162, 179 e nell’Inno ad Apollo 129, il
termine significa anche “fune, corda”, dal momento che essa è “indistruttibile,
che non può essere sciolta” (cfr. i legami divini in 37, Od. 8.275). Aristarco
interpretò πεῖραρ come “estremità della fune” e ἐπαλλάξαντες nel senso di
“passare sopra” (nel fare un nodo), pensò che gli dei legassero insieme
l’estremità della contesa e quella della battaglia, e tirassero la fune stretta
intorno ai due eserciti, forzandoli a scontrarsi, come dentro ad un cappio. In
realtà 358 è solo una complicata formula per “guerra” (cfr. 18.242), e ἐπαλλάσσω
più tardi significa “alternare”, che si adatta ad una battaglia in cui ciascuno
dei due fronti è, in alternanza, vittorioso.
[17] L’età
di Idomeneo è già piuttosto avanzata per un reclutamento. Non è però un
particolare inventato per l’occasione, e neppure per giustificare il ritiro in
512 sgg.; il suo ruolo di consigliere, il suo comparire con Nestore e Fenice in
19.311 e gli insulti di Aiace Oileo in 23.476 provano che questo elemento
proviene dalla tradizione. Odisseo, leggermente più giovane, è ὠμογέρων (si
veda 23.791). Il termine compare una sola volta in Omero, e la prima parte del
composto è apparentemente un antico locativo, oppure (meglio) mostra un
allungamento metrico per anologia con μεσαίτερος (Chantraine, Dict. s.v. μέσος
[18]
Idomeneo uccide tre importanti vittime nella sua aristia, la quale termina com
è iniziata, con un riferimento alla sua età avanzata (511-515). Esiste una
certa simmetria nella scelta delle sue vittime: Otroneo è fidanzato alla figlia
di Priamo, e Alcatoo è sposato con quella di Anchise (la rivalità tra le due
case reali troiane è menzionata in 460 sg.); il sentimento della famiglia
scatena allora dapprima Deifobo poi Enea. Le prime due vittime sono dei pazzi
vanagloriosi, mentre il terzo provoca parole di trionfo – Idomeneo ha l’ultima
parola, chiudendo la contro-vanteria di Deifobo. Alcatoo fornisce il tragico climax dell’aristia, ma sia Alcatoo che
Otroneo sono stati certamente inventati per fare da cornice ad Asio.
In 361-382 la caduta di Otroneo è tipica, ma in
qualche modo vivacizzata da umore piuttosto nero a sue spese. Essa segue lo
schema tripartito solito: dichiarazione di base (363), breve racconto della
vita della vittima (364-369) e resoconto del colpo mortale (370-372), con un
discorso sarcastico finale. Il suo folle orgoglio distrugge il consueto pathos.
In quanto si era unito ai combattimenti piuttosto tardi, somiglia ad altri
alleati in 792 sgg. e a Reso, Euforbo, Licaone ed Asteropeo (10.434, 16.810
sg., 21.80 sg. e 155 sg.). Solo qui abbiamo il dettaglio di un ‘epitaffio’. Il
matrimonio è un motivo favorito.
Come Dolone, Otroneo è rovinato dal fatto di
intraprendere, in cambio di un premio esorbitante, un compito assolutamente al
di sopra delle sue possibilità; Pandaro ed Asio sono uccisi in un simile
contesto.
[19] Si veda
Laodice, in 3.124 e 6.252. E poi il verso 378.
[20] La
bellezza di Cassandra è menzionata anche in 24.699. Si veda anche Od. 11.421
sg. Omero era probabilmente a conoscenza della sua follia profetica, come ne
erano a conoscenza i Canti ciprii, ma
per lo più la ignora.
[21] Si veda
ὑπέσχετο καὶ κατένευσε in 12.236, 9.19 oppure 1.112.
[22] Si veda
in 3.22 μακρὰ βιβάντα. La frase bene ritrae il carattere spavaldo dell’eroe, di
Otrioneo, e forse s’intende che camminava a testa alta, eretto, non ὑπασπίδια,
nel modo ortodosso (158), cioè protetto dallo scudo. τυχών viene qui utilizzato
in modo assoluto, come spesso accade, e l’accusativo è retto da βάλεν.
[23] I versi
374-382 comprendono il primo delle tre vanterie (le altre sono in 414-416 e in
446-454), tutte sul tema della ricompensa. Si assume che Idomeneo conosca la
follia di Otrioneo, e lo sta prendendo in giro per questo.
[24] Il
termine ὀπυίω è un antico verbo che sopravvive in Cretese, e significa “venire
presa in sposa”, piuttosto che “sposarsi”.
[25] Per il
verso 380 si veda 2.133.
[26] Quella
del mediatore di nozze p una professione assolutamente riconosciuta in molte
comunità, sia civilizzate che selvagge, fino ai giorni nostri. Sebbene non ci
sia traccia di tutto questo in Omero, comunque l’esistenza del mediatore è una
naturale conseguenza della visione economica del matrimonio implicita nell’esistenza
degli ἔδνα, i doni nuziali da parte dell’uomo per acquistare la sposa. Per il
verbo ἐεδνόω si veda Od. 2.53.
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