I combattimenti di massa, che continuano (cfr. 540),
costituiscono il palcoscenico per due scontri simili; 506-539 in particolare
segue lo schema di 169-205. I Greci mantengono il vantaggio (i combattenti
troiani sono in caratteri corsivi):
A 1. Enea
tira contro Idomeneo, ma lo manca (502-505);
2. Idomeneo uccide Enomao, ma non riesce a spogliarlo delle
armi e si ritira (506-515);
3. Deifobo
tira contro Idomeneo, ma uccide invece Ascalafo (516-525);
4. Merione ferisce Deifobo, avanza e recupera la sua lancia
(526-539);
B 1. Enea
uccide Afareo (541-544);
2. Antiloco uccide Toone, lo spoglia delle armi e si ritira
(545-559);
3. Adamante
scagli la lancia contro Antiloco, ma la punta non penetra (560-566);
4. Merione uccide Adamante, avanza e recupera la sua lancia (567-575).
I tre Troiani uccisi, elencati in 12.140 come al seguito di
Asio, muoiono in ordine inverso. La lingua è tradizionale, come ci si aspetta
data la mancanza di discordi in 487-725 (con l’eccezione di 620-639).
502
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502 Αἰνείας
δὲ πρῶτος ἀκόντισεν Ἰδομενῆος:
Enea per primo tira (da ἀκοντίζω, con il genitivo della
persona contro cui si scaglia l’arma, ed il dativo dell’arma) contro
Idomeneo;
503 ἀλλ᾽
ὃ μὲν ἄντα ἰδὼν ἠλεύατο χάλκεον ἔγχος[1],
egli però vedendolo di
fronte, faccia a faccia (da ἄντα , avverbio Ep.: ἄ. ἰδεῖν), scansò (da ἀλέομαι,
con l’accusativo della cosa), l’asta di bronzo
504 αἰχμὴ
δ᾽ Αἰνείαο κραδαινομένη κατὰ γαίης
la punta della lancia (da αἰχμή
, ἡ) di Enea vibrando (da κραδαίνω) giù a terra
505 ᾤχετ᾽,
ἐπεί ῥ᾽ ἅλιον στιβαρῆς ἀπὸ χειρὸς ὄρουσεν.
finiva (da οἴχομαι), poiché
a vuoto via dal braccio potente (da στιβαρός , ά, όν) era partita (da ὀρούω).
506 Ἰδομενεὺς
δ᾽ ἄρα Οἰνόμαον βάλε γαστέρα μέσσην,
Idomeneo a questo punto colpì Enomao il pieno ventre,
507 ῥῆξε
δὲ θώρηκος γύαλον[2],
διὰ δ᾽ ἔντερα χαλκὸς
508 ἤφυσ᾽:
ὃ δ᾽ ἐν κονίῃσι πεσὼν ἕλε γαῖαν ἀγοστῷ.[3]
ruppe (da ῥήγνυμι) la parte curva (da γύαλον , τό,
comunque di non facile interpretazione) della corazza (da θώραξ , ακος, Ep. e
Ion. θώρηξ , ηκος, ὁ), le viscere (da ἔντερον , τό) tirò fuori (da διαφύσσω in tmesi: fuoriscono quasi come un
liquido) il bronzo: quello, cadendo nella polvere, prende, stringe la
terra con il palmo della mano (da ἀγοστός , ὁ, uso limitato a quest’espressione).
509 Ἰδομενεὺς
δ᾽ ἐκ μὲν νέκυος δολιχόσκιον ἔγχος
Idomeneo dal corpo (da
νέκυς , υος, ὁ) la lunga asta
510 ἐσπάσατ᾽,
οὐδ᾽ ἄρ᾽ ἔτ᾽ ἄλλα δυνήσατο τεύχεα καλὰ
tira via (da σπάω); ma non più riesce (da δύναμαι) le
belle armi
511 ὤμοιιν
ἀφελέσθαι: ἐπείγετο γὰρ βελέεσσιν.[4]
a strappare via, a togliere (da ἀφαιρέω, in costruzione
per lo più ἀ. τί τινι), dalle spalle; infatti era oppresso (da ἐπείγω) dai
dardi, dai colpi (da βέλος , εος, τό).
512 οὐ γὰρ
ἔτ᾽ ἔμπεδα γυῖα[5]
ποδῶν ἦν ὁρμηθέντι,
Non più infatti le
articolazioni del piede erano salde (da ἔμπεδος , ον, (πέδον): lett. “basato
sul suolo”) a lui che assaltava (da ὁρμάω),
513 οὔτ᾽
ἄρ᾽ ἐπαΐξαι μεθ᾽ ἑὸν βέλος οὔτ᾽ ἀλέασθαι.
né per balzare (da ἐπαίσσω) dietro al suo stesso colpo,
lancio, arma (da βέλος , εος, τό), né a schivare (da *ἀλέω , solo al medio ἀλέομαι).
514 τώ ῥα
καὶ ἐν σταδίῃ μὲν
ἀμύνετο νηλεὲς ἦμαρ,
Poi anche solo nel corpo a
corpo (da στάδιος , α, ον) distoglieva, allontanava (da ἀμύνω), il giorno
spietato, crudele, fatale (da νηλής , ές, Ep. neutro νηλεές),
515
τρέσσαι δ᾽
οὐκ ἔτι ῥίμφα πόδες φέρον ἐκ πολέμοιο.
però non più i piedi leggermente, agilmente, rapidamente
(da ῥίμφα , avverbio), lo portavano per fuggire, per sottrarsi a (da τρέω),
la battaglia
516 τοῦ
δὲ βάδην ἀπιόντος ἀκόντισε δουρὶ φαεινῷ
Contro di lui che si ritirava (da ἄπειμι) passo dopo
passo, gradualmente (da βάδην , avverbio (βαίνω): non stava quindi fuggendo,
ma si stava ritirando con cautela), scaglia (da ἀκοντίζω, con il dativo dell’arma
ed il genitivo della persona contro cui si scaglia: il verbo è specifico
della lancia) l’asta scintillante
517
Δηΐφοβος: δὴ γάρ οἱ ἔχεν κότον ἐμμενὲς αἰεί.
Deifobo: infatti sempre incessantemente (da ἐμμενής , ές,
Omero ha solamente il neutro ἐμμενές come avverbio, sempre nella frase ἐ. αἰεί)
provava rancore (da κότος , ὁ, più radicato del sentimento espresso da χόλος)
contro di lui.
518 ἀλλ᾽
ὅ γε καὶ τόθ᾽[6]
ἅμαρτεν, ὃ δ᾽ Ἀσκάλαφον βάλε δουρὶ
Quello però anche questa volta, anche allora sbagliò (da ἁμαρτάνω),
e colpì con la lancia Ascalafo,
519 υἱὸν
Ἐνυαλίοιο[7]:
δι᾽ ὤμου δ᾽ ὄβριμον ἔγχος
figlio di Enialio: attraverso la spalla la lunga lancia
520 ἔσχεν:
ὃ δ᾽ ἐν κονίῃσι πεσὼν ἕλε γαῖαν ἀγοστῷ[8].
passò (da ἔχω: intransitivo): colpisce; quello, cadendo
nella polvere, prende, stringe la terra con il palmo della mano (da ἀγοστός ,
ὁ, uso limitato a quest’espressione).
Però in alcun modo nulla
aveva saputo (da πυνθάνομαι) il forte,
potente Ares dalla possente voce (da βριήπυος , ον)
522 υἷος
ἑοῖο πεσόντος ἐνὶ κρατερῇ ὑσμίνῃ,
di suo figlio caduto nella
dura battaglia,
523 ἀλλ᾽
ὅ γ᾽ ἄρ᾽ ἄκρῳ Ὀλύμπῳ ὑπὸ χρυσέοισι νέφεσσιν
ma egli invece sul punto
più alto (da ἄκρος , α, ον) dell’Olimpo, sotto nuvole (da νέφος , εος, τό)
d’oro,
524 ἧστο
Διὸς βουλῇσιν ἐελμένος, ἔνθά περ ἄλλοι
se ne stava (da ἧμαι)
confinato (da εἴλω) in seguito ai piani (da βουλή , ἡ) di Zeus, e proprio qui gli altri
525 ἀθάνατοι
θεοὶ ἦσαν ἐεργόμενοι πολέμοιο.
dei immortali erano, se ne
stavano, tenuti lontani (da ἔργω) dalla guerra.
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Enomao (T)
Ascalafo (A)
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526
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526 οἳ δ᾽
ἀμφ᾽ Ἀσκαλάφῳ αὐτοσχεδὸν ὁρμήθησαν[11]:
Questi dunque sul corpo di (da ἀμφί, ma ha anche senso
causale, “per Ascalafo; per il corpo di Ascalafo”) Ascalafo si avventarono
(da ὁρμάω) nel combattimento corpo a corpo (da αὐτοσχεδόν , avverbio, in
Omero sempre riferito al combattimento ravvicinato),
527
Δηΐφοβος μὲν
ἀπ᾽ Ἀσκαλάφου πήληκα φαεινὴν
Deifobo da Ascalafo l’elmo
(da πήληξ , ηκος, ἡ) splendente, lucente
528 ἥρπασε,
Μηριόνης δὲ θοῷ ἀτάλαντος
Ἄρηϊ
strappò via (da ἁρπάζω), ma
Merione, simile al rapido Ares,
529 δουρὶ
βραχίονα τύψεν ἐπάλμενος, ἐκ δ᾽ ἄρα χειρὸς
balzando in avanti con la
lancia colpì (da τύπτω, qui con l’accusativo della parte colpita) il braccio
(da βραχίων , ονος, ὁ), ed ecco che dalla mano
530 αὐλῶπις
τρυφάλεια χαμαὶ βόμβησε πεσοῦσα.
l’elmo (da τρυφάλεια , ἡ) fornito di tubo per il
pennacchio (da αὐλῶπις , ιδος, ἡ, (ὤψ), nell’Iliade sempre epiteto di τρυφάλεια:
significato non chiaro, un’altra interpretazione fa riferimento alla visiera
munita di fori per vedere) rimbombò (da βομβέω) cadendo (da πίπτω) a terra.
531
Μηριόνης δ᾽ ἐξ αὖτις ἐπάλμενος αἰγυπιὸς ὣς
Merione di nuovo scattando
(da ἐξεφάλλομαι, in tmesi) come un avvoltoio (da αἰγυπιός , ὁ)
532 ἐξέρυσε
πρυμνοῖο βραχίονος[12]
ὄβριμον ἔγχος,
dalla parte superiore del
braccio (da πρυμνός , ή, όν, dove il braccio si unisce alla spalla) strappò
via (da ἐξερύω, con il genitivo) la lunga, pesante lancia,
533 ἂψ δ᾽
ἑτάρων εἰς ἔθνος ἐχάζετο[13].
e immediatamente
indietreggiava (da χάζομαι) verso il gruppo (da ἔθνος , εος, τό) dei compagni.
533 τὸν
δὲ Πολίτης
534 αὐτοκασίγνητος
περὶ μέσσῳ χεῖρε τιτήνας
Allora Polite, il fratello,
a lui stendendo, mettendo (da τιταίνω, con il doppio accusativo τὸν […] χεῖρε
τιτήνας), le due braccia intorno alla vita (da
μέσος , η, ον, Ep. μέσσος)
535 ἐξῆγεν
πολέμοιο δυσηχέος, ὄφρ᾽ ἵκεθ᾽ ἵππους[14]
lo portava via (da ἐξάγω,
per lo più con il genitivo del luoco) dalla battaglia dal suono cupo,
dal suono sinistro (da δυσηχής , ές, (ἠχέω)), finchè raggiunse (da ἱκνέομαι)
i cavalli
536 ὠκέας,
οἵ οἱ ὄπισθε μάχης ἠδὲ πτολέμοιο
veloci, che a lui dietro (da ὄπισθεν , ὄπισθε prima di una
consonante: preposizione con il genitivo) la guerra e al combattimento
537 ἕστασαν
ἡνίοχόν τε καὶ ἅρματα ποικίλ᾽ ἔχοντες:
stavano, con (da ἔχω: il part. pres. Insieme ad un altro
verbo ha praticamente il senso di “con”) l’auriga e il carro abilmente
lavorato, cesellato (da ποικίλος , η, ον);
538 οἳ
τόν γε προτὶ ἄστυ φέρον βαρέα στενάχοντα
questi dunque lui portavano
verso la città, fino alla città, mentre gemeva (da στενάχω) forte
539
τειρόμενον: κατὰ δ᾽ αἷμα νεουτάτου ἔρρεε χειρός.
sfinito, indebolito (da τείρω); il sangue scorreva (da ῥέω)
giù dal braccio appena ferito (da νεούτατος , ον, (οὐτάω)).
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540
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540 οἳ δ᾽
ἄλλοι μάρναντο, βοὴ δ᾽ ἄσβεστος ὀρώρει.[15]
Gli altri intanto combattevano
(da μάρναμαι), e un grido inestinguibile (da ἄσβεστος , ον, anche η, ον) si
era alzato (da ὄρνυμι).
541 ἔνθ᾽
Αἰνέας Ἀφαρῆα Καλητορίδην ἐπορούσας
E qui Enea balzando su (da ἐπορούω,
con l’accusativo) Afareo Caletoride, figlio Caletore,
542 λαιμὸν
τύψ᾽ ἐπὶ οἷ τετραμμένον ὀξέϊ δουρί:
mentre era rivolto (da τρέπω) verso di lui, (lo) colpì (da
τύπτω: la parte colpita qui è in accusativo) alla
gola (da λαιμός , ὁ) con la lancia affilata, puntuta;
543 ἐκλίνθη
δ᾽ ἑτέρωσε κάρη, ἐπὶ δ᾽ ἀσπὶς ἑάφθη[16]
544 καὶ
κόρυς,
si piega (da κλίνω) la
testa all’indietro (da ἑτέρωσε, vedi 8.306: “all’indietro”, in direzione
opposta all’origine del colpo), ma sopra (di lui) lo scudo (da ἀσπίς , ίδος, ἡ)
e l’elmo (da κόρυς , υ^θος, ἡ) resta
allacciato (da ἑάφθη, un aoristo passivo che compare solo qui e in 14.415, =
ἥφθη),
544 ἀμφὶ
δέ οἱ θάνατος χύτο θυμοραϊστής[17].
mentre intorno a lui cala, scende, si spande (da χέω), la
morte che distrugge la vita, rovinosa (da θυμοραϊστής, οῦ).
545 Ἀντίλοχος
δὲ Θόωνα μεταστρεφθέντα δοκεύσας
Antiloco, dopo aver atteso
(da δοκεύω, controllava i movimenti di Toone attendendo che si voltasse) che
Toone si voltasse (da μεταστρέφω),
546 οὔτασ᾽
ἐπαΐξας, ἀπὸ δὲ φλέβα[18]
πᾶσαν ἔκερσεν,
balzatogli sopra (da ἐπαίσσω) (lo) ferisce (da οὐτάζω, οὐτάω),
recide (da ἀποκείρω, in tmesi) per intero la vena (da φλέψ , ἡ, gen. φλεβός)
547 ἥ τ᾽
ἀνὰ νῶτα θέουσα διαμπερὲς αὐχέν᾽ ἱκάνει:
che correndo (da θέω) attraverso la schiena (da νῶτον ,
τό, oppure νῶτος , ὁ, pl. sempre νῶτα, τά negli scrittori più antichi) per
tutta la lunghezza (da διαμπερές , avverbio) raggiunge il collo;
548 τὴν ἀπὸ
πᾶσαν ἔκερσεν: ὃ δ᾽ ὕπτιος ἐν κονίῃσι
questa recise per intero; egli allora supino, sulla
schiena (da ὕπτιος , α, ον), nella polvere
cadde, crollò (da καταπίπτω), entrambe le braccia agli
amati compagni, ai suoi compagni, tendendo (da πετάννυμι).
550 Ἀντίλοχος
δ᾽ ἐπόρουσε, καὶ αἴνυτο τεύχε᾽ ἀπ᾽ ὤμων[22]
Antiloco (gli) salta addosso (da ἐπορούω), e gli strappava
(da αἴνυμαι) le armi dalle spalle.
551
παπταίνων: Τρῶες δὲ περισταδὸν ἄλλοθεν ἄλλος
guardingo, guardandosi intorno (da παπταίνω): i Troiani
stando accanto (da περισταδόν, avverbio) chi da una parte chi dall’altra
552 οὔταζον σάκος εὐρὺ παναίολον, οὐδὲ
δύναντο
colpivano (da οὐτάζω, οὐτάω) l’ampio scudo tutto
splendente, dai molti colori (da παναίολος , ον), me non riuscivano
553 εἴσω
ἐπιγράψαι τέρενα χρόα νηλέϊ χαλκῷ
all’interno (da εἴσω , ἔσω (per ragioni metriche): quindi
da intendersi sotto lo scudo) a graffiare (da ἐπιγράφω) con il bronzo
crudele, spietato, la delicata, tenera carne
554 Ἀντιλόχου:
πέρι γάρ ῥα Ποσειδάων ἐνοσίχθων
di Antiloco; tutt’intorno infatti Poseidone scuotitore della
terra
555
Νέστορος υἱὸν[23]
ἔρυτο καὶ ἐν πολλοῖσι βέλεσσιν.
soccorre (da ῥύομαι) il figlio di Nestore anche tra i
fitti colpi.
556 οὐ μὲν
γάρ ποτ᾽ ἄνευ δηΐων ἦν, ἀλλὰ κατ᾽ αὐτοὺς
Infatti neppure per un momento restava senza (da ἄνευ ,
preposiyione con il genitivo: nel senso di “lontano da”, ἄνευ solo qui,
altrove ἄνευθεν) nemici, ma in mezzo ad essi
557
στρωφᾶτ᾽: οὐδέ οἱ ἔγχος ἔχ᾽[24]
ἀτρέμας, ἀλλὰ μάλ᾽ αἰεὶ
si aggirava (da στρωφάω): nè la lancia gli rimaneva (da ἔχω)
senza movimento, immobile (da ἄτρεμας , avverbio), ma sempre molto
558
σειόμενον ἐλέλικτο: τιτύσκετο δὲ φρεσὶν ᾗσιν[25]
scossa, squassata (da σείω) veniva impugnata (da ἐλελίζω):
aveva in mente, progettava (da τιτύσκομαι, qui con l’infinito),
559 ἤ
τευ ἀκοντίσσαι, ἠὲ σχεδὸν ὁρμηθῆναι[26].
o di lanciare (da ἀκοντίζω , con τινός) contro qualcuno, o
di avventarsi (da ὁρμάω) da vicino.
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Afareo (A)
Toone (T)
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560
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560 ἀλλ᾽
οὐ λῆθ᾽ Ἀδάμαντα τιτυσκόμενος καθ᾽ ὅμιλον
Ma mentre prendeva la mira
(da τιτύσκομαι) in mezzo al mucchio non sfuggiva all’attenzione (da λανθάνω,
“sfuggo all’attenzione di qualcuno”, con l’accusativo della persona) di
Adamante,
561 Ἀσιάδην,
ὅ οἱ οὖτα μέσον σάκος ὀξέϊ χαλκῷ
figlio di Asio, che a lui
colpiva (da οὐτάω, con l’accusativo) il centro dello scudo con il
bronzo acuto, affilato,
562 ἐγγύθεν
ὁρμηθείς: ἀμενήνωσεν[27]
δέ οἱ αἰχμὴν
dopo esser venuto (da ὁρμάω) vicino: a lui però indebolì,
rese molle (da ἀμενηνόω), la punta
563
κυανοχαῖτα[28]
Ποσειδάων βιότοιο μεγήρας.
Poseidone dalla chioma blu
scuro (da κυανοχαίτης , ου, ὁ, anche con nominativo κυανοχαῖτα, come in Il. 13.563, 14.390),
negando(gli) (da μεγαίρω, qui con il genitivo della cosa che viene rifiutata:
si veda la costruzione φθονεῖν τινί τινος, per esempio Od. 6.68) (quella)
vita (da βίοτος , ὁ, Ep. = βίος).
E questa proprio qui rimase
(da μένω), come un palo (da σκῶλος , ὁ,= σκόλοψ) bruciato dal fuoco (da πυρίκαυστος
, ον),
565 ἐν
σάκει Ἀντιλόχοιο, τὸ δ᾽
ἥμισυ κεῖτ᾽ ἐπὶ γαίης:
nello scudo di
Antiloco,mentre una metà (da ἥμισυς , εια, υ, sostantivo al neutro) cadeva
(da κεῖμαι) per terra;
566 ἂψ δ᾽
ἑτάρων εἰς ἔθνος ἐχάζετο κῆρ᾽ ἀλεείνων:
immediatamente indietreggiava (da χάζομαι) verso il gruppo
(da ἔθνος , εος, τό) dei compagni per evitare (da ἀλεείνω) la morte;
567
Μηριόνης δ᾽ ἀπιόντα μετασπόμενος βάλε δουρὶ
Merione, seguendo (da μεθέπω) (quello) mentre se ne
andava, si ritirava (da ἄπειμι), (lo) colpisce con la lancia
568 αἰδοίων
τε μεσηγὺ καὶ ὀμφαλοῦ, ἔνθα μάλιστα
nel mezzo tra i genitali (da αἰδοῖον , τό, freq. al pl. αἰδοῖα,
τά) e l’ombelico (da ὀμφαλός , ὁ), dove soprattutto
569
γίγνετ᾽ Ἄρης ἀλεγεινὸς ὀϊζυροῖσι βροτοῖσιν.
Ares diviene doloroso (da ἀλεγεινός , ή, όν, Ep. per ἀλγεινός)
per gli infelici (da ὀιζυρός , ά , όν) mortali.
570 ἔνθά
οἱ ἔγχος ἔπηξεν: ὃ δ᾽ ἑσπόμενος περὶ δουρὶ[31]
PARAGONE à
Qui a lui immerse (da πήγνυμι) la lancia: e quello seguendo (da ἕπομαι)
intorno alla lancia
571 ἤσπαιρ᾽
ὡς ὅτε βοῦς τόν τ᾽ οὔρεσι βουκόλοι ἄνδρες
si dibatteva, si contorceva(da ἀσπαίρω), come quando un
bue che sui monti che gli uomini mandriani (da βούκολος , ὁ),
572 ἰλλάσιν[32]
οὐκ ἐθέλοντα βίῃ δήσαντες ἄγουσιν:
avendolo legato (da δέω) con corde (da ἰλλάς , άδος, ἡ),
trascinano con la forza mentre non vuole;
così egli, colpito (da τύπτω),
si dibatteva, si contorceva(da ἀσπαίρω), per breve tempo (da μίνυνθα,
avverbio) davvero, non certo per una lunga durata (da δήν, avverbio),
574 ὄφρά
οἱ ἐκ χροὸς ἔγχος ἀνεσπάσατ᾽ ἐγγύθεν ἐλθὼν
finchè, venendo vicino, non
gli tolse (da ἀνασπάω) dalla carne, dal corpo la lancia,
575 ἥρως
Μηριόνης: τὸν δὲ σκότος ὄσσε κάλυψε.
l’eroe Merione: le
tenebre gli velano gli occhi.
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Adamante (T)
Paragone
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576
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576
Δηΐπυρον δ᾽ Ἕλενος ξίφεϊ σχεδὸν ἤλασε κόρσην
Eleno da vicino colpisce
(da ἐλαύνω, qui con il doppio accusativo: non è mai un colpo da arma da
lancio) Deipiro alla tempia (da κόρση , ἡ) con una spada
577
Θρηϊκίῳ[35]
μεγάλῳ, ἀπὸ δὲ τρυφάλειαν ἄραξεν.
grande, tracia, (gli)
spezza (da ἀπαράσσω, in tmesi) l’elmo.
578 ἣ μὲν
ἀποπλαγχθεῖσα χαμαὶ πέσε, καί τις Ἀχαιῶν
Questo sbalzato
lontano (da ἀποπλάζω) cade a terra, e qualcuno
degli Achei
579
μαρναμένων μετὰ ποσσὶ κυλινδομένην ἐκόμισσε:
combattenti (da μάρναμαι) (lo) raccoglie, se ne prende
cura (da κομίζω), mentre rotola (da κυλίνδω) tra i piedi;
580 τὸν
δὲ κατ᾽ ὀφθαλμῶν ἐρεβεννὴ νὺξ ἐκάλυψεν[36].
una notte oscura (da ἐρεβεννός , ή, όν, Ep. aggettivo (Ἔρεβος))
gli discese (da καλύπτω, letteralmente “copro; avviluppo; oscuro”) sugli
occhi.
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Deipiro (A)
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581
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581 Ἀτρεΐδην
δ᾽ ἄχος εἷλε βοὴν ἀγαθὸν Μενέλαον:
Un dolore prende l’Atride,
Menelao forte nel grido di guerra;
582 βῆ δ᾽
ἐπαπειλήσας Ἑλένῳ ἥρωϊ ἄνακτι
muove, avanza (da βαίνω),
micacciando, con atteggiamento minaccioso verso (da ἐπαπειλέω, con il
dativo), Eleno, eroe signore,
583 ὀξὺ
δόρυ κραδάων: ὃ δὲ τόξου πῆχυν[37]
ἄνελκε.
agitando, scuotendo (da κραδαίνω),
la lancia appuntita; quello tirava indietro (da ἀνέλκω) l’impugnatura
(dell’arco) (da πῆχυς , ὁ, si tratta del punto
centrale dell’arco, dove si colloca l’impugnatura)
584 τὼ δ᾽[38]
ἄρ᾽ ὁμαρτήδην ὃ μὲν ἔγχεϊ ὀξυόεντι
I due allora insieme,
contemporaneamente (da ὁμαρτήδην , = ὁμαρτῇ, ὁμαρτή, etc.), l’uno con l’asta
appuntita
585 ἵετ᾽
ἀκοντίσσαι, ὃ δ᾽ ἀπὸ νευρῆφιν ὀϊστῷ.[39]
si avventa (da ἵημι) per lanciare,
per colpire (da ἀκοντίζω), mentre l’altro con la freccia (da ὀϊστός ,
οῦ , ὁ , Att. ὀιστός) dalla corda.
586
Πριαμίδης μὲν ἔπειτα[40]
κατὰ στῆθος βάλεν ἰῷ
Il figlio di Priamo a
questo punto lo colpisce con il dardo al petto
587
θώρηκος γύαλον, ἀπὸ[41]
δ᾽ ἔπτατο πικρὸς ὀϊστός.
la parte curva (da γύαλον ,
τό, comunque di non facile interpretazione) della corazza (da θώραξ , ακος,
Ep. e Ion. θώρηξ , ηκος, ὁ); la freccia amara, acuta (da πικρός , ά, όν,
poet. anche ός, όν) vola via.
588 ὡς δ᾽
ὅτ᾽ ἀπὸ πλατέος πτυόφιν
μεγάλην κατ᾽ ἀλωὴν
PARAGONE à Come quando sulla vasta aia (da ἀλωή , ἡ) via da un
ampio (da πλατύς , εῖα, ύ) ventilabro (da πτύον , τό, poet. gen. πτυόφιν,
forma relativamente recente, Leaf ad loc.)
589 θρῴσκωσιν
κύαμοι μελανόχροες ἢ ἐρέβινθοι
volano, saltano via (da θρῴσκω),
le fave (da κύαμος , ὁ) dalla buccia scura (da μελανόχρους, ουν = μελάγχροος)
o i ceci (da ἐρέβινθος , ὁ)
590 πνοιῇ
ὕπο λιγυρῇ καὶ λικμητῆρος ἐρωῇ,[42]
sotto, per effetto del
vento (da πνοή , ῆς, ἡ, Ep. πνοιή , sempre quest’ultima forma in Omero)
stridulo, sibilante (da λιγυρός , ά, όν), e del colpo (da ἐρωή, ἡ) della pala
(da λικμητήρ , ῆρος, ὁ),
591 ὣς ἀπὸ θώρηκος Μενελάου
κυδαλίμοιο
così dalla corazza del
glorioso, illustre Menelao
592 πολλὸν
ἀποπλαγχθεὶς ἑκὰς ἔπτατο πικρὸς ὀϊστός.
molto, con forza (da πολύς , Att. πολλή, πολύ; acc. sing.
come avverbio), deviata (da ἀποπλάζω) lontano vola (da πέτομαι) la freccia
amara, acuta (da πικρός , ά, όν, poet. anche ός, όν) vola.
593 Ἀτρεΐδης
δ᾽ ἄρα χεῖρα βοὴν ἀγαθὸς Μενέλαος
L’Atride invece, Menelao valido nel grido di guerra, la
mano
594 τὴν
βάλεν ᾗ ῥ᾽ ἔχε τόξον ἐΰξοον: ἐν δ᾽ ἄρα τόξῳ
colpisce, quella (mano) con la quale teneva l’arco ben
levigato (da εὔξοος , Ep. ἐΰξοος , ον, gen. ἐΰξου = εὔξεστος); e proprio
nell’arco
595 ἀντικρὺ διὰ χειρὸς ἐλήλατο χάλκεον ἔγχος.
da parte a parte attraverso la mano penetra (da ἐλαύνω) la
lancia di bronzo.
596 ἂψ δ᾽
ἑτάρων εἰς ἔθνος ἐχάζετο κῆρ᾽ ἀλεείνων
Immediatamente indietreggiava (da χάζομαι) verso il gruppo
(da ἔθνος , εος, τό) dei compagni per evitare (da ἀλεείνω) la morte;
597 χεῖρα
παρακρεμάσας: τὸ δ᾽ ἐφέλκετο μείλινον ἔγχος.
lasciando abbandonata (da
παρακρεμάννυμι, la mano, o il braccio, è lasciato ricadere lungo il fianco)
la mano; e quella trascinava (da ἐφέλκω), l’asta di bronzo.
598 καὶ
τὸ μὲν ἐκ χειρὸς ἔρυσεν μεγάθυμος Ἀγήνωρ[43],
e quella (gli) estrae (da ἐρύω)
della mano il magnanimo Agenore,
599 αὐτὴν
δὲ ξυνέδησεν ἐϋστρεφεῖ οἰὸς ἀώτῳ
e la stessa benda, fascia
(da συνδέω), con ben ritorta, ben attorcigliata (da ἐϋστρεφής, ές), lana (da ἄωτον
, τό, e ἄωτος , ὁ: in Omero per lo più usato per la lana più fine) di pecora,
600
σφενδόνῃ[44],
ἣν ἄρα οἱ θεράπων ἔχε ποιμένι λαῶν.
con la fionda (da σφενδόνη
, ἡ), che il servitore porta per lui, per il pastore di genti.
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La cura della ferita
Paragone
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[1] Cfr.
13.404 e 13.184.
[2] Vedi
5.99, dove θώρηκος γύαλον è anticipato di un piede nel verso.
[3] 507-508
= 17.314-315. ὃ δ᾽ ἐν κονίῃσι πεσὼν ἕλε γαῖαν ἀγοστῷ ricorre in 520 e in
11.425.
[4] 510-511
= 5.621-622.
[5] Qui
abbiamo γυῖα nell’originale senso di “giuntura; articolazione”, dalla radice γυ-
(piegare).
[6] Qui καὶ
τότε si riferisce all’insuccesso di Deifobo nel colpire Idomeneo in 404.
[7] Enialio
(᾿Ενυάλιος) è una divinità della guerra, e fa coppia con la dea Enio.
Certamente non è fin dalle origini un semplice epiteto di Ares, come appare da
Omero in poi, ma una divinità da esso distinta; e distinto torna a essere negli
scrittori più tardi, dove è figlio di Ares o di Crono. Identificato talvolta
dai Romani con Quirino.
[8] ὃ δ᾽ ἐν
κονίῃσι πεσὼν ἕλε γαῖαν ἀγοστῷ è formulare, e compare per esempio in 11.425 e
13.508.
[9] Ecco una
espansione unica di ὄβριμος Ἄρης, che invece compare 6x in Omero. Βριήπυος compare solo qui, e forse significa “dalla
potente voce”. Si vedano βαρύφθογγος, βαρύβρομος, βαρύκτυπος (tutti
negli Inni Omerici). Oppure βρι può semplicmente significare “potente”, come in
βρι-αρός, ὄ-βρι-μος: una connessione con βριθύς non è certa. A proposito della
potente voce di Ares, si confronti 5.860.
[10] I versi
521-525 sono probabilmente una aggiunta tarda, che fa riferimento più avanti a
15.110 sgg., al momento in cui Ares viene a conoscenza della sua perdita, del
suo lutto. L’idea degli dei seduti sotto una volta di nuvole d’oro, in cima
all’Olimpo, difficilemnte è omerica. E a proposito di 524 sg., il resto
dell’Iliade non conosce nulla relativamente a questo imprigionamento degli dei
in Olimpo, e quest’affermazione è in palese contraddizione con la visita di
Poseidone al campo greco. Il presunto interporatore sembra aver avuto un
ricordo poco accurato dell’inizio del libro VIII, dove afli dei viene ordinato
di non aiutare i combattenti.
[11] Si veda
il verso 496.
[12] Si noti
ancora che πρυμνοῖο βραχίονος significa la parte superiore del braccio, vicino
alla spalla, come 16.323 (all’accusativo). Quindi in 539 χείρ significa
“braccio”, non “mano”: una chiara evidenza di questo significato.
[13] ἂψ (δ᾽)
ἑτάρων εἰς ἔθνος ἐχάζετο è formulare: ricorre 7x con κῆρ᾽ ἀλεείνων, per esempio
in 566, 596, 648, o in 11.585 e 3.32. Senza solo qui e in 165, sempre a
proposito di Merione. Per lo più la formula è utilizzata per guerrieri feriti o
che verranno uccisi: Merione però costituisce una eccezione.
[14] 535-538
= 14.429-432.
[15] Cfr.
13.169.
[16] I
commentatori antichi e la maggior parte dei commentatori moderni connettono
questo termine con ἕπομαι oppure ἅπτω (da cui le
forme con ἑ- oppure ἐ-) e spiegano la frase nel senso che lo scudo e l’elmo gli
rimangono allacciati, attaccati a lui, e lo seguono nella sua caduta. Questa
spiegazione offre un sensoo più naturale alla scena, ma la forma del verbo non
può comunque essere spiegata in modo soddisfacente.
[17]
L’espressione θάνατος χύτο θυμοραϊστής è formulare: ricorre anche in 16.414 e
16,580. Si veda poi 16.591 e 18.220. Per l’aggettivo in particolare si veda
Chantraine, Dict. s.v. ῥαίω.
[18] Quanto
a φλέβα, è chiaro che non è nota agli anatomisti moderni alcuna vena che corre
verso il collo attraversando tutta la schiena. Ippocrate sembra però sostenesse
l’ipotesi che c’erano quattro coppie di grosse vene, delle quali la prima
partiva dal collo e correva lungo entrambe i lati della spina dorsale fino alla
regione lombare. Gli antichi non sapevano che le arterie contenevano sangue.
Quindi il riferimento non è probabilmente alle arterie carotidee, come potremmo
supporre, ma piuttosto alle vene giugulari. Dunque questa vena è certo una
fantasia del poeta, ma riflette le conoscenze dell’epoca. Il termine φλέψ non
ricorre altrove in Omero.
[19] Toone
cade sulla schiena, con i piedi verso i suoi compagni. Aristarco spesso nota se
le vittime cadono nella direzione del colpo o via da esso, ciò che dipende dal
colpo stesso: possono dunque cadere per effetto della forza del colpo oppure
per gli effetti di questo sul corpo (Arn/A 4.108,4.463, 5.58, 5.68, 11.144).
Qui viene detto che Toone cade nella direzione da dove proviene il colpo dal
momento che, con la’vena della schiena’ recisa, il suo νεῦρον (il suo midollo spinale?)
non lo supportava più. Per un altro problema relativo alla colonna vertebrale,
si veda 20.482 sg., dove si dice che il midollo ne fuoriesce quando la testa
viene recisa.
[20] 549 =
4.523.
[21] Le
brevi vittorie troiane di Enea, Eleno e Paride (541-544, 576-580 e 660-672)
scandiscono questa fase del combattimento, per il resto piuttosto amorfa. I
Troiani stanno ora attaccando, ma la loro inferiorità – anche di fronte a
guerrieri greci di minore valore – è messa in evidenza dal minor numero e dalla
minore elaborazione dei loro successi, e dal loro insuccesso allorquando
tentano di spogliare i corpi delle loro armi. Comunque l’appassionata denuncia
della loro ostinazione – incorniciata dalle vittorie greche – scaccia ogni
impressione che gli Achei stiano passando un momento favorevole, e la scena
termina con la morte del più importante tra i Greci a cadere, Euchenore.
Menelao ferma l’attacco troiano in modo meno definitivo di quanto Enea abbia
fermato Idomeneo.
Afareo viene ucciso mentre è rivolto verso Enea, a
differenza di Toone che si volta per fuggire, probabilmente impaurito per le
perdite sul suo fronte.
[22] Si veda
11.580, e la nota a 7.122. αἴνυτο
qui è chiaramente un imperfetto, non un aoristo come in 4.531 (Leaf, ad loc.).
[23]
Antiloco viene chiamato figlio di Nestore per rimarcare che Poseidone sra
proteggendo suo nipote, dal momento che il dio aveva generato Neleo (cfr. Od.
11.254). Quindi Poseidone gli insegnò l’equitazione, e il dio è onorato a Pilo
(23.306 sg. Od. 3.5 sg.), dove le tavolette confermano il suo speciale stato
all’epoca micenea.
[24] L’uso
di ἔχειν con avverbi come una semplice copula non è omerico. Si veda 679.
[25]
L’aggiunta di φρεσὶν a τιτύξκετο è unica in Omero: il verbo viene altrimento
usato solo nel puro senso fisico, come in 560.
[27] ἀμενήνωσεν
è hapax legomenon derivato da ἀμενηνός;
come Ares in 444, qui Poseidone priva la lancia della sua μένος. Questo verso
varia lo standard ἀνεγνάμφθη δέ οἱ αἰχμὴ (3x nell’Iliade, per esempio 3.348),
ad indicare che egli è ancora coinvolto nello svolgimento della guerra. Gli dei
sviano i colpi in 4.130 (Atena), 8.311, 15.521 (Apollo).
[28] κυανοχαῖτα
è epiteto solo di Poseidone, ad eccezione di Borea in forma di cavallo (20.224).
Nella persistente vaghezza del mondo dei colori in Omero, questo attributo
potrebbe semplicemente significare “dagli scuri capelli”, ma “dai capelli blu”
risulta appropriato per un dio del mare blu, e Tritone in un noto frontone
arcaico in Atene ha la barba dipinta di un blu brillante. Dunque questo
aggettivo descrive – come si è detto - anche i cavalli, e non ci sono dubbi che
anticamente significava “dalla scura criniera” con riferimento alle tendenze
ippomorfiche di Poseidone: si vedano per es. le implicazioni di βοῶπις (Era) e γλαυκῶπις
(Atena).
[29] τὸ μέν
è una constructio ad sensum dopo αἰχμή:
cfr. 5.140, 11.238, Od. 4.508. Si tratta della punta della lancia.
[30] Lo σκῶλος
(hapax) è l’arma più primitiva, un
palo con una estremità carbonizzata per indurirla: cfr. σκόλοψ, ed il palo reso
acuminato al fuoco con il quale il Ciclope viene accecato (Od. 9.328). Pensiamo
poi a | ὥς τε σκῶλος […] | [….] ἐπὶ γαίης e al verso 654, ὥς τε σκώληξ ἐπὶ γαίῃ:
l’eco prova che il suono e la sintassi sono rimasti nella mente del bardo per
90 versi. Anche πυρίκαυστος è hapax.
[31] Qui il
senso di περὶ δουρὶ è “con la lancia dentro di lui”. Merione ha seguito
(μετασπόμενος, 567) Adamante, quindi ha lanciato l’asta (βάλε δουρὶ, 567)
colpendo il nemico tra l’ombelico e il pube. Adamante cade a terra, mentre la
lancia è ancora confitta nel suo corpo. Poi Merione si avvicina a lui ed estrae
l’asta dal corpo. περί è strettamente
connesso con ἑσπόμενος, e prende il posto del consueto ἅμα con ἕπεσθαι: il Ma
la frase è usata propriamente per una lancia strappata via da una ferita.
Inoltre al posto di ἤσπαιρ᾽ ci si sarebbe attesi piuttosto ἤρυγεν, come nella
simile scena in 20.404 (Pallis). Il senso è probabilmente che Adamante ora
asseconda, segue con il corpo gli strappi e le spinte che il suo avversario dà
con l’asta, proprio come un toro selvaggio (come si comprende da οὔρεσι, 571)
lotta e si divincola mentre viene trascinato dai bovari che lo hanno legato.
τυπεὶς è strano con βάλε. Dobbiamo intendere che Merione sia ad una certa
distanza dall’avversario: Aristarco riteneva che τύπτω, “colpire”, fosse
utilizzato per il corto raggio. Adamante infine muore quando Meriose tira via
la sua lancia (14.518 sg., 16.505).
[32] ἰλλάσιν
è da ἰλλάς, indicando una corda intrecciata (da ϝείλειν), sia di cuoio che
fatta con rami flessibili. È hapax in
Omero.
[33] τυπείς
viene utilizzato solo per ferite inferte con un affondo, secondo il canone di
Aristarco, che deve quindi aver letto δαμείς (Lehrs), dal momento l’asta viene
lanciata (βάλε δουρὶ, 567). Omero in effetti distingue tra il lancio e
l’affondo, tra τύπτειν e βάλλειν, com’è chiaro da δουρὶ τυπεὶς ἢ βλήμενος ἰῷ (Il.11.191
= 206).
[34] Si veda
1.416.
[35] La
spada tracia di Asteropeo viene lodata in 23.807 sg.: si tratta di una spada
presa ad un Peonio ed offerta come premio. Qui però è un φάσγανον. I Traci
sembra avessero una antica reputazione di lavoratori di metallo (in Omero vedi 10.438,
24.234), ed erano evidentemente dei commercianti. Non c’è comunque alcuna
ragione per supporre che la spada tracia fosse di forma e dimensioni differenti
dalle normali armi omeriche, come invece fanno gli scoliasti (μόνοι γὰρ ἐν
βαρβάροις οἱ Θρᾶικες μεγίστοις ξίφεσι χρῶνται, Α); μέγα è il normale epiteto
della spada.
[36] Si veda
5.659.
[37] πῆχυς è
il punto centrale da dove l’arco viene tenuto (di confronti Od. 21.419, τόν ῥ᾽ ἐπὶ
πήχει ἑλὼν ἕλκεν νευρὴν); per essere precisi, Eleno tira indietro la corda
dell’arco, non il πῆχυς. Entrambe le metà del verso 583 ricorrono altrove
(20.423, 11.375).
[38] In
passaggi di questo tipo τὼ δέ si trova comunemente senza un verbo, seguito da ὁ
μὲν […] ὁ δέ in apposizione distributiva (si veda per esempio 7.306).
L’asindeto dopo ὁμαρτήτην, sebbene piuttosto severo, può essere considerato
‘esplicativo’.
[39] Questi
due versi – 584 sg. – formano un chiasmo con quello che segue.
[40] ἔπειτα,
“subito dopo; immediatamente dopo”, pone semplicemente la frase che segue in
connessione immediata con ciò che precede, senza utilizzare l’espressione piena
μετὰ ταῦτα.
[41] Qui 587
= 5.99, ma con ἀπό per διά. Qui la freccia non trapassa il corsaletto, ma
rimbalza via.
[42] Si noti
come l’umile, servile lavoro venga nobilitato dagli epiteti utilizzati (πλατύς,
μέγας, μελανόχρους, λιγυρός) e dagli hapax
legomena epici πτύον, ἐρέβινθος, λικμητήρ e μελανόχρους.
[43]
Agenore, il comandante della seconda colonna troiana, viene in aiuto di un
comandante della terza (12.93 sg.): si vedano le cure che Polite presta a
Deifobo (533 sgg.), e la rimozione di frecce in 4.210 sgg., 5.112, 11.397 sg..
Il verso 600 che segue spiega come la suddetta espressione si riferisca alla
fionda, σφενδόνη, come Agenore ne sia venuto in possesso: a proposito di
servitori o comagni che portano le armi di un eroe, si veda 709-711. Non c’è
ragione di rigettare il verso come una glossa: si veda la nora al verso 600.
[44] σφενδόνῃ
è un termine che non ricorre altrove in Omero, e neppure le fionde sono
menzionate altrove nel poema a meno che, in forza del presente passaggio e
dell’espressione ἐϋστρεφεῖ οἰὸς ἀώτῳ non la ritroviamo in ἐϋστρεφεῖ οἶος ἀώτῳ
nel verso 716: qui si dice che i Locri le utilizzano insieme agli archi. Il
contesto ci obbliga qui ad interpretare l’espressione come riferita alla
fionda, oppure alle corde dell’arco, oppure ancora (Povelsen) ad un farsetto in
lana intrecciato in modo molto serrato. Quest’ultima interpretazione è esclusa
in virtù delle parole che seguono: οἷσιν ταρφέα βάλλοντες (718), che
difficilmente può riferirsi solo a τόξοισιν. E per quanto riguarda le corde
dell’arco, queste non potevano essere fabbricate con la lana, per quanto
strettamente intrecciata, mentre potevano essere fatte con tendini (4.118
etc.): la lana non avrebbe mai retto alla tensione di un arco. Dobbiamo dunque
concludere che al verso 716 si faccia riferimento alle fionde, e que di
conseguenza qui il termine σφενδόνη debba avere questo stesso significato.
Anche se qui il termine si riferisce semplicemente ad un bendaggio, una
fasciatura (come in Ippocrate), questo senso può solo essere secondario, e
implica comunque una conoscenza dell’arma. E sappiamo dalle figurazioni (una
famosa scena di assedio su un la scena di assedio su un rhyton in argento) che
le fionde erano impiegate nelle guerre micenee.
Tra l’altro, non c’è ragione di dubitare, appunto
sulla base della conoscenza di questo tipo di arma, dell’autenticità di questo
passaggio: la rarità delle allusioni alle fionde è senza dubbio da attribuirsi
al fatto che questa era l’arma del disprezzato soldato semplice armaro alla
leggera, di cui il poeta eroico non si occupava. Bisogna comunque ammettere che
il verso 600 è aggiunto in modo piuttosto goffo, e fa tutta l’apparenza di una
glossa, sebbene di una glossa corretta. οἱ […] ποιμένι λαῶν non è tipico dello
stile epico, e lo θεράπων senza nome sembra essere un soldato semplice, mentre
lo θεράπων omerico è piuttosto un compagno d’armi, un eroe esattamente come il
suo comandante. Questi sospetti di Leaf (ad loc.) non sono però condivisi da
Jarko (ad loc.): si veda 11.341; inoltre ποιμένι λαῶν spesso rimpiazza il nome
dell’eroe (e.g. 14.423, 15.262).